Beauwindow, Storia di gusti

storia di gusti

PATRIZIA GHIGLIONE

Assaggio molto poco, così rischio. I miei clienti, mi piace osservarli mentre mangiano, capisci se il piatto piace e capisci anche qualcosa del carattere di chi lo mangia. Poi guardo il piatto, quando ritorna: se è bello pulito vuol dire che è stato apprezzato.

I miei avevano un ristorante e la cuoca era mia zia. Era una persona accogliente, ironica, che ti spingeva ad amare quello che stava facendo: quando preparava ti raccontava. Te lo raccontava con passione per cui ti attirava, veniva voglia di ascoltare; e, intanto, imparavi. Facevamo tutto a mano. Ricordo delle salse di vitello tonnato passate con il bicchiere sopra un setaccio di metallo: con questo bicchiere si passava il tonno, l’uovo sodo, tutto di lì, passava. Era un lavoro lunghissimo. La maionese fatta a mano magari con venti uova, che non doveva mai impazzire. E poi, quando andavamo al pomeriggio. Allora, mia zia si metteva: aveva sempre il grembiule, l’ho vista sempre con il grembiule. Quando aveva finito di servire il pranzo, alzava il grembiule, lo arrotolava in vita, e poi diceva “andiamo nel bosco”. E andavamo nel bosco sotto casa a fare un giro, ma questo già da quand’ero molto piccola. E poi va beh, se era stagione di funghi, prendevamo i funghi, le erbe per far la minestra, in primavera. A lei piacevano le cose belle. Aveva un gusto incredibile, proprio riguardo a tutti gli oggetti, ai vestiti. Alla natura. Forse è per questo che si chiama gusto, perché è una sensibilità che nasce in cucina. Quando andavamo nel bosco mi faceva vedere “guarda che bello, questo”. Ricordo l’erba tremolina, che poi è un’erba spontanea delle radure, vicino ai boschi. Che fa delle infiorescenze leggerissime che tremano al vento. Facevamo dei grandi mazzi; che poi non erano fiori, avevano steli sottilissimi ed infiorescenze della stessa tinta.

Una ricetta legata al ricordo di mia zia, più che una ricetta è una coccola che lei ci faceva a merenda; ha proprio il gusto delle coccole, dell’affetto. E’ una semplicissima frittatina con un po’ di sale ma anche un po’ di zucchero. Uovo sbattuto con pochissimo latte, sottile sottile. Quando la si gira, si mette in mezzo un cucchiaio di marmellata, la nostra, fatta di prugne. Si chiude, arrotolando. Zucchero sopra, caramellato dal ferro da stiro, quelli di ghisa di una volta, passato rovente.

Ho cominciato così. Cucinando, impari la pazienza e la necessità di separare lo stato d’animo da ciò che stai facendo. Gli altri non devono sentire il tuo dolore e la tua tristezza. Certo, l’umore conta, in cucina. Ci sono giorni piatti. Poi giorni in cui ti svegli al mattino con un’idea, e allora cambia il senso di quello che stai facendo. Ora, per esempio, sperimento con i semi di papavero, che prima usavo poco. Non sono molto comuni, da noi, ma arrivano dalla tradizione montana: le mie radici vengono fuori comunque. Io sono una cuoca di terra, di terre alte anzi; eppure un piatto con tonno fresco e semi di papavero ha funzionato a meraviglia.

Il carattere della cucina rivela la mentalità dei luoghi; le cucine montane sono chiuse, i prodotti sono sempre quelli e purtroppo non sono attraenti. In montagna si mangia per sfamarsi. Ma qualche eccezione c’è, per fortuna. I funerali di paese, per esempio, sono occasione di allegre mangiate collettive, un modo per sbeffeggiare tutti insieme questa morte che ti gira intorno come un lupo famelico. A proposito di caratteri locali trovo, per esempio, che il bollito sia il tipico piatto falso e cortese; non foss’altro che per il fatto che va mangiato subito, appena cotto, e questo è raramente possibile. Così un bollito presentato fumante al ristorante è per lo più un inganno, una falsità. È ri-scaldato. Si presenta anche in un modo trionfale, contornato da tutte quelle salse: gusti costruiti, mischiati, spesso non autentici.

Mi ricordo i profumi. Il profumo me lo ricordo, della minestra di riso ed erbette, in primavera. Il profumo del timo selvatico, quando posso lo uso parecchio. I funghi, anche. Io li sento dall’odore, che ci sono, ma poi non li trovo mai. Sono profumi e odori che ti restano. