L’appuntamento

foto di Franco Blandino

foto di Franco Blandino

GABRIELLA VERGARI

L’appuntamento è per le 18,30, mi ha confermato la segretaria con la sovrana indifferenza della sua voce professionale. Mi raccomando la puntualità, ha poi ribadito, come se ce ne fosse bisogno.
Ci puoi contare, Bella Mia, le ho risposto mentalmente, mentre la salutavo con il mio garbo migliore, chiudendo la chiamata.
Sono mesi che mi preparo per questo colloquio.
Figurati se me lo lascio sfuggire per un paio di minuti di troppo.
Solo che adesso mi ritrovo questo problema tra le mani, e devo risolverlo in fretta se non voglio mandare in fumo tutte le mie attese.
Mannaggia a me e alla mia disponibilità.
Non sono fatta per nutrire diffidenza, sta qui il mio guaio.
Quello odierno rischia però di rivelarsi un po’ più serio del previsto.
Una vera scocciatura.
Scosto appena un attimo la tenda e, immancabile come un incontro con il destino, scorgo la macchina ferma, come ormai alla stessa ora da martedì scorso, a non più di una decina di metri dal mio portone.
È evidente che quei due imbecilli di nuovo mi attendono.
Spero imbecilli soltanto e non balordi, perché allora sarebbe più allarmante.
Potrei chiedere a Francesca, la mia dirimpettaia, di accompagnarmi fino alla mia fidata Peugeot che proprio stamattina le ho dovuto prestare e quindi non si trova, come al solito, in garage ma posteggiata all’angolo con l’incrocio.
Dovrei però spiegarle un po’ la situazione, e questo affatto non mi va.
Mi sembrerebbe di attribuirle un peso che non intendo lasciarle assumere.
Potrei anche chiamare un taxi e non è escluso che in ultimo non lo faccia, ma qualcosa mi dice che mi devo liberare di questa grana una volta per tutte.
Comincio a chiedermi se non sia addirittura il caso di rivolgermi alla Polizia, o ai Carabinieri, a qualcuno in divisa, insomma.
Ma per denunciare che?
Potrei anche ricorrere a Filippo, che ne sarebbe contentissimo.
Fin troppo contento, mi ripeto già scacciando l’ipotesi sul nascere, mentre mi scorrono velocemente davanti tutte le faticose manovre che ho dovuto mettere in campo per allontanarmelo di dosso, ogni volta che gli ho riservato un po’ più di un sorriso cortese.
Figuriamoci che si aspetterebbe dopo un favore come questo, grosso come un cocomero.
Mi pare, tra l’altro, che abbia giusto chiesto una settimana di ferie, per il matrimonio della sorella al paese su quel pizzo di montagna da dove proviene.
Che fare?, mi arrovello lanciando l’ennesima occhiata allo swatch sul tavolino.
Mi sto innervosendo e questo non me lo posso davvero permettere, non oggi con quel colloquio in programma.
C’è sempre una soluzione, mi ha giusto sottolineato la mia estetista, l’altro giorno, mentre mi puliva il viso. Basta vederla.
Possibile che una ragazza non possa trattare con un minimo di affabilità due maschi adulti, di cui uno, tra l’altro, regolarmente sposato con tanto di fede al dito, senza ritrovarseli dietro come due zecche?
Eppure è proprio quello che, dopo la recente esperienza al seggio elettorale, mi sta accadendo.
Tre scrutatori, un segretario e un presidente che, tra qualche aneddoto e molte barzellette, abbiamo ingannato insieme le interminabili pause di un week-end di elezioni, conclusosi con uno spoglio altrettanto lungo e tormentato, festeggiato alla fine con un giro pizza di sollievo e una remunerazione che spero mi consenta l’acquisto di un paio di costumi da bagno in più.
Fine della storia.
Quantomeno per me.
Invece quei due insospettabili, il Presidente e il Segretario, hanno da allora preso la pregevole abitudine di farmi la posta il pomeriggio sotto casa: un’autentica coppia di amiconi e compagnoni che non sembra intenzionata a smettere.
