Poesie per le Nuove Resistenze

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ALBERTO RIZZI

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Alberto Rizzi, “ACHTUNG BANDITEN” (Poesie per le Nuove Resistenze)
Foto di copertina: Luca Perino, gentile concessione “A” Rivista Anarchica.

Due parole dall’Autore

“Fa chi vuole fare
e chi vuol sapere, sa,
che la Speranza è un fiore,
ma frutti non ne dà.”

(S. Endrigo)

Era il 2008 quando, per un Editore “vero”, uscì “Poesie incitanti all’odio sociale”: problemi vari mi hanno impedito di pubblicare questa raccolta (che ne costituisce a tutti gli effetti il seguito) tramite Mauro Ferrari, ma mi sembrava inutile, visto il momento sociale nel quale purtroppo ci troviamo, attendere oltre.

Questo libro non mostra più una generica, rabbiosa presa di posizione contro i guasti che questa società ci costringe a sopportare; e la differenza non è quindi nello stile poetico, ma nella forma che ho scelto di darle, considerando che non si può “fare resistenza”, se non si ha ben chiaro un progetto da contrapporre a quello che non ci sta bene.

Dunque “Poesie incitanti all’odio sociale” viveva di denunce, rabbie, meditazioni sullo sfascio di questa società, fino ad invocare soluzioni anche dirompenti. Qui invece ho tentato di organizzare le liriche, perché la raccolta avesse il taglio di un’opera di formazione.

L’io poetante parte prendendo in esame qualche avvenimento di cronaca relativamente recente e, ancora una volta, lo sfascio sociale in cui ci troviamo; tenta di trovare soluzioni attraverso lo scontro diretto e rende omaggio a chi davvero, come in Val Susa da anni (e nel Salento in questi ultimi mesi, viene da aggiungere), fa Resistenza anche fisicamente contro le mafie che aggrediscono il territorio.

Ma a poco a poco e proprio osservando la realtà spicciola che lo circonda, comprende che se a livello di singoli Resistere è imperativo in qualunque situazione negativa e a qualunque scala (politica, economica, sociale…), pure non può pensare che un giorno si materializzeranno persone, che “E scenderanno i colli / E accenderanno il fuoco” (da “Canzone di speranza”, p. 73)* risolvano i problemi al posto nostro; né può ragionevolmente sperare che la Natura faccia altrettanto (“Invocatio”, pp. 61 e 62); e meno che mai potrà esserci un governo forte, che si possa far carico di “mettere in sicurezza l’ambiente”, costi quel che costi e anteponendo i suoi diritti pure a quelli della gente che lo abita. Anche se “Un Delta a misura d’uomo” (pp. 63-68) era pur sempre e prima di tutto una provocazione.

Le soluzioni che il “protagonista” a questo punto individua, non sono quelle – semplici e rincuoranti – che l’italiano medio s’aspetta, quando cerca ricette per risolvere i problemi che lui per primo ha contribuito a creare. Non ci sarà l’invito a turarsi il naso e votare il meno peggio; non quello di recuperare (o costruire ex novo) l’ennesima ideologia: “oppio dei popoli” ala posto delle religioni, secondo il progetto sociale del Positivismo; e nemmeno la consolatoria e sacrificale teoria, secondo cui o ci si salva tutti, o non si salva nessuno. E neppureviene evocato – finalmente – un “Uomo Nuovo” da individuare, o realizzare e fideisticamente seguire.

C’è solo la presa di coscienza, che si è fatto ormai abbastanza per gli altri: i quali hanno tutto il diritto di morire con le loro belle fette di prosciutto sugli occhi. “Decrescita felice” o no, solo chi è disposto a rinunciare a questo modello di sviluppo e a costruirne uno nuovo, basato su autosufficienza e mutua assistenza (fra simili), avrà qualche speranza di restare a galla; soprattutto se saprà coagulare attorno a sé altre persone di pari sensibilità.

Ma una società nella quale le adolescenti si prostituiscono per la ricarica del telefonino (credendosi magari più emancipate delle loro madri) e gli adolescenti di entrambi i sessi assumono allegramente sostanze, con le quali si bruceranno il cervello entro i primi venticinque anni di vita, non ha più nulla da dire, né da fare: perché ha scelto di suicidare se stessa attraverso i propri figli.

Così che forse la parola che più si adatta alla volontà di cambiare questo stato di fatto, non è “Resistenza”, con lo scontro aperto che sottende; ma “Resilienza”, con la capacità mercuriale di approfittare di ogni minima crepa del Sistema, di adattarsi a qualsiasi mutamento del “nemico”: doti indispensabili per saper gestire tale volontà. Ma soprattutto, poiché lo spreco – anche d’energie – è l’errore più grave, ricordiamoci: non perdiamo più tempo a dare perle ai porci.

“Ognuno è figlio della sua sconfitta,
ognuno è libero col suo destino
……..
brucia tutto e vai in Africa, Celestino!”

(F. De Gregori)

(Tutte le citazioni sono prese da poesie de “Poesie incitanti all’odio sociale”, Novi Ligure -AL – Ed. Puntoacapo 2008.)

Recensione di Mauro Ferrari

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