La necessità poetica di Gianni Marcantoni

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RITA BOMPADRE

“Complicazioni di altra natura” di Gianni Marcantoni (Puntoacapo Editrice – Collezione Letteraria, 2020) è una trasparente diagnosi della poesia contemporanea, una leale interpretazione analitica che osserva e presagisce le contrarietà impreviste della vita, gli ostacoli di ogni esperienza, riconoscendo all’altruistica elaborazione della sincerità l’intuizione emotiva dei valori, dileguati nell’indistinta incertezza del futuro. I versi diramano tortuosità impulsive, nella curva oscura delle immagini inquiete e malinconiche, diffondono contraddizioni interiori che ricadono sul dolore raccolto ed intimo dell’anima e dilatano lacerazioni e crudeli instabilità sentimentali. La parola offre in dono la protezione di ogni percettibile verità interiore e proietta la sensibilità nel dettaglio della nostalgia, sconfinando la cognizione di una poesia disincantata, prolungando il disagio delle illusioni e la condizione complicata di ogni mancanza. Il poeta agevola il significato degli impedimenti influenzando le conseguenze favorevoli della profondità espressiva, incisa nella nitidezza delle idee e nella lucidità della coscienza. La necessità poetica di Gianni Marcantoni è energia generatrice delle sensazioni contemplate ed esaminate, percepite attraverso la mediazione del senso, capaci di trasformare la proprietà empatica della realtà oggettiva. La riflessione intimista sulla natura incerta e provvisoria dell’inconsistenza umana, l’assenza e la solitudine dell’individualità invocano il coraggio dell’analisi sulla contemporaneità, l’essenza ontologica della temporalità, e, nelle poesie, i “correlativi oggettivi” sono l’identificazione di un’evocazione, nel legame tra contenuti profondi e motivazioni esterne. Il poeta dichiara di riconoscere la propria autenticità, intraprendendo l’indagine dell’essere, ridestando alla conoscenza l’abilità di essere nel mondo. La maturità sensibile dell’autore si nutre dell’originaria appartenenza alla propria riservatezza e indica la familiarità con la memoria percepita, compresa e legata al destino di chi scrive. Gli “strumenti umani” sono un’occasione esistenziale e rivelano una confidenza elegiaca svelando la spirituale coerenza del patrimonio affettivo, confermando la comprensione degli eventi e l’esposizione delle situazioni autenticamente trascorse e sofferte. I motivi d’ispirazione e d’idealizzazione poetica vivono del momento presente, scarno e vorace, ma evocano il coraggio di vedere oltre, di accogliere i conflitti, le ossessioni e gli inganni che invitano alla stabile permanenza del rifugio esistenzialista. L’orizzonte della consistenza è svelato dalla solidarietà umana, quando la finitudine della realtà, lucida e scaltra, asseconda ogni espressione in corrispondenza degli istinti e dei sogni che produce. Gianni Marcantoni ritorna lungo i luoghi perduti, i territori che con commozione e resistenza conoscono la parte migliore di ogni destinazione privata delle parole, nella distensione di ogni trasferimento della sofferenza. Il poeta si lascia attraversare dall’indugio alla consapevolezza e assegna lo sguardo disarmante e alieno all’abisso generato da ogni emergenza.

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

Testi scelti dalla raccolta:

Caduta

Il sole trita il mattino davanti al suo corteo
d’ombre, la notte rapiva il sonno della gente
ancora alla ricerca di miserie;
è tempo di ricominciare qualcosa
che abbia un principio,
è tempo di voltarsi e di guardare
oltre queste macerie intossicate nell’oro.

E in mezzo a tutto questo
un pidocchio salta da un marciapiede all’altro
risucchiato dal canto dei clacson ancora vivi,
teme da solo di essere scordato
come l’acqua di uno scarico che scroscia,
che scompare in una macchia buia,
scendendo giù verso la fine,
nell’ultimo spigolo, nell’ultimo rantolo,
come una specie di gomitolo che cade dalle mani.

*

Un altro resto

La tua luce si perde in un rifugio,
la notte ci sdoppia
da una membrana rigida come travertino.
Infondo sono poche parole che rimangono,
il vento trastulla il nostro vecchio motivo,
sui picchi dei monti – verso l’alto
il cuore non spinge più contro la parete.

Hai battuto il muso sul petto
(ed è stato solo un attimo),
un silenzio forse troppo complicato
da tradurre in suono. Ma il torchio gira
e ruotando preme l’ultimo
resto di mandibola, il pilastro appuntito
dove il braccio ancora circola.

*

Nell’aria

Gesti folli aprono i tuoi occhi,
gesti al buio di un teorema separano le acque,
il mio nome resta traccia di uno spazio che lenisce.

Un varco invisibile conduce alla sola verità necessaria
che sai la mia parola aver taciuto.
Nessun nome il sole può bruciare, dopo aver trascinato
questa vita in un cadavere dalle sembianze inumane.

Ho abitato la terra e il suo stringato lamento
perché il cielo ho smosso con le mani nude d’aria,
e svelato la notte a chi l’aspettava.

*

Corone del buio

Le parole incomplete hanno imbrattato
il quadro, ora la cornice sembra più sottile.
Del nulla cosparso osservo
le pinete indurite, che sembrano
un mosaico di ramificazioni allacciate
sopra una intelaiatura. Dell’immane nulla
ammiro la foschia del panorama,
che boccheggia soggiogato davanti alla fessura
aperta della mia safena in emergenza.

Eppure nella materia uno spettro si assembla,
dalle vecchie tubature ardenti
esso sovviene alla mia presenza
con una manciata di briglie in mano,
che aprono alle corone del buio
questo mutilato sipario di tagliole.

*

Vissuto

Vi saluto, ma tornerò – tornerò,
da qui nulla è perduto senza un taglio.
Domani è il mio vissuto, il vento era troppo cupo,
la luce troppo solitaria per risorgere da un dirupo.

Nel tempo non c’è sorte a separarci,
qui dove niente può spegnersi tornerò
senza avere avuto cure, saprò cosa dire
alle tue accuse che non più mi riguardano;
le pozze dissetano il branco.

Saprò dove guardare se la quiete
passerà a respirare dalle nostre parti scarne.