Echi della Prima Internazionale. Da Londra ai territori subalpini

Garibaldi in Londo

Il 28 settembre 1864 presso la St. Martin’s Hall a Londra veniva costituita l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), meglio conosciuta come Prima Internazionale.
Margutte pubblica gli interventi alla conferenza “1864 – 2014 150 anni di lotte e speranze per una società fraterna” tenuta il 28 settembre 2014 a Mondovì.
La Prima Internazionale di Sergio Dalmasso
La Prima Internazionale oggi: superare un sistema anti-uomo di Andrea Pace

ATTILIO IANNIELLO

Nel corso del 1864 circolarono per le strade di Londra numerosi personaggi che la storia, quella con la S maiuscola, ha poi immortalato.
Tra questi, nella primavera di quell’anno, si potevano trovare Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi che promuovevano in maggio la costituzione della “Società per il progresso degli Operai Italiani in Londra” con sede presso l’abitazione del Mazzini al civico 5 di Hatton Garden. Agli operai Garibaldi scrisse:
«Fratelli Operai, vi lascio partendo un saluto del cuore ed una parola per l’affetto che testimoniate a me ed all’Italia. Conservatevi devoti al lavoro ed alla Patria. Abbiate fede nella causa immortale della Libertà e dell’Umanità. La storia degli operai italiani è storia di virtù e di gloria nazionale. Non dimenticate i padri vostri e traetene esempio al compimento dei nuovi doveri. Voi interpretate nella vostra bandiera, ciò che l’Italia aspetta da noi.
Addio fratelli, lavoriamo insieme all’impresa rigeneratrice
vostro Giuseppe Garibaldi». [1]
Due degli operai della novella Società di Mutuo Soccorso italiana in Londra erano Luigi Wolff e Giuseppe Fontana. Questi furono chiamati a partecipare il 28 settembre 1864 alla costituzione, come rappresentanti italiani, dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), meglio conosciuta come I Internazionale dei Lavoratori. All’interno della St. Martin’s Hall a Londra si riunivano infatti, oltre ai due italiani, Louise Tolain, Charles Limousin, Edouard. Fribourg, Eugène Varlin, Henry Lafort, George Odger, William Cremer, Victor Le Lubez, Georg Eccarius, Karl Marx, Friedrich Lessner, Hermann Jung, Philip Becker, John Weston, Karl Schapper, Constantin Bobczinski, Jean-Baptiste Dupleix. Questi operai ed artigiani (vi erano infatti sarti, tipografi e orologiai) rappresentavano il movimento europeo di emancipazione delle classi subalterne, movimento che si radicava sia nelle idee socialiste libertarie oweniane, proudhoniane e bakuniniane sia nel pensiero mazziniano sia nel programma del socialismo scientifico di Marx.
Quest’ultimo veniva incaricato di scrivere lo Statuto provvisorio dell’Associazione il cui preambolo (21 ottobre 1864) recitava:
«Considerando: a) che l’emancipazione della classe operaia dev’essere opera dei lavoratori stessi; che la lotta della classe operaia per l’emancipazione non deve tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire per tutti diritti e doveri uguali e ad annientare ogni predominio di classe; b) che la soggezione economica del lavoratore nei confronti dei detentori dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti della vita, è la causa prima della schiavitù in tutte le sue forme, di ogni miseria sociale, di ogni pregiudizio spirituale e di ogni dipendenza politica; c) che l’emancipazione economica della classe operaia è di conseguenza il grande scopo al quale ogni movimento politico è subordinato come mezzo; d) che tutti i tentativi rivolti a questo scopo fino ad oggi sono falliti per mancanza di solidarietà tra le diverse branche di lavoro di ogni Paese e per l’assenza di un’unione fraterna fra le classi lavoratrici dei diversi Paesi; e) che l’emancipazione della classe operaia, non essendo né un problema locale, né nazionale, ma sociale abbraccia tutti i Paesi nei quali esiste la società moderna, e per la sua soluzione dipende dal concorso pratico e teorico dei Paesi più progrediti; f) che il movimento rinnovantesi al presente della classe operaia nei Paesi più industriali d’Europa, mentre fa nascere nuove speranze, in pari tempo costituisce un solenne avvertimento contro una ricaduta negli antichi errori e la spinge a congiungere immediatamente i movimenti ancora isolati; per queste ragioni i sottoscritti membri del Comitato eletto il 28 settembre 1864 nell’assemblea pubblica al St Martin’s Hall di Londra, hanno preso le misure necessarie per fondare l’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Dichiarano che questa Associazione Internazionale e tutte le società e gli individui che vi aderiscono riconosceranno come regola della loro condotta tra loro e nei confronti di tutti gli uomini, senza distinzione di colore, di fede o di nazionalità: verità, giustizia, moralità.

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Considerano come un dovere per ogni individuo richiedere, non soltanto per se stesso, ma per tutti, i diritti dell’uomo e del cittadino. Nessun diritto senza doveri, nessun dovere senza diritti. E in questo spirito hanno elaborato i presenti Statuti provvisori dell’Associazione Internazionale: Art.1 – La presente Associazione è fondata per costituire un centro di collegamento e di cooperazione tra le società operaie esistenti nei diversi Paesi, che aspirino al medesimo scopo, e cioè: il mutuo soccorso, il progresso e l’affrancamento completo della classe operaia […]». [2]
Iniziava così in una sala del St. Martin’s Hall una delle pagine più importanti della storia sociale europea e non solo. Singolare la coincidenza del luogo di nascita: il richiamo di una figura religiosa, san Martino appunto, che nell’agiografia è ricordato come colui che divise il proprio mantello con un povero, assurgendo quindi ad uno dei tanti testimoni della solidarietà.
I principi della Prima Internazionale si diffondevano a macchia d’olio in Europa ed anche in Italia. Qui gli ideali sanciti a St Martin’s Hall non solamente rinforzavano le fila di mazziniani e protosocialisti ma coinvolgevano anche la quotidianità, spesso ravvivandola, di istituzioni quali le Società di Mutuo Soccorso e le Cooperative che già da alcuni decenni si erano diffuse nelle diverse regioni della penisola. [3]

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Le Società di Mutuo Soccorso all’inizio della seconda metà del XIX secolo
Nel mese di maggio del 1867, Giuseppe Garibaldi, che apprezzava il lavoro della Prima Internazionale, scrisse a tutte le circa duecento Società di Mutuo Soccorso di cui era Presidente onorario invitandole ad inviare «una parola d’encomio e di fratellanza alla maestosa Lega degli Operai di Londra». [4]
L’invito di Garibaldi se in alcune regioni italiane veniva accettato da diverse Società e subito messo in pratica (Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Campania, Sicilia), in Piemonte tardava ad essere attuato per le caratteristiche politiche della maggioranza delle Società stesse piemontesi. Del resto nel capoluogo subalpino una sezione dell’AIL si aprirà l’8 ottobre 1871 con 150 soci [5] e, per esempio, in provincia di Cuneo si incominciò a dare regolari informazioni sull’AIL a partire dal 1870 con una serie di articoli del quotidiano cuneese Sentinella delle Alpi (a cominciare dal numero del 15 maggio 1870).
Sempre all’inizio degli anni Settanta del XIX secolo le Società di Mutuo Soccorso piemontesi in Congresso facevano finalmente cenno all’AIL come ricorda, tra altri, il periodico “Il Corriere di Fossano”:
«1) Le Società dovranno occuparsi delle questioni economiche, sociali, morali; 2) L’operaio che sappia leggere e scrivere dovrà avere il diritto d’elettorato politico-amministrativo; 3) Avrà il diritto alla compartecipazione degli utili risultanti dall’Associazione del Capitale col lavoro e si occuperà dei mezzi più atti il conseguimento di tale compartecipazione; 4) Il Congresso addita all’operaio e all’imprenditore il lavoro a cottimo, come mezzo di un bene comune e stabilisce non più di 10 ore di lavoro su 24; 5) Proclama l’istituzione di scuole sperimentali, società cooperative e di mutuo lavoro; 6) Condanna il giuoco del lotto; 7) La istruzione chiesastica e religiosa nelle scuole; 8) Approva il mutuo scambio fra le diverse Società; 9) Stende la mano fraterna all’Associazione Internazionale dei Lavoratori ed a quanti dentro e fuori d’Italia si propongono la trattazione dell’emancipazione politico sociale dell’operaio; 10) Fa appello alle società onde propugnino l’istruzione, l’educazione e l’uguaglianza nei diritti d’elezione e di pubbliche cariche nella donna; 11) Condanna gli scioperi, ma qualora ogni mezzo persuasivo fosse inutile, gli operai possono far gli scioperi regolati sempre da un consiglio di probi viri» (Il Corriere di Fossano del 7 luglio 1872).

