La vita ci ha portati qua

PATRIZIA GHIGLIONE (a cura)
Fadda, gli amici mi chiamano Fadda. Sono venuta in Italia nel 1999, in settembre. Ho tre figlie adesso; queste tre figlie che ho avuto dal 2000 al 2004. Sposata con un mio paesano che veniva su, ci siamo conosciuti e mi ha portata qua, in ricongiungimento familiare. Sono arrivata dal Congo, dal Congo democratico.
Mi ha portata fin qua. Ero un po’ impressionata, i primi mesi, che non avevo trovato niente di strano. Solo che le case erano troppo alte, per il resto niente. Niente di strano. Io vengo dalla capitale del Congo, noi abbiamo le case alte solo in centro.. Io vivevo un po’ fuori, in periferia ci sono le casette, le ville, case basse. Poi, piano piano, ho visto; per esempio, una cosa che mi ha stupito un po’ era il comportamento degli europei con la gente più vecchia: la chiamano solo per nome. Da noi, uno che è più vecchio di te lo devi chiamare mettendo anche l’articolo, che rappresenta che questa persona è più vecchia. Una forma di rispetto.
E poi una cosa ancora ho notato: se camminando arrivavo in un giardino per sedermi e c’erano dei bianchi seduti lì, appena mi sedevo, si alzavano. E andavano via. Perché sono nera. È diverso se sono africani bianchi, allora chiacchierano. Confronto a noi neri, veramente c’è tanta differenza. Infatti oggi come oggi lo vediamo sul lavoro: tra un marocchino e un africano nero, preferiscono un marocchino. Se albanese non parliamone neppure perché loro non sono neanche africani, sono europei.
Comunque, per il lavoro io non ho avuto difficoltà: a volte qualcuno è fortunato.
E poi quello che ho notato è che per noi neri è difficile essere accettati, proprio fisicamente. Ti devi presentare bene, se non sei pulito non ti avvicinano. Loro, però, puzzano anche un po’, a volte usano un profumo che è troppo forte, un brutto odore.
Un’altra cosa di razzismo che ho notato è che se entri nei negozi non ti guardano neanche. Anzi no, pensano che sei lì per disturbare, cominciano a seguirti, e dove vai e cosa vuoi; se prendi in mano la merce ti dicono subito: “guarda che questo costa, eh?”. Perché mi dice che costa, se sono entrata è perché mi interessa comprare. Anche entrare per guardare non è mica un male: guardi se ti piace, puoi uscire, pensare un po’ e poi tornare. Questa è un’altra cosa che fa male.

E nella scuola una cosa che ho notato è che i nostri figli si lamentano. Una mia figlia ha tante difficoltà, già dalle elementari. Alla materna era una bambina tranquilla, un po’ timida ma stava al suo posto, lavorava, non disturbava. In terza elementare, un giorno voleva fare pipì e la maestra ha detto no, stai lì. Quando sono andata a prenderla mi dice che le scappa, che ne ha voglia già da un ora ma la maestra non l’ha lasciata. Ho provato a chiedere alla maestra e lei si è arrabbiata: ha richiamato tutti i compagni, poi si è rivolta alla bambina che ha avuto paura e è rimasta zitta. Così ho perso la pazienza con mia figlia e le ho dato uno schiaffo, mi è scappato quella volta lì. E lei, già timida, ha cominciato a tenersi tutto, ha una rabbia dentro. Anche per farla uscire, ora, devo convincerla che è bella e intelligente, ma non basta. E quella cosa lì mi ha bloccato proprio la figlia, non so dove. Mia figlia più grande, quando andava alla materna, arrivava a casa e diceva “brutto nero”, lo diceva così per scherzo ma a casa, di certo, non l’aveva sentito. E non girava mica il mondo; oggi sì, gira, e può imparare anche per la strada queste cose.
Io ti dico la verità, sono cristiana, con l’aiuto di dio ho superato tante difficoltà e penso che sia normale trovare gente così, non tutti. A volte c’è anche gente che fa finta, che ride con te ma non ti è amica. Però niente da fare, viviamo in questo paese e non è colpa nostra se siamo qui: è la vita che ci ha portati qua, dovevamo farlo per sopravvivere; per questo siamo venuti a cercare qualcosa in questo paese. E fa male sentire tua figlia che ti dice: “mamma, sai che uno mi ha detto tornate al vostro paese”. Loro sono nate qua e ritornare a casa loro significherebbe proprio restare in questo posto. Tanti sono i genitori africani che si trovano in questa situazione, non credo proprio di essere la sola. Che dicono ai loro figli “ascoltate il vostro cuore e andate avanti”. Cosa dico io? Io dico tenete duro, e studiate per fare la differenza. Proprio così. Non bisogna piangere, ci fa male. Diciamo sempre ai nostri figli che è normale: vivete tranquilli, vivete soprattutto, e studiate. Se sei intelligente e sei pulito, abbi rispetto di te stesso: ti accetteranno. Devono accettarti.
Non fare caso al loro razzismo, se ci fai caso non vai avanti. Ti chiudi e nessuno verrà a chiederti perché lo fai. Nessuno.

Noi che andiamo al lavoro, viviamo anche noi situazioni di razzismo, ne vediamo tanto, ma niente da fare. Io non guardo.
Il mio capo mi diceva che dovevo fare più degli altri perché “tu ce l’hai la forza, nel sangue”. Lo stesso sangue. Lo stesso corpo, due mani e due piedi. Però: “Tu via avanti, non lamentarti”, dice proprio così. Ma non fa niente. Fai anche di più, ti pagano anche poco. ma non fa niente. Bisogna resistere, non fare caso. Essere superiore.
Lo studio è un modo per risollevarti anche un po’ il morale. Un calciatore di colore, non so più chi, diceva: sono bravo se faccio gol, altrimenti non mi vedono. Così devo allenarmi più di loro per far vedere alla gente che ci sono.
Così le mie figlie dovranno darsi da fare più dei bianchi per essere riconosciute. Dove arrivi con la tua forza, vai.
Oggi come oggi, il razzismo nell’Africa nera non esiste, perché accettiamo tutti. Infatti i bianchi da noi sono bene accolti: non facciamo caso alla mafia che fanno, anche lì da noi. Le persone che porteranno il razzismo in Africa potrebbero, invece, essere i neri che vivono nei paesi dove lo subiscono.
Oggi come oggi, anch’io mi comporto in modo differente da un tempo quando sono laggiù. Nel 2009 sono andata a casa mia e c’era, in quel periodo, un bianco che si era candidato, voleva fare il ministro. Ho detto ai miei: voi non conoscete i bianchi, lasciamoli fuori dai nostri problemi.
Soprattutto i nostri figli, quando torneranno in Africa, forse si porteranno a casa il razzismo. Speriamo di no.

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