LUCA BENASSI
Bisogna aspettarli al varco i salmoni
al collo di bottiglia della foce
spauriti, mentre accalcano l’acqua
bisogna tendere la rete dove
la superficie si increspa di pinne
le branchie annaspano quel desiderio
che riproduce il transito di nuove
generazioni. Allora è il momento
di calare la rete, di tendere
alla gola il laccio, l’arpione aguzzo.
All’uscita della metro noi siamo
salmoni ignari verso la mattanza.
(da L’onore della polvere, Puntoacapo editore 2009)
***
Non dite che non sapevate nulla
delle statistiche, delle polveri
stanche e le finestre aperte al temporale.
Non giustificatevi per i monitor
non dite di ignorare i documenti
di questi anni precari del tempo
che manca ogni giorno
e spreme e succhia, calcolato al netto
dei muri che non possiamo oltrepassare.
Non dite infine che serve una metafora
a spiegare il traffico, i cocci aguzzi sotto le ruote
e la notte guasta di amori infecondi.
E poi non accusate noi poeti
di non avervelo detto
e di non avervi ascoltato.
(da L’onore della polvere, Puntoacapo editore 2009)
***
Ti ha preso così, sulla strada
vendemmiato prima del tempo
sotto l’occhio preciso dell’astore.
Ci hanno stretto le mani a turno
legate al grano dei rosari
hanno portato confetti e pardule
come a un matrimonio senza sposa.
Si accontenta di un nastro d’asfalto
il nostro dolore
una famiglia che scava la terra
senza parlare
una campana che suona
una processione, un paese spaccato a metà
e ad ogni curva chiediamo
a un vento leggero, ai capelli neri
che segnano a lutto un destino di sangue
una figlia che cambia, un gioco
di odio e sfortuna.
(da il guado della neve, Edizioni CFR 2012)
***
Ti diamo la prima buona notte nella terra:
c’è una musa per questo, una stella incerta che buca
la lapide pregando in una lingua senza scrittura.
Mentre la sera chiude la faccia stralunata al mare
il maestrale come un Salmo sgranato
piega una terra fatta di sangue
e che sangue chiede ai suoi figli.
È questa una buona notte, una stretta di mano
una processione del silenzio che mai
chiude l’orbita vuota incisa nel granito.
Ti salutano i figli, i nipoti
quelli che ti hanno amato
l’estrema generazione.
(da il guado della neve, Edizioni CFR 2012)
Luca Benassi è nato a Roma nel 1976 dove vive e lavora. Ha pubblicato le raccolte poetiche Nei Margini della Storia, (2000), I Fasti del Grigio (2005), L’onore della polvere (2009) e le plaquette Di me diranno (2011) e il guado della neve (2012), Duet of Lines Sen no Nijuso (testi in italiano, inglese e giapponese, Junpaedition 2016 – versione e-book), insieme alla poetessa Maki Starfield. Ha tradotto De Weg del poeta fiammingo Germain Droogenbroodt (Il Cammino, 2002). Suoi testi sono usciti su La Clessidra, La Mosca di Milano, Atelier, Poeti e Poesia, Linfera e in rete. Giornalista pubblicista è nella redazione di Punto Almanacco della poesia italiana (puntoacapo editrice). Ha pubblicato la raccolta di saggi critici Rivi strozzati poeti italiani negli anni duemila (2010). Per puntoacapo editrice ha curato l’opera antologia Magnificat. Poesia 1969 – 2009 (2009), che raccoglie l’intera produzione della poetessa Cristina Annino, Percorsi nella poesia di Achille Serrao (2013) e La casa dei Falconi, poesia 1974-2014 (2014) che antologizza l’intera produzione in versi di Dante Maffìa.
Quando e come si è avvicinato alla poesia?
Mi sono avvicinato tardi alla poesia, dopo i vent’anni, quando frequentavo l’università. Studiavo legge e la mattina, prima di mettermi sui libri di diritto, leggevo qualche pagina di poesia per cercare di contrastare l’aridità di leggi e codici. Ho iniziato così, (ri)leggendo i simbolisti francesi che avevo a casa dal liceo, per poi andare in libreria a cercare i contemporanei. Ho iniziato a scrivere per caso, per imitazione, perché non sapevo fare altro per dire quello che avevo dentro, per far innamorare.
Eventuali attività poetiche, collaborazioni (riviste, collettivi, ecc) e pubblicazioni.
Credo che la mia nota biografica renda l’idea delle attività, delle collaborazioni e delle pubblicazioni, senza dover aggiungere altro. Posso dire che, poiché il mio primo impatto con la poesia è stato quello di lettore disinteressato ma oltremodo appassionato, è accaduto che con una certa facilità mi occupassi di poesiacome critico: leggevo dei versi e volevo parlarne, esprime quello che mi dicevano, senza l’acribia chirurgica del professionista, ma da poeta e da uomo. A volte questo si è rivelato un limite, nel senso che vengo considerato un critico più che un poeta.
Cos’è la poesia per lei?
È una domanda difficile alla quale rispondere. Potrei cavarmela dicendo che è la ragione di vita, ma mentirei. Ci sono molte cose nella mia esistenza che sono di uguale se non maggiore importanza, il lavoro che dà il pane, i figli, la fede, l’amore. Direi che la poesia è una lente con la quale guardo tutto questo, un modo di vivere e attraversare le cose. La verità è che non amo una poesia che si fa solo letteratura, che viene letta come fatto letterario, preferisco versi che raccontino la vita, che mi facciano fare un passo avanti nella comprensione dell’animo umano, che mi insegnino il dubbio ma mi facciano intravedere verità. Altrimenti leggerei cose più interessanti come Topolino o qualche romanzo d’avventura, e mi limiterei a scrivere noiosissime ma utili liste della spesa.
(A cura di Silvia Pio)