Un’altra occhiata all’orologio.
Manco Cyrano di Bergerac che, nell’attesa di Rossana, chiede di continuo l’ora all’amico Ragueneau.  Ho ancora un certo  margine, mi ripeto, non so se a mo’ di incitamento o consolazione, mentre il fugace accenno al mondo della commedia muove velocemente le mie sinapsi verso una direzione inattesa.
Ma certo, mi dico all’improvviso con un guizzo divertito, e mi fiondo all’armadio, frugando dappertutto. Potrebbe non essere granché come soluzione, eppur tentar non nuoce…
Sulle prime non si accorgono di me, quando busso leggermente al finestrino del passeggero.
Mi stanno ancora aspettando da dove sanno che esco abitualmente, sicuri di riuscire ad intercettarmi come gli altri giorni.
Questa mia nuova versione li lascia letteralmente a bocca aperta.
Noto la rapidissima occhiata d’intesa che il Gatto scambia con la Volpe.
Sono talmente esterrefatti che proprio non si accorgono del mio leggero tremito.
Ma non mi hanno riconosciuto, sono stata brava. Mi scrutano infatti piacevolmente sorpresi e compiaciuti.
Solo il Gatto appare un attimo perplesso, le vibrisse fibrillanti, quasi gli stessero giungendo  informazioni anomale e spiazzanti su una realtà conosciuta che non risponde più ai parametri abituali.
Preso dall’irresistibile sorriso che gli rivolgo, smette però quasi subito.
Mi ripeto che andrà tutto bene: neanche i miei amici più stretti mi avevano riconosciuto, così conciata, a Carnevale. Un travestimento per il quale avevo impiegato non so quanto tempo a febbraio, ma che ora, grazie al tirocinio fatto, mi è venuto molto più facile da realizzare.
Potere avere un’informazione? domando, contraffacendo un po’ la voce e cercando di imitare l’intonazione delle badante rumena di mio nonno, mentre scuoto con grazia il bel caschetto nero, indossato per il gruppo mascherato con Ottavia, Luca e Giacomo.
Una parrucca scelta con cura, che mi è costata un accidenti, perché sembrasse vera.
Sbatto anche, leggermente civettuola, gli occhi che sono diventati di un bel verde intenso grazie alle lentine usa e getta, comprate per gioco da Harrod’s, in estate.
Gli stivali con il tacco alto mi arrivano al ginocchio, sottolineando con forza la generosità della minigonna di pelle nera che Fabio detesta così tanto, forse non proprio a torto.
Guardandomi allo specchio di casa, non ho saputo trattenere un sorriso compiaciuto.
Neanche mia madre sarebbe in grado di riconoscermi. O forse lei sì ma, questi due zuzzerelloni qui davanti, non di sicuro.
Qualunque cosa per una bella signora come lei, risponde La Volpe, subito disponibile come da copione.
Mi stanno divorando con gli occhi e dire che Claudia li aveva definiti carini, quando ci eravamo congedati dopo la serata in pizzeria.
Aveva proprio detto così, siete stati davvero carini… Sì, e come no?
Dove fermata autobus per aeroporto?
I due si guardano perplessi, incerti sul da farsi. Ḕ evidente che vorrebbero mostrarsi pronti e competenti, ma è pure chiaro che non hanno la minima idea di ciò che intendo.
Aspetti in attimo e si danno da fare, uno con i tasti del cellulare, l’altro con il satellitare, per scoprire ciò che so già benissimo, ovvero che non c’è nessun autobus e nessuna fermata.
Mi tocca a questo punto interpretare una scena madre da standing ovation. Ci riuscirò mai? Nella compagnia teatrale della scuola me la sono sempre cavata, nei ruoli melodrammatici di fine corso, ma qui è diverso. Né c’è stata, ovviamente, alcuna prova generale. Devo andare a braccio. Fingo perciò una spero credibile costernazione.