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Ma quando erano nate e che cosa erano le Società di Mutuo Soccorso?
Le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) erano nate in particolare dopo la promulgazione dello Statuto di Carlo Alberto, il 4 marzo 1848, che riconosceva «il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica» (Art. 32).
Queste Società generalmente sorgevano per volontà di nobili e borghesi animati dagli ideali filantropici, formatisi, soprattutto in Piemonte, nel pensiero liberal-moderato filo-sabaudo, anche se non mancavano esponenti del liberalismo progressista e democratico.
La prima SOMS sorgeva il 12 ottobre 1848 a Pinerolo, quando il calzolaio Matteo Brezzio insieme a Vincenzo Gonella e Giuseppe Alixandro decisero di unirsi per mettere la loro vita presente e futura sotto l’insegna del «vivere coll’onorato sudore della fronte, amandosi e soccorrendosi a vicenda». [6]
Nel 1849 la SOMS di Pinerolo iniziava la propria attività vedendo ben presto sorgere in tutte le province piemontesi importanti consorelle, che nel periodo d’oro della loro attività, dalla metà del XIX ai primi decenni del XX secolo: «a) istituirono corsi femminili di economia domestica e di igiene infantile, biblioteche popolari circolanti, scuole serali e festive di cultura, di musica e di recitazione, di disegno, di contabilità, di lingue, e scuole professionali [...]; b) promossero conferenze di indole economica e sociale, la creazione di Società di amici dell’infanzia, di sale di lavoro per ragazzi abbandonati, di patronati per liberati dal carcere [...]; c) istituirono Uffici di collocamento, cucine popolari, colonie marine e montane, l’assistenza medica ambulatoriale ed a domicilio, nonché la distribuzione gratuita di medicinali, o con sconti sui prezzi; d) coi prestiti ai soci posero il germe della cooperazione di credito [...]; e) attuarono tutte le forme di assegni: malattia, invalidità e vecchiaia, nuzialità e natalità, onoranze funebri ed acquisti di loculi nel cimitero, vedove ed orfani, disoccupazione involontaria, assistenza legale e professionale, prestiti sull’onore, acquisto di macchine, strumenti di lavoro, concimi e semi [...]; f) apersero magazzini e spacci cooperativi…».[7]
Nella seconda metà del XIX secolo si diffusero anche nel Cuneese le SOMS, distribuendosi in tutto il territorio provinciale e raggiungendo il cospicuo numero di centosettanta. [8]
In questo clima di fervore solidale anche a Mondovì ci si mobilitò per promuovere questi enti mutualistici.
Tra il 1850 e il 1851, infatti, il direttore de “L’Ape Mondovita” [9], Vitale Maurizio Buzzi, riportava spesso dalle colonne del suo giornale notizie riguardanti le SOMS che sorgevano in ogni dove. Generalmente, poi, gli articoli terminavano con l’invito ai Monregalesi di imitare ciò che stava accadendo in altre città e cittadine del Regno a favore degli operai: «I benemeriti promotori di quest’opera [la Società Operaia] eminentemente cittadina, riconoscendo in tutti gli uomini uguali diritti, nessuno hanno escluso dall’associazione (nemmeno coloro che non hanno il vestito a coda di rondine, nemmeno coloro che non portano i guanti), ognuno vi è ammesso, comprese le donne. […] Cittadini, sussiste da più anni nella nostra città una società composta dei nostri coraggiosi mastri-muratori, i quali deponendo settimanalmente l’obolo nella cassa fraterna, si soccorrono mutuamente nelle peripezie della vita… Perché non ci uniremo tutti per formare un’associazione di mutuo soccorso che si estenda a tutte le classi indistintamente, prendendo vita dalla stessa società dei bravi muratori? […] Coraggio dunque, o voi che la sorte volle distinguere per agiatezza, o voi che non siete condannati a mangiare il pane del sudore; promuovete questa santa istituzione ed il popolo vi benedirà» (Società di Mutuo Soccorso, in “L’Ape Mondovita” del 22 febbraio 1851).
Gli auspici di Vitale Maurizio Buzzi si realizzarono a partire dalla primavera del 1851. La Pia Unione di Mutuo Soccorso dei Mastri Muratori sotto il titolo di San Bernardo, che era nata nel 1846 e nonostante la denominazione manifestava un certo anticlericalismo, il 18 maggio 1851 diramava un comunicato stampa in cui «a seguito delle varie richieste, ed al convincimento del vantaggio che ne ridonderebbe a pro de’ suoi fratelli per l’ammissione di operai ed artisti di ogni classe, si fa premuroso dovere di invitar tutti i cittadini Mondoviti che desiderano far parte di questa pia unione a voler presentare la loro domanda alla direzione, la quale sarà in ogni domenica ad un’ora pomeridiana radunata in una sala al primo piano della casa del Caffè Nazionale in Breo» (Pia Unione di Mutuo Soccorso, in “L’Ape Mondovita” del 17 maggio 1851).
Nel corso di alcune riunioni svoltesi “al primo piano della casa del Caffè Nazionale in Breo” si decideva di trasformare la Pia Unione in una Società Operaia di Mutuo Soccorso e Reciproca Istruzione «che dovrà estendersi indistintamente a tutte le classi di cittadini» (Società di Mutuo Soccorso, in “L’Ape Mondovita” del 28 giugno 1851).
In seguito alla costituzione e al buon andamento delle attività sociali della SOMS di Breo, anche negli altri quartieri di Mondovì gruppi di cittadini si riunivano per discutere dell’eventuale costituzione di una società operaia. Infatti nel 1860 se ne formava una a Carassone, mentre nei primi mesi del 1861 si riunivano nella sezione Piazza quanti desideravano avere una propria società mutualistica. [10]
Tutte queste Società, e le altre che si sarebbero aggiunte in seguito, ebbero una forte sensibilità sociale creando magazzini di previdenza per acquistare generi di prima necessità per i soci e promuovendo l’emancipazione culturale e morale degli stessi.
In particolare la SOMS di Breo poco per volta vedrà aumentare al suo interno soci di ispirazione socialista tanto che nel 1893 costituirà una cooperativa di consumo. la Cooperativa Operaia Monregalese.

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Il movimento cooperativo all’inizio della seconda metà del XIX secolo.
Karl Marx nelle “Istruzioni per i delegati del Consiglio generale”, scritte nel 1866 aveva sottolineato l’importanza del movimento cooperativo: «Riconosciamo il movimento cooperativo come una delle forme trasformatrici della società presente, basata sull’antagonismo delle classi. È suo grande merito di mostrare praticamente che il sistema attuale di subordinazione del lavoro al capitale, dispotico e pauperizzatore, può venir soppiantato dal sistema repubblicano e benefico della associazione di produttori liberi ed eguali». [11]

