Risposta a “L’innocenza e la nocenza delle parole” di Franco Russo

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GABRIELLA MONGARDI

Caro Franco,
il tuo miscuglio di parole “nocenti” e “innocenti”, le tue considerazioni sulle parole e sui tempi sono così stuzzicanti – a tratti sconcertanti – che non posso fare a meno di risponderti.

A me manca la preparazione filosofica per fare un discorso su “nocenza e innocenza” delle parole, ma a grandi linee direi che le parole sono pericolose quando falsificano la realtà, se lo fanno non per pietas, per attenuarne il negativo, ma per malafede, o peggio, per diffondere odio e incitare alla violenza.

Violentare le parole non è un male solo di oggi: ha cominciato qualcuno, tanti anni fa, inventandosi un’inesistente “Padania”, e un altro a scendere in campo per la “libertà” (di agire fuori dalle leggi), ignorando o dimenticandosi che è da quando è finita la Seconda Guerra Mondiale che in Italia è tornata la libertà. Di recente, un’altra parola di cui si abusa è “invasione”, usata iperbolicamente e metaforicamente per mistificare la realtà di un fenomeno che in partenza non ha nulla di aggressivo né di organizzato, è solo una disperata fuga, e che dovrebbe essere indicato semplicemente con il suo nome: migrazione. Ma le migrazioni – e i conseguenti “meticciati” – ci sono sempre state nella storia, siamo tutti “bastardi”, o no?

Un’altra parola da maneggiare con somma cura, e di cui si è ampiamente abusato, è “identità”; mi sembrano invece incomparabilmente meno pericolose le parole che tu definisci “boldriniane”: ministra, avvocata, sindaca, professora, e del tutto innocui gli eufemismi come non-vedente, non-udente ecc.

Molto più delicato il discorso sui sinonimi di “migrante”: tu m’insegni che le parole non hanno solo valore denotativo, ma anche connotativo, e questo implica diverse sfumature “affettive”, dal disprezzo alla tenerezza, dalla derisione alla deferenza ecc. La scelta dei termini non ti classifica certo come “amico o nemico” (quando mai?), ma dice sicuramente qualcosa di te e delle tue idee, del rispetto che hai – o non hai – per te stesso e per gli altri…

A proposito dei “clandestini”, un credente obietterebbe che nessuno è clandestino agli occhi di Dio: tutti gli esseri umani nati sulla Terra hanno per principio lo stesso diritto di vivere dignitosamente dove vogliono, concordi? Quello di “clandestinità” è un reato inventato dalla burocrazia – o se preferisci dall’egoismo di chi ha, di fronte a chi non ha. Quanto alla razza, la scienza ha dimostrato che esiste una sola razza, quella umana…

Nell’episodio del dentista di Mestre che tu citi, secondo me il vero problema non è la parola usata, ma il fatto che abbia scritto quel cartello, anziché limitarsi a denunciare alla polizia l’accaduto, e soprattutto il fatto che per lui valga l’equivalenza: immigrazione = delinquenza. Mai fare di tutta l’erba un fascio, insegna la tradizione contadina che tu difendi.

Per lo stesso motivo, non credo che sia colpa dei “tempi”, se sono “bruttissimi”; i “tempi” li fanno gli uomini con i loro comportamenti e discorsi: sta a ciascuno di noi non lasciarsi contagiare, non diventare “più bestiale”, opporsi alla violenza, all’arroganza, all’ignoranza; e non credo che siano gli strumenti a essere “diabolici”, ma il modo e il fine per cui si usano.

Per concludere, confesso di non aver capito quanto di “finzione letteraria” e/o di provocazione, di gioco intellettuale ci sia nel tuo testo. Davvero ti senti così “minacciato” dagli stranieri? Il pericolo non sono i migranti, ma il modo “violento” di gestirli, e ancor prima di parlarne… In questo concordo con te, le parole sono armi, ma le più pericolose sono certe parole di destra, non il politically correct di sinistra, che al massimo è ridicolo.

QUI l’articolo di Franco Russo
QUI l’intervento di Paolo Lamberti
QUI l’intervento di Stefano Casarino