L’insostenibile leggerezza della razionalità critica.

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STEFANO CASARINO.

L’ultima “fatica” (?!) narrativa di Michel Houellebecq conferma in pieno tutte le caratteristiche della voluta, esibita sgradevolezza espressiva delle sue precedenti opere.

Ci sono autori che fanno di tutto per riuscire “antipatici”, riuscendo perfettamente nel loro intento: e il nostro caustico scrittore merita un posto di tutto rispetto in tale categoria!

Procedendo pagina dopo pagina, più che l’avvertimento dei rimandi letterari (l’opera è certamente molto “costruita”, come compiutamente evidenzia l’articolata analisi di Lorenzo Barberis), più che l’emergere di una angosciosa preoccupazione per il futuro cultural-politico prospettato, si continua a pensare che l’unica “ragione” giustificativa di tale narrazione (se di narrazione poi è lecito parlare) siano l’evidente aggancio con l’attualità e l’ islamofobia dell’autore.

Nessun tipo di “simpatia” può scattare per questo “io” narrante così cinico e sprezzante, egocentrico e anaffettivo, sia nei confronti delle fugaci “amanti” (una sola delle quali sembra rappresentare qualcosa, ma in fondo anche lì solo di sesso si tratta) che dei propri genitori (si vedano le “carinerie” dedicate alla madre e al padre).

Docente universitario senza alcuna vocazione all’insegnamento, convinto anzi che il sapere non sia affatto trasmissibile (tratto questo che, ad onor del vero, qualche pensierino dovrebbe suscitare: qui, certo, un po’ di “esemplarità” è innegabile!), non sopporta i giovani, si compiace di identificarsi nel decadente Huysmans – a cui per altro deve le sue fortune accademiche –, è misantropo e misoneista.

Gli calzano a pennello le definizioni che Huysmans dava di sé: un cuore indurito e affumicato dai bagordi e non essere buono a niente. Siamo quindi di fronte ad un “inetto” (ancora uno!) postmoderno: lucido, bada solo al suo particolare, senza alcuna illusione né idealità. Per questo, non farà particolare fatica a “sottomettersi”.

Ovviamente apolitico (mi sentivo politicizzato come un asciugamani), ha però il notevole acume di accorgersi della trasformazione antropologica avvenuta nelle nuove generazioni: la destra liberale aveva vinto la “battaglia delle idee” […] i giovani erano diventati imprenditoriali. Nell’assoluto deserto valoriale, se conta solo il proprio benessere e il proprio successo, largo allora a chi sembra garantirlo più di ogni altro: sarà l’Islam, non quello dell’Isis, ma quello della plutocrazia araba.

Non “guerra santa”, ma seduzione lenta ed inesorabile da parte della “maschia” fede musulmana sulla “femminea” decadenza europea. Sapendo bene, ovviamente, che il vero nemico dei musulmani, quello che temono ed odiano più di qualsiasi altro, non è il cattolicesimo: è il secolarismo, la laicità, il materialismo ateo.

Nessuno scontro di fede: il cattolicesimo è una sorta di fossile, nella Francia del 2022 restano solo suoi grotteschi, caricaturali rappresentanti, persiste ancora qualcuno che rappresenta “il cattolico cattivo”, quello la cui fede e il cui entusiasmo si esaltano davvero solo quando può considerare gli interlocutori come dannati.

Non da loro potrà venire l’opposizione al trionfante Islam, né dall’ebraismo che via via sparisce (emblematica al riguardo la figura di Myriam che abbandona la Francia e torna in Israele). E neppure, certamente, dagli intellettuali (almeno da quelli alla Houellebecq!), più che disposti a convertirsi, a “sottomettersi”.

Un ennesimo “tradimento dei chierici”, di cui la Francia ha certamente grande esperienza?

Prima di rispondere alla domanda, credo si debba riflettere sull’esibita rappresentazione della “decadenza” europea che Houellebecq ci propone.

Il Vecchio Continente non ha più nulla da dire, ha esaurito la sua energia ideale e quindi anche la sua  storia. Non chiede che di essere preso, “posseduto”(di tutto il pornografismo di cui l’opera abbonda, vale la pena di riprendere il riferimento ad Histoire d’O) da chi ha intraprendenza ed entusiasmo virile.

Come non pensare, in tema di Decadentismo, al Verlaine di Languore (sono l’impero alla fine della decadenza,/ che guarda passare i grandi barbari bianchi), al suo senso di esaurimento, di saturazione, di definitiva sterilità artistico-espressiva e cultural-valoriale (Tutto è bevuto, tutto mangiato! Più nulla da dire)?

Non ci sono più Augusti nostrani, dopo la Roma dei Cesari e quella dei Papi.

E allora, ben venga un Augusto-Califfo da fuori!

Ma nel gioco di raffronti ci può ben stare anche il Kavafis di Aspettando i barbari:

Cosa aspettiamo qui riuniti al Foro?

           Oggi devono arrivare i barbari.

Perché tanta inerzia al Senato?

E i senatori perché non legiferano?

             Oggi arrivano i barbari.

             Che leggi possono fare i senatori?

             Venendo i barbari le faranno loro.

Ma poi i barbari non arrivano, e la chiusa è sconsolata:

             Come faremo adesso senza i barbari?

             Dopotutto, quella gente era una soluzione.

Ecco, sembra che anche la paventata islamizzazione possa essere una soluzione!

C’è davvero qualcosa di profetico in tutto questo? Lo si è scritto per una sorta di esorcismo, in modo apotropaico? Oppure per “aprirci gli occhi”, per costringerci a prendere posizione perché “il nemico” è già tra noi?

Ciascuno risponderà come crede.

Al sottoscritto vengono in mente due riflessioni.

La prima scaturisce dalla meditazione di due affermazioni, una di S.Rushdie (Il fondamentalista crede che noi non crediamo in niente), l’altra di B.Russell (Il problema dell’umanità è che sciocchi e fanatici sono sempre così sicuri di se stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi).

Rifiutare l’idea stessa di “scontro di civiltà”, non essere in possesso di verità eterne e di fedi incrollabili non significa essere deboli, mettersi alla mercé di chi è tetragonicamente convinto dei propri dogmi. La razionalità “calda”, filantropa, aperta al dialogo e all’incontro, è l’unico possibile antidoto ad un’opera di proselitismo, blando o feroce che sia.

La seconda: l’Europa, l’Occidente sono malati, certo. Economicamente, culturalmente, spiritualmente.

Ma hanno dato molto e molto, credo, hanno ancora da dare.

Se non dimenticheranno, se non dimenticheremo la nostra vera autentica tradizione umanistica (sì, proprio di quell’umanesimo dileggiato nelle prime pagine di “Sottomissione”).

Se ripartiremo dalla lezione dei nostri veri maestri. Socrate e Platone, Galileo e Bruno, Voltaire e Rousseau. Di tutti coloro che hanno scritto, insegnato (alla faccia dell’intrasmissibilità della cultura!), lottato e sofferto per la libertà di pensiero, di parola, di espressione in qualunque forma. Di tutti coloro che credono che gli uomini siano nati l’uno per l’altro (Marco Aurelio, tanto per citare un Augusto particolare!).

Contro tutti gli integralismi.

Contro tutti i catastrofismi. Anche quelli cinico-corrosivi alla Houellebecq.