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Tuttavia lo stesso Marx sottolineava come il movimento cooperativo da solo non bastava a trasformare la società.
Ma quando e dove era nato il movimento cooperativo?
Il moderno movimento cooperativo nasce in Inghilterra; nel 1820 seguendo le indicazioni oweniane George Mudie, editore del giornale “The Sun”, promosse con i suoi giornalisti e tipografi la “London Cooperative and Economical Society”, un’esperienza cooperativistica che durò poco tempo ma che ebbe il merito, secondo la testimonianza di George Jacob Holyoake, il più importante storico della cooperazione inglese, di essere la prima Società ad aver utilizzato il termine “cooperativa”. In quegli anni poi William King, anch’esso seguace di Owen, con il suo giornale “The Cooperator” pubblicizzò e promosse le “Cooperative Trading Associations” che avevano il fine ultimo di costituire delle comunità di ispirazione oweniana [12]. Agli inizi degli anni Trenta del XIX secolo si contavano oltre trecento “Cooperative Trading Associations” che ebbero però vita effimera. In questo contesto Charles Howarth a Rochdale, un sobborgo industriale di Manchester, fondò nel 1833 un “Negozio cooperativo”; esperienza quest’ultima di nuovo fallimentare (chiuse nel 1835) a causa «di aver fatto troppo credito ai soci».
Nonostante gli insuccessi, anzi paradossalmente proprio grazie a questi fallimenti ed alla riflessione sugli errori commessi, i cooperatori inglesi giudicarono essere ormai i tempi maturi per creare una cooperativa che superando gli orizzonti utopistici oweniani (senza ripudiarli del tutto, come vedremo) ponesse le basi del moderno sistema cooperativo.
La nuova consapevolezza cooperativistica infatti nasceva proprio in Inghilterra e proprio a Rochdale, cittadina della contea del Lancashire nella prima metà degli anni Quaranta del XIX secolo: «Erano i tempi in cui a Rochdale 7.000 operai (un terzo circa della popolazione) si trovavano privi di lavoro… erano i tempi in cui il salario medio dei tessitori era sceso dai 30 scellini settimanali del 1810 ai dieci ed anche ai sei scellini del 1840, e i salari non erano pagati nemmeno in moneta ma in natura e la povera gente viveva – o meglio moriva – con sei pence la settimana… erano i tempi in cui i bambini di 5 o 6 anni erano costretti a lavorare fino a 16-18 ore al giorno in tane prive di aria e di luce, indegne di esseri umani, e nelle fabbriche inglesi vigeva in tutto il suo tragico orrore lo sweating system pel quale gli operai venivano spremuti fino all’ultima goccia di sudore e spesso anche di sangue». Con questa drammatica descrizione della situazione sociale della cittadina industriale a pochi chilometri da Manchester, Alberto Basevi introduceva nel 1953 l’opera di George Jacob Holyoake in cui si raccontava la storia dell’avventura umana, politica ed economica di quei primi ventotto soci, in maggioranza tessitori, che diedero vita alla Rochdale Society of Equitable Pioneers, che è considerata dagli storici la prima cooperativa nel senso attuale del termine: «Alla fine dell’anno 1843, in uno di quei giorni tetri, umidi, tediosi, che nessun francese ammira – come si verifica verso novembre in cui il sole non risplende se non con difficoltà e solo per pochi istanti – un piccolo gruppo di poveri tessitori, disoccupati e quasi privi di cibo, scoraggiati per la loro situazione sociale, si riunirono per ricercare i mezzi atti a migliorare le loro condizioni di lavoro e di vita». [13]
Essi decisero, anche con l’apporto ideale di Charles Howarth, di iniziare una sottoscrizione per avere i soldi a sufficienza per costituire una cooperativa di consumo. Lo stesso Howarth, che era stato il promotore di quel “Negozio cooperativo” fallito anni prima, probabilmente fu il suggeritore di quell’atteggiamento di prudenza che indusse i Soci amministratori a rifiutarsi di far credito a chicchessia. Dopo un anno di preparazione, dibattiti e ricerca di nuovi Soci alla fine «la loro società fu registrata il 24 ottobre 1844, con la denominazione di Società dei Probi Pionieri di Rochdale. Per quanto meraviglioso il loro successo, il loro primo sogno era stato ancora più stupendo, essi avevano sognato di rifare il mondo». [14]
La cooperativa che univa persone di fede religiosa e politica diversa si era costituita con il seguente fine:
«Lo scopo e il programma di questa società è quello di adottare provvedimenti per assicurare il benessere materiale e migliorare le condizioni familiari e sociali dei suoi soci, costituendo un capitale di una sterlina per ogni azione per poter dare attuazione ai seguenti piani:
a) la creazione di un magazzino per la vendita di derrate, abiti, ecc.;
b) la costruzione o l’acquisto di un certo numero di case dove possano dimorare i soci, che desiderino aiutarsi vicendevolmente per migliorare la loro condizione familiare e sociale;
c) la fabbricazione di quegli articoli che la società riterrà opportuni per dare lavoro ai soci disoccupati o per aiutare coloro che soffrono in seguito a ripetute riduzioni dei loro salari;
d) a maggior vantaggio e sicurezza dei suoi soci, la società acquisterà o affitterà una o più proprietà fondiarie che saranno coltivate dai soci disoccupati o il cui lavoro è mal retribuito;
e) appena sarà possibile, la società si occuperà di regolare i poteri della produzione, della distribuzione, dell’educazione e della direzione o, in altri termini, di fondare una colonia che viva coi propri mezzi per gli interessi comuni o di aiutare altre società per la fondazione di consimili colonie».
Il 21 dicembre del 1844 i cooperatori aprirono il loro primo magazzino.
In quel giorno d’inverno, dal quale gli storici ufficialmente datano la nascita della cooperazione in generale e di quella di consumo in particolare, iniziava in sordina la storia di una delle più interessanti realizzazioni cooperative d’Oltre Manica, storia a cui il Movimento cooperativo britannico guarda ancora oggi con estrema attenzione ed interesse.
Infatti da questi “probi pionieri” «nasceva l’idea… di risolvere i gravi problemi della povertà e dello sfruttamento avviando il processo del “fare da sé”, di non aspettare passivamente l’aiuto della carità esterna, aiutandosi l’un l’altro in forma solidale. L’idea come tale non era certamente né nuova né originale. Da sempre l’uomo dava o riceveva nel bisogno un minimo di aiuto dagli altri. Originale e nuova era invece l’idea di creare una “impresa” con regole mutuate in fondo dallo stesso mondo liberale, ma con l’importante differenza di non perseguire in alcun modo il lucro personale e di attuare un’autogestione democratica (retta dal principio “una testa un voto”)». [15]
L’esperienza dei Probi Pionieri di Rochdale fu un po’ la matrice su cui si confrontò il Movimento cooperativo internazionale attraverso una sua organizzazione, l’Alleanza Cooperativa Internazionale, la quale a partire dal suo Congresso di fondazione avvenuto a Londra nel 1895 sempre fece riferimento ai “Principi di Rochdale”, principi che nel suo XXIII Congresso (Vienna, 1966) così espresse:
«L’adesione a una società cooperativa dovrebbe essere volontaria, alla portata di tutte le persone che possono utilizzare i suoi servizi e sono d’accordo per assumere le responsabilità inerenti alla qualità di socio; essa non dovrebbe essere mai oggetto di restrizioni che non siano naturali, né di alcuna discriminazione sociale, politica o religiosa.
Le società cooperative sono organizzazioni democratiche. I loro affari dovrebbero essere amministrati dalle persone elette o nominate secondo la procedura adottata dai soci, davanti ai quali esse sono responsabili. I soci delle società di primo grado dovrebbero avere gli stessi diritti di voto (un socio: un voto) e di partecipazione alle decisioni relative alla loro società. In tutte le altre società, l’amministrazione dovrebbe essere esercitata su una base democratica, sotto forma appropriata.
Se un interesse è corrisposto sul capitale sociale, il suo tasso dovrebbe essere strettamente limitato.
Il surplus o le eventuali economie risultanti dalle operazioni di una società appartengono ai soci di questa società e dovrebbero essere ripartiti in modo da evitare che qualcuno tra essi ne tragga un guadagno a spese degli altri. A seconda della decisione dei soci questa ripartizione può essere effettuata come segue: a) destinando una somma allo sviluppo dell’attività della cooperativa; b) destinando una somma ai servizi collettivi; oppure, c) procedendo a una ripartizione tra i soci, proporzionalmente alle loro transazioni con la società.
Tutte le società cooperative dovrebbero costituire un fondo per l’insegnamento ai propri soci, ai propri dirigenti, ai propri impiegati e al grande pubblico, dei principi e dei metodi della cooperazione, sul piano economico e democratico. Ai principi sopra esposti, abbiamo ritenuto importante aggiungere un principio dello sviluppo per mezzo della mutua cooperazione tra le cooperative e precisamente:
Per poter meglio servire gli interessi dei propri soci e della collettività, ogni organizzazione cooperativa dovrebbe, in ogni modo possibile, cooperare attivamente con le altre cooperative, su scala locale, nazionale ed internazionale».
I “Principi di Rochdale” in nuce già nell’inverno del 1844 iniziavano a dare linfa nuova alle idee di solidarietà e fratellanza tra gli uomini. Propagatore di queste idee, nate dal lavoro e dalle discussioni quotidiane di quei “Probi” tessitori nel loro piccolo spaccio cooperativo del vicolo dei Rospi, fu senza dubbio George Jacob Holyoake che incominciò a pubblicare a puntate sul “Daily News” a partire dal 1857 proprio la storia della Rochdale Society of Equitable Pioneers. Storia che in pochi anni fece il giro del mondo e fu tradotta in molte lingue, compresa quella italiana (la prima traduzione fu del professor Francesco Viganò). Proprio in Italia i principi rochdaliani trovarono terreno fertile per diffondersi anche se in forme e con indirizzi spesso sensibilmente diversi. Del resto alcuni protagonisti dell’epoca risorgimentale italiana (Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Giuseppe Garibaldi, solo per fare alcuni nomi) ebbero modo di conoscere di persona l’esperienza cooperativistica inglese e di intessere rapporti di amicizia con i suoi propugnatori.
In Italia il moderno movimento cooperativo nasceva in Piemonte, a Torino nel 1854, quando l’Associazione Generale degli Operai riprendeva lo spirito dei Probi Pionieri di Rochdale e apriva il primo spaccio cooperativo.
Nasceva così la cooperazione di consumo ed alcuni anni dopo, nel 1856, nacque la cooperazione di produzione e lavoro con la costituzione della Società Artistico Vetraria di Altare nel Savonese.
Le prime cooperative edilizie vennero fondate a Milano nel 1879 con il nome Società Edificatrice di Abitazioni Operaie e nel ravennate agli inizi del 1880 con la Società Anonima Cooperativa per la costruzione di Case Operaie.
La cooperazione agricola fece i suoi primi esperimenti nel 1886 con l’affittanza collettiva di terre a Stagno Lombardo in provincia di Cremona. La cooperazione di credito infine fu introdotta in Italia da Luigi Luzzatti, che costituì nel 1864 a Lodi, nell’ambito della locale Società di Mutuo Soccorso, la prima Banca Popolare italiana; toccò poi a Leone Wollemborg costituire il 20 giugno 1883 a Loreggia in provincia di Padova la prima Cassa Rurale di Prestiti italiana. [16]
Se il movimento cooperativo italiano veniva promosso da esponenti del liberalismo democratico e progressista soprattutto all’interno delle Società di Mutuo Soccorso operaie e agricole (con l’appoggio spesso dei Comizi Agrari [17]), altri due movimenti sociali si confrontavano attraverso la costituzione di cooperative: il movimento socialista e il movimento cattolico.

