Il bisogno di “Parole buone” in un libro tra filosofia ed esistenza

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Canto, Evoluzione, Virtù, Educazione, Amore, Bellezza, Gioia, Confessione, Nostalgia, Paese, Preghiera… sono solo alcuni dei termini che Claudio Sottocornola, filosofo, scrittore e performer, analizza in Parole buone (Marna/Velar, pp. 228), appena edito in formato ebook e a stampa in tiratura limitata. Si tratta di una sorta di “dizionario minimo” a cavallo tra filosofia ed esistenza, che l’autore compone alla luce di un approccio ermeneutico e musicale che lo conduce pian piano dal frammento al sistema, dal particolare al generale, dalla scissione all’unità. Di seguito, l’intervista che l’autore ha rilasciato via Skype a Margutte.

Perché questo titolo?

La scelta del titolo si riferisce non già a parole selezionate in virtù di una loro presunta “bontà intrinseca” (compaiono infatti anche termini più ambivalenti, come bruttezza, osceno, decisamente inquietanti, come Covid-19, o controversi come il Sessantotto), ma piuttosto all’approccio utilizzato, che è inclusivo, aperto alla mediazione delle apparenti aporie e al dialogo delle opposte visioni, in nome di una empatia intellettuale che, almeno programmaticamente, vorrebbe generare armonia e valore condiviso.

Com’è nato quest’ultimo lavoro?

A margine di un progetto comune e in divenire, l’amico e scrittore Donato Zoppo mi ha chiesto di definire alcuni termini, da cui egli decise di far partire una riflessione molto più articolata, quasi a rivisitare ambiti e concetti rimasti in sospeso nei precedenti lavori…  Alla fine mi sono accorto, senza che potessi prevederne l’esito, di avere affrontato tante questioni che riguardano il senso del nostro esistere, la ricerca di valore, l’esperienza della bellezza, l’aspirazione all’Assoluto, in quanto le richieste formulatemi dall’amico erano semplici parole, che avrei potuto sviluppare nelle più diverse direzioni. Insomma, ne è nato una sorta di dizionario minimo filosofico che spero possa piacere al lettore, ma più che altro stimolarlo a crearsi, magari proprio a partire dagli stessi termini analizzati, una propria mappa linguistico-concettuale – ma vorrei dire etico-esistenziale – che lo aiuti ad attraversare la geografia della vita con maggiore serenità e determinazione, dotato degli strumenti che possono facilitare o, quanto meno, rendere meno incerto il cammino.

Le “parole buone” fanno anche bene al lettore?

Chi si aspettasse poi che le “parole buone” evocate dal titolo siano generative di relax psicologico, quasi anestetizzanti dal dolore e dalla problematicità della vita, dovrà certamente ricredersi nel corso della lettura, che non lascia mancare sorprese, svolte impreviste, asperità diffuse, vere e proprie denunce storico-epocali (per esempio relative al predominio dell’economia o della tecnica nella società contemporanea)   quando non appassionate invettive, come nella testimonianza finale che ho voluto inserire come post-scriptum alla stesura del libro, avvenuta prevalentemente nel 2018 e 2019, e dedicata alla epidemia di Covid-19 che ha devastato la mia Bergamo, e reca fra l’altro la seguente citazione, tratta da un’intervista ad un operaio della Val Seriana apparsa su “Gli Stati generali”:  “Ho scoperto che non lavoro per vivere ma vivo per lavorare e quindi sono sacrificabile”. Evidente endorsement a quanti, oggi anche attraverso iniziative giudiziarie, indicano nella mancata istituzione di una “zona rossa” ad Alzano e Nembro, a causa di rilevanti interessi economici internazionali, la ragione principale dell’ecatombe bergamasca nella pandemia in corso.

Un libro scritto prima dell’epidemia e pubblicato dopo…

Sì, ho deciso di posticipare la pubblicazione del libro alla fine del lockdown e ho voluto farne una versione ebook scaricabile gratuitamente, perché ritengo ancora attuale il messaggio contenuto nel libro: “ … perché le “parole buone” che ho cercato di pronunciare in questo libro mi appaiono ancora leggibili, se pur precedenti la grande tragedia che ha attraversato le nostre terre e la nostra gente, e forse mi appaiono leggibili perché il bene che vorrebbero esprimere – per citare il titolo di un’illuminante opera del teologo Luigi Maria Epicoco (che a sua volta si ispira a Bernanos) – è ‘Sale, non miele’, vale a dire invito alla consapevolezza e, in questa, all’impegno, piuttosto che a una quiescente  accettazione del dato”.

E allora si spiega perché pars construens e pars destruens, armonia e conflitto, estasi e denuncia convivano nelle pagine di questo libro, che non lascia indifferenti ma, volta a volta, turbati, sorpresi, riconciliati.

Sono certo che ogni parola, se pronunciata con amore, è una ‘parola buona’, e una lingua benedicente redime il mondo e produce un’esperienza di grazia. Se tante sono le influenze che si appalesano nel libro, da Platone a Kant, da Confucio a Heidegger, da Marx a Hegel, la presenza più rilevante tuttavia è quella di una fede cristiana declinata come strutturalmente aperta all’incontro perché vi è una ontologia, una gnoseologia e un’etica superiore nell’adempiere al compito di cercare la verità attraverso l’armonia delle sue varie manifestazioni, come si evince dalla benevolenza, dal rispetto e dalla pace che tale disposizione genera e produce, e dunque dalla fenomenologia salvifica che suscita come propria intrinseca manifestazione o ‘rivelazione’, secondo l’attitudine ermeneutica del Buon Pastore, che mantiene sempre la propria disponibilità ontologica e gnoseologica all’incontro con l’altro… Non a caso aprono e chiudono il volume i termini “parola” ed “equilibrio”, a identificare una sorta di fil rouge che accompagna l’indagine e connette il logos stoico a quello giovanneo, la parola heideggerianamente intesa come rivelatrice  e insieme la parola come fondamento ontologico assoluto, e tutto questo in una cornice esigenziale di unità, ordine, armonia.

Unità, ordine, armonia che la lettura del libro suscita ed evoca, lasciandocene una indefinita nostalgia…  

(a cura di Gabriella Mongardi)