L’immateriale e l’Immaginario.

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LORENZO BARBERIS

E’ mancato il 31 ottobre 2016 Remo Ceserani, a 82 anni.
Il più importante studioso italiano di letterature comparate (sua la prima cattedra italiana, nel 1985), autorevole docente anche all’estero, superatore dello strutturalismo e delle gabbie disciplinari ristrette.

Per me, è stato soprattutto l’autore de Il Materiale e l’Immaginario, il poderoso volume di italiano delle superiori scritto con Lidia De Federicis, che possiedo nella versione di copertina, con quel titolo vagamente respingente che mi suonava marxisteggiante (il libro è del 1978 nella sua prima edizione), come pure non invogliante la mole ciclopica, cinque volumi di un migliaio di pagine ciascuno. Marxista Ceserani lo era, a suo modo, come rivendica oggi l’ultimo quotidiano comunista italiano in circolazione, il Manifesto, dove teneva la sua “Torre Saracena”.

Io ne apprezzai l’apertura interdisciplinare alla storia, all’arte, alla filosofia, alle altre letterature: per le materie umanistiche, il Ceserani divenne una guida unificata davvero preziosa al triennio delle superiori. Cesarani infatti riteneva l’insegnamento della Letteratura Italiana (che in seguito sarebbe divenuta la mia materia) come principe delle discipline umanistiche, raccordo al Liceo (cui lui pensava) e, di fatto, contenitore agli istituti tecnici (dove poi sono finito a insegnare, cercando sempre, con altalenante supporto dei volumi, di dare un accenno anche di arte, cinema, fumetto oltre a storia e letterature).

La cover dell’edizione blu, con un vezzo che non so quanto suo o del grafico, ma comunque efficace, si concentra su dettagli marginali, teoricamente poco suggestivi, solitamente un dettaglio delle mani e del vestiario: ma a ben guardare, determinanti per capire un’epoca. Una grandissima periodizzazione macro nel titolo, un rivelatorio particolare micro nell’immagine. Un santo vescovo benedicente per il medioevo, il Mercurio del Botticelli per il Rinascimento, un nobile di Versailles per il ’700, e così via.

La stessa utilità la ebbe il suo volume nei quattro anni di università, a lettere: ho preparato le due Letterature, fondamento del mio indirizzo, su quei volumi. Il barone del mio corso, mio quasi-omonimo, interrogava “ad apertura di libro” e molti così cercavano la letteratura di riferimento più breve (il Cesarani era la più lunga).

Ma io ce l’avevo già, lo conoscevo abbastanza, e decisi di tenerlo e approfittarne per studiarlo a fondo. Così scoprii che era a un tempo un sistema vastissimo e però non dispersivo, organico, con una struttura forte in cui tout se tient. Me la cavai bene senza uccidermi di studio, una volta capito lo schema di fondo, che era chiarissimo benché complesso.

Alla specializzazione per l’insegnamento lo riutilizzai, e lì mi fu utile non più la coerenza della struttura – che avevo ormai acquisito, a grandi linee – ma la vastità di approfondimenti che forniva. Qualsiasi tesina ci dessero da sviluppare come ipotetica lezione, inventando collegamenti anche astrusi per costringerci al lavoro di ricerca, lì c’era già tutto. Bastava personalizzare e adattare.

Quando iniziai a insegnare era ormai passato di moda: troppo complesso, per molti, e comunque io finii nel sistema non-liceale, dove in effetti lo riterrei ancora oggi molto impegnativo. Ma la struttura no, la struttura è quella:

Prima il passaggio dall’Alto Medioevo alla Società Urbana, dalla rinascita del Mille allo splendore del ’300; poi la nascita dell’Ancien Regime, lo stato assoluto tra ’500 e ’600, e la sua crisi tra Riforma e Rivoluzione (il ’700). E poi, in quinta, la Società Industriale, ’800 e ’900, i suoi conflitti e le sue culture.

Una struttura chiarissima e rigorosa anche in tutte le sue precisazioni intermedie, naturalmente; è evidente il taglio storicistico, che tiene come backbone dello studio letterario la centralità della storia (le Basi Materiali) su cui innestare l’Immaginario (struttura e sovra-struttura, direbbe un marxista ortodosso, ma Ceserani sceglie di cesellare termini più raffinati). Immaginario che poi si esplica in varie forme artistiche, non solo realistiche: le varie letterature nazionali, ma anche le arti, il cinema, io aggiungerei il fumetto e l’arte sequenziale.

Oltretutto quella cover, nella Black Edition (non ce l’ho, mi sarebbe piaciuta) strizza innegabilmente l’occhio non solo all’arte (come nell’edizione blu), ma all’Arte Sequenziale (l’immagine è unica, ma viene quadripartita, e l’ultimo quadro cambia: è una Sequenza). Un gioco del grafico, Ceserani, tra le molte cose, non ha mai scritto di fumetto.

Ma l’impostazione mi è servita anche in quello, che è il mio principale campo di studi di elezione, e giusto ieri citavo Ceserani in un recente articolo su Lo Spazio Bianco, la rivista italiana di studi sul fumetto (ancora non sapevo della sua morte).

Non il fumetto, dicevo: ma tutto il resto, Ceserani l’ha studiato. Il fantastico, innanzitutto: notare l’immagine di copertina, perfetta come al solito: un puttino alato che sta sulle spalle di un pastore realistico. In esso supera infatti tale contrapposizione sterile tra fantasia e realismo (il pur buon manuale che uso per adozione comune di istituto, parla erroneamente di realismo e anti-realismo): il fantastico non è evasione, spesso permette meglio di mostrare conflitti e tensioni reali. In pratica, è già la comprensione di, per dire, King e Dylan Dog; al tema gotico dedica poi un duetto sulla Nebbia, con Eco, nel 2009, fondamentale per capire i due ambiti sopra citati, e molto altro.

L’analisi sul fantastico non si fermava al gotico, ma coinvolgeva anche – con cautela, nel manuale – la fantascienza, e ad esempio i suoi studi su Philip Dick sono notevoli e citati anche in ambito anglosassone.

Ceserani infatti studia anche con grande attenzione il Postmoderno, in un saggio del 1997, di grandissima lucidità. Della “matrice derridiana” del postmoderno parla oggi anche meritoriamente Roberto Recchioni quando scrive una prefazione per il Dylan Dog del trentennale, per dire, ma chi ha introdotto autorevolmente questo concetto negli studi letterari italiani è soprattutto Ceserani.

Importante anche il suo studio su Letteratura e Fotografia, che completa nel ’900 la discreta attenzione ai parallelismi con l’arte visiva.

Insomma, per quanto indubbiamente non sia un mistero che io guardi maggiormente ad Umberto Eco come fascinazione intellettuale, Ceserani è la struttura cui faccio riferimento. Certo, ormai Ceserani è immateriale. Ma, almeno nel mio Immaginario, il suo manuale resterà un debito ineliminabile.

(del resto, era uscito con la Loescher, mica per niente.)