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I socialisti e la cooperazione in provincia di Cuneo.
Il socialismo si era diffuso nel cuneese, come nel resto d’Italia, attraverso la propaganda di instancabili militanti che poco per volta promossero nelle diverse cittadine leghe di resistenza ed in seguito anche cooperative [18], soprattutto di produzione e lavoro, ma in alcuni casi anche di consumo; inoltre in alcune Società di Mutuo Soccorso poco per volta i socialisti ottennero la maggioranza nei rispettivi Consigli di Amministrazione. Accompagnò questa diffusione del socialismo nella “Granda” anche la pubblicazione di alcuni giornali tra cui “La Scintilla”, settimanale di Cuneo, “Il Socialismo è il sole dell’avvenire” di Alba, e “Lotte Nuove”, in un primo tempo giornale dei socialisti monregalesi e poi organo provinciale del Partito Socialista.
Pur essendo presente in tutto il territorio della provincia, il movimento di Andrea Costa, Filippo Turati e Camillo Prampolini aveva concentrato la sua attività cooperativistica in due cittadine in particolare, Bra e Mondovì. Attività che, secondo i socialisti cuneesi, dava forza e senso al cooperativismo stesso: «Ci sono due forme di cooperazione, come due modi per metter via il lardo: col sale e allora si conserva; senza sale e allora ammuffisce. La coscienza socialista è il sale nel lardo della cooperazione» (Cooperatori è per voi, in “Il Socialismo è il sole dell’avvenire” del 27 settembre 1902).
Questo perché, sempre secondo i socialisti, la cooperazione a cui loro tendevano voleva trasformare radicalmente la società e non solo dare qualche piccolo miglioramento: «Noi non vogliamo essere cooperatori solo per diminuire un poco l’infinita miseria del proletariato; questa soddisfazione non è sufficiente […] Noi vogliamo essere cooperatori per cooperare più effettivamente alla rivoluzione sociale (ossia all’organizzazione dei lavoratori e della produzione sulla base della proprietà collettiva). Sarà socialista ogni cooperativa che si proporrà di essere un mezzo per giungere a questo scopo supremo» (Lanzel M., Per le cooperative di consumo. Memento!, in “Il Socialismo è il sole dell’avvenire” del 27 maggio 1905).
In Bra il movimento cooperativo nasce tra i militanti della Lega di resistenza dei conciapelle. Il 27 gennaio 1886, infatti, Giovanni Battista Gallarato, Lorenzo Operti, Giuseppe Berrino, Bartolomeo Burdese, Giovanni Berra, Sebastiano Boglione, Matteo Carena, Raimondo Marengo e Filippo Piumatti davanti al Notaio Luigi Trossarello costituirono la “Cooperazione e Lavoro Pellettieri di Bra”, che mutò in seguito il nome in “Società Anonima Cooperativa di produzione fra gli Operai Pellettieri di Bra”, per «redimere chi lavora, facendo per una parte argine alle invadenti troppo avide brame del capitale, e ponendo per altra parte il lavoro in grado di sostenere dignitosamente il proprio diritto». [19]
La costituzione di questa cooperativa fu salutata con entusiasmo dal movimento socialista. Camillo Prampolini, in un opuscolo scritto per spiegare ad un “proletario” come doveva essere il socialismo prossimo venturo, prendeva ad esempio proprio la Cooperativa dei conciapelle di Bra: «Io dissi infatti che la classe lavoratrice farà in grande col socialismo presso a poco ciò che i conciapelle di Bra hanno già saputo fare in piccolo colla loro Cooperativa di produzione. E mi spiego. Come l’intera classe lavoratrice, nel sistema economico attuale, dipende dalla classe capitalista, così i conciapelle braidesi dipendevano tempo fa da un padrone. Come la classe lavoratrice oggi fatica a profitto della classe capitalista, così i conciapelle braidesi faticavano allora a profitto del loro padrone. Come la classe lavoratrice infine deve subire la volontà della classe capitalista – cioè rassegnarsi a lavorare dove e quando e come questa vuole – così i conciapelle braidesi erano costretti a subire la volontà del loro padrone, lavorando nel modo e nei giorni voluti da lui, e col salario, il regolamento e gli orari fissati da lui. Ora che hanno fatto i conciapelle braidesi colla loro Cooperativa? Hanno abolito il padrone. Sono divenuti comproprietari della conceria in cui lavorano e adesso non dipendono più da alcuno. Hanno bensì un direttore, ma questo direttore se lo nominano essi medesimi e possono mandarlo a spasso se non fa il loro comodo; mentre prima era invece il padrone che mandava a spasso loro. Hanno un orario ed un regolamento, ma non più imposti da uno speculatore; li hanno stabiliti essi medesimi, nel loro proprio interesse, e possono modificarli come vogliono, ogni volta che lo credano utile per la loro azienda.
Lavorano, faticano – anzi essi pure faticano molto e guadagnano ancora relativamente poco, perché vivono pur sempre nella società borghese e non possono quindi non risentirne gli effetti disastrosi – ma il profitto, grande o piccolo, che ricavano dalle loro fatiche, oggi va e deve andare nelle loro tasche e non in quelle di un padrone… Ebbene: la stessa rivoluzione che i conciapelle di Bra hanno compiuta rispetto al padrone che li dominava e sfruttava, l’intera classe lavoratrice la compirà – mediante la conquista dei pubblici poteri – rispetto alla classe capitalista. Come la conceria è ora comproprietà dei conciapelle braidesi, così i campi, le ferrovie, le miniere, gli opifici, tutti insomma i mezzi di produzione e di scambio verranno dichiarati dal proletariato trionfante comproprietà dei lavoratori, ossia patrimonio comune del popolo, proprietà collettiva. Come i conciapelle braidesi, essendo ora comproprietari della conceria, non dipendono più da alcun padrone, così la classe lavoratrice, divenuta comproprietaria dei mezzi di lavoro non sarà allora dominata da alcuna classe. Sarà libera, potrà mettere in azione quei mezzi nel modo che crederà migliore, nominerà e dimetterà a suo piacimento i suoi direttori d’industria e stabilirà essa stessa per sé medesima gli orari e tutte le norme che crederà più opportune onde ottenere col minimo sforzo il massimo prodotto. Come infine i conciapelle braidesi, comproprietari della conceria, ora faticano per se stessi e non più a profitto di un padrone, così l’intera classe lavoratrice – quando sarà essa medesima collettivamente proprietaria del suolo, delle macchine e di tutti i mezzi di produzione – lavorerà per se stessa, a suo proprio vantaggio, e non si troverà più costretta a faticare per mantenere ed arricchire un’altra classe. La classe capitalista allora, è chiaro che sarà scomparsa, nello stesso modo che pei cooperatori braidesi è ora scomparso il padrone. Non vi sarà e non vi potrà essere che una classe sola, se pure così possiamo chiamarla: quella dei lavoratori comproprietari dei mezzi di lavoro». [20]
Questa non fu l’unica cooperativa di produzione e lavoro promossa dai socialisti [21], per esempio nel 1890 venne costituita ufficialmente (operava già da alcuni anni) la Società Anonima Cooperativa di Produzione fra i Lavoranti Calzolai di Bra. La funzione solidale di queste due cooperative non riguardava solo i Soci ma si estendeva anche a diversi disoccupati della zona a cui davano di quando in quando lavoro: «La prima [quella dei calzolai, nda.] con un’attribuzione di lire 4.940 poté pagare lire 202,40 agli operai disoccupati di passaggio, certi ora di trovare costì il luogo di guadagnarsi un tozzo di pane senza ricorrere a mendicare dall’uno all’altro compagno. Quella dei conciapelli parimenti nell’anno 1892 ha pagato per il lavoro eseguito dai compagni disoccupati una somma ancora maggiore. Io sono fermamente convinto che se in tutti o quasi i centri industriali si adottasse codesto bel sistema, occupando prima di tutto quei compagni che sono perseguitati dai padroni e furono vittima della giustizia borghese, come accade a Bra, la lotta fra capitale e lavoro si risolverebbe molto più facilmente a favore di quest’ultimo». [22]
Sempre nel 1890 «sotto un portico della fornace di proprietà degli eredi notaro Imassi Giovanni Battista sulla via che conduce a Cavallermaggiore» [23], fu costituita la “Società Anonima Cooperativa di Produzione fra i Muratori, Terrazzieri ed Arti Affini”, e «nella casa del signore Boglione Giuseppe, in via Audisio», la “Società Anonima Cooperativa di Produzione fra le Artigiane di Bra”. In seguito altre cooperative, tra cui una di consumo, arricchirono la solidale attività dei socialisti braidesi.
Anche a Mondovì la cooperazione socialista iniziava a fianco delle leghe di resistenza, in particolare di quella degli stovigliai e ceramisti [24], la quale «oltre alla riduzione d’orario e all’aumento del salario… ha pure provveduto alla costituzione di una Cooperativa di consumo che serve efficacemente a frenare l’impressionante aumento del costo dei generi di prima necessità». [25]
Già dal 1902 funzionava a Mondovì una tipografia cooperativa (Tipografia cooperativa, in “Lotte Nuove” dell’8 marzo 1902) e l’anno seguente i socialisti appoggiarono l’impianto di un mulino elettrico poiché «servirebbe fra il resto molto bene al forno cooperativo che pur si sta studiando da compagni nostri. Sono istituzioni queste, vantaggiose per tutti e specialmente per i lavoratori che hanno tanto bisogno di pane buono e a buon mercato» (Molino cooperativo, in “Lotte Nuove” dell’11 luglio 1903).
Tuttavia «Una istituzione d’indole proletaria della quale non abbiamo ancora fatto cenno, ma che merita il massimo interessamento è la Cooperativa tra lavoranti in marmi e pietre. Essa è sorta da circa un mese e gli operai che la compongono hanno impiantato per ora un modesto laboratorio nella frazione di Gherbiana […] Speriamo che l’esempio susciti l’emulazione delle associazioni consorelle, in quanto si tratta d’un primo tentativo di Cooperativa di produzione [nel Monregalese, nda.]» (Cooperativa di produzione tra lavoranti marmisti, in “Lotte Nuove” del 2 aprile 1910).
Sempre nel Monregalese i socialisti non solo cercarono di promuovere essi stessi delle cooperative ma in alcuni casi appoggiarono anche istituzioni come la Cattedra Ambulante di Agricoltura.
Inoltre ci furono alcuni tentativi di costituire cooperative tra i coltivatori, ma senza grande successo, poiché il mondo rurale monregalese aveva stretti legami con il movimento sociale cattolico, quest’ultimo del resto molto ben rappresentato nella stessa Mondovì con cooperative di consumo, circoli culturali e così via.
A Rocca de’ Baldi però i socialisti solidarizzarono con i promotori di una latteria sociale perché avrebbe portato una ventata di novità nella zona: «Non più lotte meschine di privati, non più misere ambizioncelle; non più gare personali il cui risultato è l’inacerbirsi degli animi, l’odio e l’invidia; le forze nostre dovranno invece essere intieramente rivolte ad istituzioni le quali non dividano gli uomini, ma li uniscano e che apportino benefici come si ripromette ne apporterà la società per la latteria […] Tempi nuovi, lotte nuove!!!» (Adunanza, in “Lotte Nuove” del 5 aprile 1902).

