IlvaLesegno

copertinaPATRIZIA GHIGLIONE

Viaggiando per il Monregalese verso la metà del mese di settembre 2013, in prossimità di qualsiasi rotonda, si trova uno striscione degli sposi: solitamente mette in guardia i protagonisti dell’imminente evento, un ultimo tentativo di dissuaderli dal cadere nella pericolosa trappola del matrimonio. Per lo più l’ammonimento si rivolge allo sposo, colui che, come ben si sa, è la vera vittima dell’inganno.

La curiosità spinge ad entrare nel merito del messaggio, spesso colorito ed originale, oggi trifula domani trippe e così via.

È allora che ci si accorge del fraintendimento: le scritte, rosse su pellicola trasparente, raccontano qui, invece, di una morte, quella del lavoro, e della disperazione che essa ha causato. Seguendo il loro percorso, si giunge al nocciolo della questione: che, come ormai si sarà capito, non è il sagrato di una chiesa. Sono, invece, i cancelli principali di una fabbrica; in alto, la scritta RIVA ACCIAIO. Una tenda e tante bandiere da un lato, un piccolo accampamento di tende nel prato sottostante. Il presidio, numeroso ed agguerrito, chiede al passante di clacsonare per solidarietà e alle numerose adesioni, risponde con il pugno, proprio quello sinistro, rialzato. Pare una scena d’altri tempi, una protesta degna dei migliori, primi anni ottanta.

Un’occasione da non perdere: è tutt’uno soffermarsi ad ascoltare i suoi protagonisti.

Allora si viene a sapere che, dopo i provvedimenti della magistratura in seguito alle condanne dell’Ilva-Riva acciaio di Taranto per disastro ambientale e omicidio colposo nei confronti degli operai addetti alle varie lavorazioni, le imprese del gruppo sono state sottoposte a sequestro; che, per questo motivo, l’azienda ha interrotto la produzione in tutte le sue sedi. A Lesegno, dunque, dicono così:

«Sono trentun’anni che lavoriamo qua, mai vissuta una situazione così dolorosa. Il nostro prodotto è specifico, particolare, acciaio di una certa qualità, non una cosa qualunque. Ci siamo trovati in mezzo a fatti che non ci riguardano, l’Ilva di Taranto. Noi siamo quasi una famiglia a sé, perché dobbiamo seguire le vicende di Taranto? Cose che succedono a più di mille chilometri di distanza, non ci interessano; i nostri colleghi di Taranto se la vedranno loro. Se ne occuperà la magistratura. Noi potremmo benissimo andare avanti con le nostre gambe: abbiamo il 30% di ordini in più e non possiamo lavorare; ci sembra paradossale, paghiamo per altri.

Sì, sì, hanno sequestrato i beni ma non bloccato la produzione. Ma come si può pensare di usare una macchina che funziona se non ci metti la benzina? Se le banche hanno bloccato i fidi, certo la produzione non può partire.

Noi, della famiglia Riva non siamo interessati, non ne sappiamo nulla, non possiamo attribuire colpe né all’uno né all’altro.

Certo, però, la solidarietà è commovente; l’ex pastificio Gazzola, i suoi operai ormai senza lavoro, ci hanno portato la pasta, per sostenere ed incoraggiare questo presidio. Ci hanno detto: almeno voi che potete, resistete».

Allora ci si rende conto che la protesta di Lesegno del mese di settembre dell’anno 2013 non ha poi molto in comune con le mobilitazioni operaie dei tempi andati. Le stanze del tempo, d’altra parte, non possono ignorare la storia quotidiana, con i suoi momenti alti e con le sue basse tragedie.

(foto archivio Unione Monregalese)

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