Oh mamma, e come fare adesso? Mia sorella arrivare tra poco da Bucarest e io non essere in tempo.
Dove autobus, come, come io fare adesso… Provo perfino un singhiozzo, sbattendo più forte le ciglia allungate dal rimmel a doppio rinforzo.
Sua sorella?
Sì, Natasha, getto lì augurandomi che quel nome faccia il suo bell’effetto, senza curarmi troppo se suoni in realtà più tolstojano che rumeno. E ora come fare, come fare… Lei molto giovane, poco, poco pratica. Prima volta in Italia…  Mi dispero un altro po’, in attesa della reazione che per fortuna non tarda molto a venire.
Su, su, le diamo uno strappo noi, se ce lo consente. Sarà un onore essere utili a lei e sua sorella.
Già, così ne prendete due al prezzo di una, mi viene da pensare di sfuggita. Ma non posso permettermi di perdere la concentrazione proprio adesso, che arriva la svolta decisiva e sta anche stringendo il tempo per il mio appuntamento. Perciò mi gioco il tutto per il tutto e fingo stia squillando il cellulare.
Come? Ma certo, vengo subito, che disgrazia, che disgrazia…
Signora caduta, io dovere  tornare subito a casa. Oddio, proprio ora che Natasha… spiego in fretta a quei due zuzzurelloni, tanto allocchiti dalle mie forme da non avere (mi auguro) la lucidità necessaria a trovare eventuali falle nella recita che ho messo con tanta solerzia in atto, a loro esclusivo beneficio.
Prima però di rincarare la dose, mi fermo un attimo per vedere l’effetto di tutta la scena.
Non vorrei esagerare, rischiando di metterli in sospetto.
I due Compari si scambiano l’ennesima occhiata, confabulando qualcosa sottovoce.
Che si staranno dicendo?
La mia determinazione vacilla pericolosamente.
In questo momento sospeso, non vorrei essermi fidata troppo delle mie forze.
Se non abboccano, e di gran fretta per giunta, il tempo a mia disposizione sarà davvero agli sgoccioli.
E non solo avrò fatto un buco nell’acqua, peggiorando decisamente la situazione, ma rischio persino di arrivare in ritardo all’appuntamento della vita, con in più l’incombenza di far sparire, e di corsa, questo mio doppio tanto vistoso e inevitabilmente ingombrante.
Potrei aver fatto la cretinata del secolo, mi va ripetendo dentro una vocina insistente.
Invece il Gatto mi lancia un’occhiata in tralice, da pagina 7 del Manuale del Seduttore Impenitente, e con voce carezzevole esclama, Stia tranquilla, signorina, non si disperi in questo modo. La andiamo a prendere noi Natasha, la prego, ci permetta di essere utili a lei e sua sorella.
Ma no, no, non potrei mai…
La Volpe sta però già ingranando la marcia: Natasha come?
Maramescu, invento lì, su due piedi. Il volo da Bucarest delle 17,30.
E già spariscono alla vista.
Galanti proprio, non c’è che dire.
Pagherei non so quanto per vedere la vostra faccia, quando scoprirete che non c’è alcun volo da Bucarest e, soprattutto, nessuna fantomatica Natasha Maramescu.
Maramao a voi, grulli carissimi. Spero imparerete la lezione. E sennò, pazienza, vorrà dire che dovrò escogitarvene un’altra.
Intanto c’è il via libera, finalmente.
Tiro un sospiro di sollievo e per l’ennesima volta guardo l’ora.
Ho il tempo contato per prepararmi e, traffico permettendo, arrivare precisa come un orologio svizzero al mio benedetto appuntamento.
Mentre, con un pizzico di rammarico, saluto, struccandomi, questa mia stupefacente versione rumena, mi concentro con determinazione  sulle possibili risposte ad un’ipotetica intervista di massima.
Ho tutti i requisiti richiesti, mi ripeto per darmi conforto, e un curriculum niente male.
Mi attraversa però sul più bello un dubbio repentino: ma gli stivali che fa, hai visto mai, me li lascio?