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I cattolici e la cooperazione in provincia di Cuneo.
«Tra le regioni italiane dove i cattolici italiani agirono con maggiore tempestività [... troviamo] il Piemonte». [26]
Il Piemonte fu infatti una delle prime regioni italiane in cui il problema della questione sociale venne sentito dal mondo cattolico come elemento di attenzione.
Del resto la regione subalpina era stata culla di quella “santità sociale” che aveva dato alla Chiesa uomini come don Giovanni Bosco, Giuseppe Cottolengo, Giulia Colbert di Barolo, Giuseppe Cafasso, Francesco Faà di Bruno, Giuseppe Allamano, Leonardo Murialdo.
Gli inizi della seconda metà del secolo XIX videro in Piemonte la diffusione
tra la classe degli operai la propaganda della Prima Internazionale dei Lavoratori, che come abbiamo già scritto aprirà la prima sezione a Torino l’8 ottobre 1871, inoltre l’eco degli avvenimenti rivoluzionari della Comune di Parigi del 1871 preoccupava seriamente il mondo cattolico.
Così come preoccupava gli animi dei più attenti militanti cattolici la crescita della miseria. In questo contesto, tra i numerosi sacerdoti e laici cattolici torinesi promotori di opere solidaristiche si mosse con singolare lungimiranza Leonardo Murialdo. [27]
Quest’ultimo il 16 maggio 1865, nel corso di un intervento alle Conferenze Torinesi di San Vincenzo, disse: «Attorno alla nostra città si sono formate zone dove l’ignoranza religiosa e la squallida miseria materiale sorpassano ogni immaginazione, tanto che i cittadini le chiamano: Siberie. È sorta la nuova industria, retta da una sete sfrenata di guadagno, da una concorrenza senza principi morali, con la scusa della vitalità della produzione e dei commerci. Ed intanto la popolazione operaia, che viene ogni giorno crescendo ed agglomerandosi nei sobborghi, non migliora la sua condizione sociale, essa vive nella miseria ed in continua necessità e viene perdendo fede e costumi, alimentando in cuor suo sentimenti di odio e di ribellione verso i ricchi, i padroni e la società tutta. [...] la popolazione operaia è la forza del domani, ma anche il grande pericolo, se abbandonata all’ignoranza religiosa, in miserande condizioni materiali ed in mano ad agitatori ed utopisti… A bisogni nuovi occorrono opere nuove, opere che aiutino ed elevino la nuova classe operaia. [...] Perché non istituire una Unione di operai cattolici che si prenda cura di loro nelle malattie, nella disoccupazione, nella vecchiaia, che li aiuti nella istruzione, nel lavoro, e li elevi con iniziative ed opere al loro vantaggio?». [28]
Leonardo Murialdo aveva avuto modo negli anni Sessanta in occasione di un suo soggiorno a Parigi di conoscere, per esempio, Maurice Maignen e il suo Circolo operaio di Montparnasse, primo nucleo proletario cattolico da cui nacque nel 1871 l’Ouvre des Cercles Catholiques des Ouvriers, e di apprezzare quanto andava facendo Léon Harmel “le bon Père des ouvriers” e la sua fabbrica modello a Val des Bois.
Arricchito dunque di queste testimonianze di impegno sociale d’oltralpe Leonardo Murialdo cercò di costituire un’Unione operaia a Torino e vi riuscì nel 1871.
Il simbolo delle Unioni ricordava quello delle Società di Mutuo Soccorso laiche, cioè due mani che si stringono, ma in più aveva sullo sfondo una croce ed in alcuni casi il motto: «Concordes in Christo mutuam charitatem exhibent».
Il ruolo di queste Società Operaie cattoliche nella rievangelizzazione delle masse di diseredati che affollavano i sobborghi delle città (ma la loro azione solidaristica e culturale religiosa era utile anche nelle campagne) non sfuggì all’episcopato piemontese. I Vescovi delle diverse Diocesi del Piemonte, si riunirono nel maggio del 1872 nel capoluogo subalpino per fronteggiare la diffusione delle Società di Mutuo Soccorso con posizioni culturali agnostiche se non anticlericali e decisero che invece di condannare tali società sarebbe stato meglio che ogni Ordinario intervenisse nella propria diocesi «procurando instituzioni di Società operaie cattoliche, coltivando le Confraternite per farne rivivere lo spirito per cui furono instituite ed esortarle ad introdurre nei loro regolamenti la Beneficenza e il Reciproco Soccorso». [29]
In particolare l’Arcivescovo di Torino monsignor Lorenzo Gastaldi si dimostrò estremamente favorevole alla diffusione delle Unioni promosse da Leonardo Murialdo, come testimonia una sua lettera datata “Torino, 12 settembre 1872” ed indirizzata ai responsabili delle Unioni che incominciavano a formarsi in Torino e nel resto del Piemonte: «Mi è motivo di consolazione lo zelo che le Signorie Vostre vanno dispiegando in pro della classe operaia mediante le Unioni di Operai cattolici. Questa vostra attività incontra la mia piena approvazione e il mio gradimento e, per quanto sarà in mio potere, mi adopererò per l’incremento, la diffusione delle società operaie di spirito cristiano, entro e fuori la nostra diocesi». [30]
L’Arcivescovo perfezionò questa sua adesione allo spirito sociale che animava le Unioni Operaie Cattoliche nel corso dell’anno successivo, quando stilò una lettera pastorale proprio sul tema delle Società di Mutuo Soccorso. Riportiamo alcuni passi della Lettera pastorale, che fu, probabilmente, il primo documento di un vescovo italiano sulla questione sociale ed operaia: «Le Associazioni operaie, le quali giovarono tanto nelle età passate a mantenere la religione nel popolo, gioveranno ancora mirabilmente ed efficacemente nei giorni critici in cui viviamo.
Gravi pure e bisognevoli di pronta assistenza sono le necessità della vita presente in mezzo alle classi operaie. Talvolta è deficienza di lavoro, talvolta, stante il caro ognora crescente dei viveri, il frutto del lavoro non corrisponde al bisogno della numerosa famiglia. Poi sopravviene l’infermità che inaridisce ogni sorgente di guadagno, e consuma ben presto ogni risparmio messo in serbo; sopraggiunge una morte immatura che getta l’intera famiglia nelle più dure strettezze. Che bisogno allora di soccorso e di assistenza! E questa assistenza si potrà avere, ed averla anche abbondante e bastevole, tenendo tra loro associati gli operai e le operaie nello spirito della carità cristiana. [...]». [31]
Questo spirito nuovo di solidarietà nei confronti delle classi meno abbienti cittadine e rurali si diffuse subito anche nella provincia di Cuneo.
Quando poi Cesare Algranati nel 1897 prese la direzione de “Lo Stendardo”, quotidiano cuneese, scrivendo sotto lo pseudonimo di Rocca d’Adria, ci fu anche un notevole impulso giornalistico alla diffusione del cattolicesimo sociale.
