TOTEM. Mostra a Palazzo Samone

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FULVIA GIACOSA

Si è inaugurata il 3 ottobre la mostra “TOTEM” curata da Giacomo Doglio e Massimiliano Cavallo, con opere di Enzo Bersezio, Carlo D’Oria, Elio Garis, Danila Ghigliano, Ferdi Giardini, Jins (Paolo Gillone), Valerio Righini, Walter Visentin, oltre al ricordo di Claudio Salvagno recentemente scomparso da parte del critico Enrico Perotto.

Nella presentazione Franco Chittolina ricorda il significato del totem nelle culture primitive e individua nei messaggi di speranza o inquietudine la rilettura del tema da parte degli otto artisti presenti.

Il filo rosso che lega le opere in mostra è innanzi tutto di tipo formale e consiste nella dominante verticale dei lavori: non poteva che essere così in riferimento a immagini totemiche. Altra caratteristica comune è la prevalenza di materiali naturali poveri (legno, ferro, gesso, cartapesta, stoffa) e, in un caso, sintetici.

Nella prima sala accoglie il visitatore un piccolo nucleo di esili legni del compianto poeta occitano Claudio Salvagno, quasi longilinei pensieri che svettano verso l’alto, insieme a opere del 2020 di Enzo Bersezio riunite sotto il titolo “Sticks-up” che richiama l’ancestrale bastone degli indiani d’America con il quale toccavano, senza ferirlo, l’avversario che cedeva e si allontanava; al centro della sala svettano tre strutture lignee, quelle a sostegno delle tende indiane, corredate da cordicelle nautiche e rotoli cartacei con numeri, lettere, piccoli residui della vita quotidiana che fanno parte del suo background; sul muro è invece poggiato un lavoro in stoffa e legno, delicato e poetico. Proseguendo la visita troviamo un’installazione di Valerio Righini del 2006 fatta di elementi verticali in acciaio che si ergono vigorosi da terra come tronchi d’albero (“Foresta”) e nel contempo hanno una parvenza antropomorfica di esseri in faticoso cammino, con un non celato riferimento alle migrazioni di ieri e di oggi. A rilievo sono due “Impronte” (una serie di inizio 2000), frammenti ferrosi dalle forme astratte che si assemblano sulla lastra di fondo a formare tracce labirintiche di volti.  Di fronte sta un “Altare” (2018) di Walter Visentin, abituato a trasformare e riutilizzare legni di recupero in nuove forme inclusi elementi di design. Qui un assemblaggio a muro si sporge in avanti nel nostro spazio con forme sinuose ed altre più geometriche: il nero profondo che ricopre il tutto ha un che di funereo a ricordo del rito sacrificale proprio degli altari. Coloratissimo è invece il lavoro “This is life” (2020) di Jins (nome d’arte di Paolo Gillone), un centinaio di bastoni lignei d’altezza diversa e appoggiati al muro in fitta sequenza, ricoperti di strisce orizzontali in colori acrilici vivaci che sono un inno alla vita; un ulteriore bastone di larice dipinto, più grande, è posto a terra in diagonale (titolato “Totem” in occasione della mostra) quasi un invito a partecipare al cammino estetico dell’autore decisamente terapeutico, per lui e per noi, tanto più in momento deprimente come l’attuale segnato dalla pandemia di Covid.

Niente colore nel lavoro di Carlo D’Oria dal titolo “Interferenze” (2017), anzi quasi neppure sostanza materica: un groviglio di sagome umane fatte solo di tondini in ferro piegati a mano, trasposizioni nella tridimensione di sagome a puro contorno che, interferendo l’una con l’altra, ridimensionano l’ego narcisistico in una comunità dialogante e armonica. Nel suo commento in catalogo Armando Audioli scrive che le vuote sagome, proiettando ombre sui muri, riconquistano una tridimensionalità fantomatica.

Elio Garis espone due “Isole” del 1984 in gesso e frammenti ceramici posizionate su sottili aste metalliche, e una delle sue “Colonne”, sempre degli anni Ottanta, in gesso policromo, frutto della ricerca di una “serenità della forma” che l’artista persegue da sempre: le “isole” fluttuano nello spazio e, collocate lassù, sembrano cercare salvezza dal pericolo d’essere sommerse a causa dei mutamenti climatici, la “colonna” si torce su se stessa in un dinamismo interno carico di vitalità che il colore amplifica. Ferdi Giardini, scenografo designer e docente universitario, espone qui “Silvia” (2016), un lavoro frutto di sperimentazione su materiali e tecniche di lavorazione caratterizzato dalla trasparenza del polimetilmetacrilato e dalla luce a led che, chiara e solare, pare colare lungo rami d’un salice piangente con la grazia delle cose di natura.

L’ultima sala raccoglie opere di Danila Ghigliano, di origini monregalesi, sotto il titolo “Il tempo trasforma ogni cosa”, un insieme di cinque lavori di forme e volumi differenti; è una vera e propria mise en scene, gli attori sono piccoli volti in cartapesta cavi all’interno con interventi a tempera pastello e matite colorate che servono a creare il contesto urbano e domestico; esse recitano poeticamente l’esistenza: incontri, confronti , attrazione, amore.

INFO. La mostra, a ingresso gratuito, è aperta in Palazzo Samone, via Amedeo Rossi, Cuneo (tel. 0171 444810) fino al 01/11/20 il ven./sab./dom. dalle 16 alle 19,30