Mia madre aveva la camicia di forza

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Il 10 ottobre si celebra la ventiduesima edizione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla Federazione Mondiale della Salute Mentale.

Da Praxis, romanzo di Fay Weldon, inedito in Italia.

All’inizio mia madre aveva la camicia di forza, era tenuta d’occhio da coloro troppo in basso, troppo stupidi o depravati per lavorare altrove; la sua faccia, l’unica parte di lei alla quale era concesso muoversi, era piena di odio per il mondo in generale e per me in particolare. Non aveva nulla per cui esultare adesso.

Io non la odiavo, non l’ho mai odiata. Volevo solo poterla amare e aiutare, poter occuparmi di lei, distoglierla dalle sofferenze. Mi importava più del suo dolore che del mio. Non ci poteva essere felicità per me sapendo che mia madre era incarcerata in quel modo.

Dopo i giorni della camicia di forza, mia madre fu rinchiusa. I catenacci sferragliavano prima e dopo. Andavo a farle visita. Sembrava che mi venisse incontro senza mai arrivare, lungo corridoi infiniti, risuonanti di rumori metallici, ricoperti di piastrelle, che puzzavano di disinfettante e cavolo bollito.
A volte si degnava di riconoscermi, a volte no. Rivedo e rivedo la scena col ricordo: mandarla indietro alla fine del corridoio, accompagnarla verso di me: a volte si degnava di riconoscermi, a volte no.
Madre!
In seguito, quando i farmaci presero il posto dei catenacci e delle sbarre, e il paziente poteva venire imprigionato nella sua propria mente (e di solito erano donne), e il corpo esterno poteva essere lasciato libero, e gli edifici migliorarono e arrivarono i ricoveri giornalieri, e le stanzette singole, e i piselli surgelati al posto del cavolo, e giardini ben curati, e finì la segregazione dei sessi e iniziò l’ergoterapia e la terapia di gruppo, e i diritti del malato, e persino le visite, occasionali e brevi, dallo psichiatra, la situazione di mia madre migliorò notevolmente. Sembrava più felice. La mandavano a casa per brevi periodi.

È sempre stata pazza, oppure è stato il mondo che l’ha fatta impazzire, moralista, ipocrita e ostile? Oppure erano i tipi come lei che facevano della società ciò che era: moralista, ipocrita e ostile? Il fatto che mio padre l’avesse lasciata l’ha resa pazza, o lui l’ha lasciata perché lo era? E comunque cos’è la pazzia? Gettare tizzoni accesi nella stanza, odiare uno dei tuoi figli, preoccuparsi di più di un bacio lesbico che dello stupro da parte di un prete? Preferire starsene a letto piuttosto che alzarsi? Penso che se lei avesse fatto tutte queste cose con allegria, o sotto l’effetto dell’alcol, nessuno si sarebbe sentito obbligato a rinchiuderla.
Ma lei era infelice, ansiosa e non perdeva occasione di dimostrarlo, ed è stata ricoverata.

Da dove veniva l’infelicità? Le donne partoriscono bastardi, vengono abbandonate da amanti, e ci ridono sopra e vanno avanti. Mia madre no. Perché no? Avrebbe dovuto farlo, per il mio bene.

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(Traduzione di Silvia Pio – foto di Bruna Bonino)

Il capitolo 23 tradotto in italiano si trova qui: Praxis, tutto ciò che è femminile