Occorreva uscire, secondo Rocca d’Adria da una visione della religione come fatto di devozione personale: «… allora la Chiesa domanda con ragione non soltanto più dei Pater Noster e delle Messe, non solo più delle elemosine e degli ospizi, ma anche delle cooperative, delle casse rurali, delle banche centrali, affinché col miglioramento materiale torni negli animi la calma e la tranquillità» (Rocca d’Adria, Azione cattolica, in “Lo Stendardo”. Giornale Quotidiano Politico, Amministrativo, Cattolico della Provincia di Cuneo” del 19 gennaio 1897).
“Lo Stendardo” proclamava che il Movimento sociale cattolico era nato dallo stesso insegnamento di Gesù Cristo: «Indi le Società Operaie cattoliche, quelle di carità reciproca, le Casse Rurali, i Segretariati del Popolo, le Unioni Agricole, le Associazioni di Assicurazione, le banche cattoliche, le Cooperative di produzione e di lavoro ecc. Se volessimo spacciare della filosofia a buon mercato, diremmo esser l’uomo composto d’anima e corpo; natural cosa quindi che il Movimento cattolico, opera di carità, non si occupi soltanto delle anime, ma curi un pochino anche i corpi. Gesù Cristo stesso tracciò questo programma al Movimento cattolico, quando insegnò a chiedere al Padre celeste prima il cibo dell’anima, poi il nostro pane quotidiano. Né c’è pericolo d’errare nel seguire i precetti del divino Maestro. […] Immensi sono i bisogni delle popolazioni, ridotte veramente alla fame e alla disperazione: le Casse Rurali, alcune altre cooperative e il mutuo soccorso sono il loro rinfranco» (Il nostro movimento, in “Lo Stendardo” dell’1 giugno 1897).
In occasione del XIII Congresso delle Cooperative tenutosi a Genova, il quotidiano cuneese prendendo le distanze dal pensiero socialista ribadiva la posizione interclassista cattolica e il desiderio di migliorare la società con la diffusione della piccola proprietà privata: «La Cooperazione invero moralizza i rapporti economici, volgendo l’attività economica alla soddisfazione dei bisogni, non al conseguimento dei profitti; sopprimendo la frode, l’adulterazione nelle derrate, lo sweating system: impedisce il sorgere delle fortune colossali, dei Re del denaro ai quali sono legate le sorti dei commerci e delle industrie, aumentando all’opposto il numero dei piccoli proprietari, degli artigiani, che costituiscono un elemento prezioso per la floridezza e per la pace del civile consorzio; sostituisce alla concorrenza la solidarietà; al principio “ciascuno per sé” il verbo nuovo “ciascuno per tutti”; essa insomma attua nella vita pubblica il sublime precetto di Cristo: “Amatevi l’un l’altro come fratelli”» (Il XIII Congresso delle Cooperative, in “Lo Stendardo” del 23 ottobre 1903).
Queste citazioni sottolineano il percorso ideale di un movimento che in provincia di Cuneo ha avuto dei momenti di partecipazione di massa. I cattolico-sociali perseguivano un progetto di “cooperazione globale” che, iniziato con l’istituzione di proprie Società di Mutuo Soccorso legate alle parrocchie, perfezionato dai Comitati parrocchiali a partire dalla promulgazione della Rerum Novarum di papa Leone XIII, il 15 maggio 1891, esplose con un’attività instancabile in una miriade di piccole ma significative iniziative.
Nell’ambito della cooperazione di credito [32] nei dintorni di Alba sorse la prima Cassa Rurale cattolica; infatti nel luglio del 1894 a Piobesi d’Alba il parroco, don Giovanni Coccino, fondò la “Cassa Rurale di Prestiti”, un evento che fu salutato dalla stampa cattolica locale con entusiasmo, definendolo «un bell’esempio di socialismo cristiano» e sottolineando con forza il ruolo antiusura: «con queste Casse si snidano tutti gli avvoltoi, tutte le arpie, tutti i vampiri che succhiano il sangue della povera gente… si difende il colono da essere vittima degli strozzini e lo si soccorre non solo materialmente ma anche moralmente». (Una bella lezione di socialismo cristiano, in “Gazzetta d’Alba” del 1 agosto 1894).
Si distinsero in modo particolare per il numero di istituti di credito cooperativi istituiti le diocesi di Alba, grazie all’instancabile lavoro di don Giovanni Coccino e di don Augusto Vigolungo, e di Mondovì, attraverso l’azione di don Giacomo Aimo, «un monregalese pioniere dell’idea sociale cristiana… battagliero, entusiasta, audace» (In “La Vedetta”, del 26 giugno 1952).
Nella prima si costituirono tra il 1894 e il 1901 le Casse Rurali di Benevello, Canale, Castagnito, Castagnole Lanze, Castellinaldo, Castiglion Tinella, Castino, Ceresole d’Alba, Cravanzana, Diano d’Alba, Gallo d’Alba, Lequio Berria, Levice, Mango, Monforte, Montà, Montaldo Roero, Monticello Borgo, Monticello Villa, Narzole, Narzole San Nazario, Novello, Piobesi, Pocapaglia, Priocca, Rodello, Santo Stefano Belbo, Serralunga d’Alba, Sommariva Perno, Treiso, Valdivilla, Veglia di Cherasco, Vezza d’Alba.
Nella seconda a partire dal 1894 si costituirono la Cassa Rurale di Cherasco, Farigliano, Bricco Faule, Trinità, Roccaforte, Murazzano, Rocca de Baldi, Crava, Dogliani, Carrù, Margarita, Pianfei, Frabosa, Morozzo, Villanova-Roracco, Niella Tanaro, San Michele Mondovì, San Michele Mondovì-San Paolo, Lesegno, Mombasiglio, Viola.
Casse rurali sorsero anche a Fossano e nel Cuneese. Nella Diocesi di Cuneo vi fu anche un importante tentativo per lottare «contro l’usura imperversante accanto all’opera dei grandi istituti finanziari che già esistono in Cuneo» [33]: la Banca di Piccolo Credito. Promotori dell’iniziativa furono don Felice Ramazzina, parroco di Caraglio, e don Giobbe Dalmazzo, prevosto di Montanera.
Nella diocesi di Saluzzo si costituì la Cassa Rurale di Bagnolo, voluta da quarantaquattro soci tra cui don Giovanni Battista Cavallotti, parroco della cittadina. Quest’ultima, costituita nel 1908, dopo un periodo di grande floridezza, agli inizi degli anni Venti visse una crisi che la portò al fallimento, trascinando con sé molte piccole Casse Rurali.
Il cooperativismo cattolico si esplicò anche in cooperative agricole. Attraverso le Unioni Agricole [34] si arrivò inoltre a costituire cantine sociali [35], latterie sociali (per esempio a Valgrana) e le prime cooperative per la commercializzazione della frutta a Vezza d’Alba e Bagnolo [36], oltre alla diffusione delle Mutue Assicurazioni Cooperative contro i danni degli incendi e della mortalità del bestiame.
Le Unioni Agricole, che bene operarono su tutto il territorio cuneese, organizzarono nel 1896 il Sindacato agricolo cattolico albese per fare acquisti collettivi in favore delle varie Società agricole, nel 1898 la Federazione Agricola Cuneese (FAC), con magazzini e mercato del bestiame, e nel 1909, per coordinare le varie opere, la Federazione Agricola Provinciale.
Quasi ogni parrocchia poi aveva a fianco della propria Cassa Rurale anche una Cooperativa di consumo.

Gli echi della Prima Internazionale, e di tutta la sua evoluzione ideale e pragmatica, avevano in tutto il mondo ed anche in quella piccolissima porzione del nostro pianeta chiamata provincia di Cuneo, stimolato una virtuosa emulazione tra liberal-democratici, repubblicani, socialisti e cattolici. Questa volontà di migliorare, di cambiare, di rivoluzionare la società venne poi umiliata e distrutta dal regime fascista. Occorreva aspettare la Liberazione dal nazifascismo perché i movimenti di emancipazione sociale risorgessero a nuova vita; ma questa è un’altra storia.

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Attilio Ianniello

Note

[1] Cfr. Mazzini Garibaldi Club, 50th Anniversary, London, 1914, The Library and Museum of Freemasonry.

[2] Cfr. Bravo Gian Mario, La Prima Internazionale, I, Roma, 1978, pp. 131ss.

[3] Cfr. Marx Karl, Istruzioni per i delegati del Consiglio centrale provvisorio sulle singole questioni, Londra, 1866, in Bravo Gian Mario, op. cit., pp. 177ss.

[4] Cfr. Novarino Marco, Tra squadra e compasso e Sol dell’avvenire, Torino, 2013, pag. 157.

[5] Cfr. Dotta Giovenale, Chiesa e mondo del lavoro in età liberale, Cantalupa (TO), 2008, pag. 38.

[6] Cfr. “La specola delle Alpi” giornale politico-amministrativo-industriale-letterario delle province di Pinerolo e Saluzzo del 22 luglio 1854. Sulla storia della SOMS di Pinerolo si veda Gera Bianca, Diego Robotti (a cura), È una lunga storia. Alle origini del mutualismo italiano: la Società Generale degli Operai di Pinerolo (1848-1998), Torino, 1998.

[7] Cfr. Olivero Carlo, La mutualità libera, pp. 7-8.

[8] Cfr. Gera Bianca – Robotti Diego, Cent’anni di solidarietà, volume V, Torino, 1989.

[9] Il periodico veniva messo all’indice dal vescovo di Mondovì mons. Giovanni Tommaso Ghilardi: «… proibiamo e condanniamo sotto le pene stabilite nei sacri Canoni a chi non ne ha la debita facoltà della Chiesa, il ritenere, leggere, riprodurre, propagare il suddetto giornale finora stampato sotto la triplice denominazione enunciata di Ellero, Ape Mondovita ed Ape Giornale delle Langhe, o che fosse per stamparsi in seguito sotto la stessa denominazione. Ed in conseguenza dichiariamo essere tutti i Nostri Diocesani obbligati sotto le stesse pene di astenersi dal prendere parte in qualsiasi modo a qualunque riproduzione si tentasse di fare del medesimo; di consegnarne o farne consegnare le copie che ne ritenessero alla Nostra Curia. Dichiariamo in fine essere incapace di assoluzione sacramentale chiunque non avesse ottemperato al disposto di questo Nostro decreto» (in “L’Ape, Giornale delle Langhe” del 17 gennaio 1852).

[10] Sulla storia della SOMS di Mondovì Piazza si veda Ianniello Attilio, Unione, fratellanza, istruzione e lavoro, in AAVV, I centocinquanta anni della Società Operaia di Mondovì Piazza, Mondovì, 2013.

[11] Cfr. Marx Karl, Istruzioni per i delegati del Consiglio centrale provvisorio sulle singole questioni, Londra, 1866, in Bravo Gian Mario, op. cit., pp. 177.

[12] Robert Owen (1771 – 1858) considerato dagli storici uno dei più significativi rappresentanti del socialismo utopistico pre-marxista fu un imprenditore attento ai bisogni dei suoi lavoratori e soprattutto fu un tenace avversario delle drammatiche condizioni economiche ed esistenziali delle classi subalterne causate dalla rivoluzione industriale.

[13] Cfr. Holyoake George Jacob, La storia dei probi pionieri di Rochdale, Roma, 1995, pag. 47.

[14] Cfr. Holyoake George Jacob, op. cit., pp. 68-69.

[15] Scrive Alfredo Ferri, uno dei maggiori pensatori del Movimento cooperativo italiano; cfr. Cfr. Ferri Alfredo, Storie minime, Ecra, Roma, 2004, pag. 25.

[16] Una sintesi della storia della cooperazione italiana la si può trovare nei primi capitoli del testo di Ianniello Attilio, Tra utopia e pratica quotidiana, Revello, 2008.

[17] Per un esempio del ruolo dei Comizi Agrari nell’associazionismo e cooperativismo agricolo si veda Ianniello Attilio, Il Comizio Agrario di Mondovì e l’agricoltura solidaristica nel Monregalese: il contributo dell’agronomo Carlo Nan, in Comizio Agrario Mondovì, Il Comizio Agrario di Mondovì. opere e uomini, Mondovì, 2007.

[18] Cfr. Dominietto Eliana, Il socialismo nel Cuneese dal 1892 al 1922, Tesi di Laurea, Università di Torino, Facoltà di Magistero, Relatore: prof. Guido Quazza, Anno Accademico 1973/74, pp. 339-360. Alcune delle citazioni di questo paragrafo sono prese da questo interessante studio.

[19] Cfr. Società Anonima Cooperativa di Produzione fra gli Operai pellettieri di Bra, Cenni Storici. Statuto Organico e tabelle statistiche che compendiano la vita della Società dal 1889 al 1898, Tipografia Ditta G. Casalis, Bra, 1899.

[20] Cfr. Prampolini Camillo, Come avverrà il socialismo, Torino, Libreria Editrice Socialista del “Grido del Popolo”, 1896, pp. 4-6. Archivio Fondazione Einaudi, Torino.

[21] Cfr. Berardo Livio, Dal mutuo soccorso alla lotta di classe, in Mola Aldo, Berardo Livio, Storia di Bra, Vol. I, Savigliano, 2001, pp. 491-530; Fagiano Giancarlo, L’associazionismo operaio in Bra negli anni dal 1848 alla Prima Guerra Mondiale, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, Relatore: prof.ssa Dora Marucco, Anno Accademico 1985/86, pp. 324-405.

[22] Cfr. Lingua Felice, Le cooperative di Bra, in “Il Grido del Popolo” del 23 settembre 1893, citato in Berardo Livio, Dal mutuo soccorso alla lotta di classe, in Mola Aldo, Berardo Livio, Storia di Bra, Vol. I, Savigliano, 2001, pp. 500-501.

[23] Società Anonima Cooperativa di Produzione fra i Muratori, Terrazzieri ed Arti Affini, Atto Costitutivo, Tipografia Stefano Racca, Bra, 1890.

[24] Nel 1910 su 639 stovigliai e ceramisti presenti nel Monregalese 401 risultavano iscritti alle leghe socialiste e 129 aderivano all’Unione cattolica del Lavoro, cfr. Berardo Livio, Stefano Paolino dalle lotte antimilitariste alla segreteria dei ceramisti italiani, in “Il presente e la storia” n. 58 – 2000, pag. 44.

[25] In “Il Ceramista” del 1° maggio 1911, cfr. Berardo Livio, Stefano Paolino dalle lotte antimilitariste alla segreteria dei ceramisti italiani, in “Il presente e la storia” n. 58 – 2000, pag. 45.

[26] Cfr. De Rosa Gabriele, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari, 1966, pag. 118. Per una sintesi del movimento cattolico cooperativistico in Piemonte si veda Ianniello Attilio, Mutualità e cooperazione piemontese d’ispirazione cristiana, Revello, 2010.

[27] Per una biografia di Leonardo Murialdo si veda Lovato Umberto, Castellani Armando, S. Leonardo Murialdo, amico degli operai, Roma, 1970; Castellani Armando, Il beato Leonardo Murialdo, Vol I, II, Roma, 1968.

[28] Cfr. Murialdo Leonardo, Discorso alle Conferenze Torinesi di San Vincenzo, 16 maggio 1865, cfr. Abbate Bruno, Toller Giancarlo, Volpi Maria Pia, Il Movimento cattolico di fine ‘800 in Torino: dal Murialdo alla prima Democrazia Cristiana, in Traniello Francesco (a cura), Dalla Democrazia Cristiana al sindacalismo bianco, Roma, 1983, pp. 4-6.

[29] Cfr. Ristorto Sac. Maurizio, Il movimento cattolico a Cuneo, Cuneo, 1980, pp. 12-14.

[30] La lettera è citata in Castellani Armando, Il beato Leonardo Murialdo, Vol II, Roma, 1968, pag. 409; cfr anche Tuninetti Giuseppe, Lorenzo Gastaldi 1815 – 1883, Vol. II, Casale Monferrato, 1988, pag. 219.

[31] Cfr. Gastaldi Lorenzo, Lettera pastorale dell’Arcivescovo di Torino ai molto reverendi signori Parroci sulla necessità di far rivivere le antiche società cristiane degli operai, Torino, cav. Pietro Marietti, Tipografo Pontificio ed Arcivescovile, 1873, Archivio Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Torino posizione AE . 11 . 10 . 1nt. 43.

[32] Cfr. Ianniello Attilio, Radici solidali, frutti eccellenti, Revello, 2006.

[33] Cfr. Ristorto sac. Maurizio, Il Piccolo Credito ed i cattolici cuneesi (1900 – 1929), estratto da “Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico d’Italia, n. 2 – 1971, pag. 79.

[34] Riportiamo come esempio delle attività di questi Enti rurali gli scopi di un’Unione Agricola della provincia, quella di Peveragno: «La Società ha per oggetto principale di rappresentare, promuovere e difendere gli interessi professionali, morali ed economici delle categorie agricole che la compongono, e favorire lo sviluppo ed il progresso dell’agricoltura nel Comune, anche partecipando alle iniziative che venissero prese da pubbliche autorità e da altre associazioni, specialmente: a) col fare acquisti collettivi di materie necessarie alla produzione agricola; nonché acquistare e vendere attrezzi e macchine occorrenti all’esercizio dell’agricoltura; b) col favorire e attuare il commercio dei prodotti agrari; c) coll’acquistare all’ingrosso e distribuire tra i soci, ed anche eventualmente produrre generi alimentari ed altri ad uso domestico; d) col raccogliere offerte e domande di lavori agrari e funzionare come ufficio di collocamento; e) col promuovere praticamente la istruzione agraria; f) con la rappresentanza degli interessi professionali delle varie categorie di soci che la compongono; la loro assistenza per mezzo dei propri servizi nelle opere di assicurazioni e di mutualità; la loro tutela nelle relazioni con le altre classi e con la società in generale; lo studio dei rapporti tra principali e maestranze addette ai lavori agricoli; l’esame delle eventuali controversie, spiegando opera di conciliazione improntata a criteri di equità e giustizia; g) col curare il perfezionamento morale e professionale inspirando in tutto la sua azione ai principi sociali del cristianesimo; h) con aderire a fare causa comune con altri Enti di programma improntato agli stessi principi»; cfr. Unione Agricola Peveragnese, Statuto, Cuneo, Tipografia Frat. Isoardi, 1922, pag. 1, Archivio Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

[35] Si tratta delle Cantine Sociali di Castagnole Lanze, di Castiglione Falletto, di Cherasco, di Mango, di Monforte, di Santo Stefano Belbo, di Valdivilla, di Vezza d’Alba. Cfr. Maggi Gianfranco, Temi politici e sociali nell’azione dei cattolici albesi del primo novecento, “Alba Pompeia”, anno IV, fasc. 1, settembre 1983, p. 17.

[36] Cfr. Ianniello Attilio, I frutteti del Monviso. Lo sviluppo della frutticoltura nel Saluzzese: uomini, associazioni e cooperative, Revello, 2008, pp. 69-74.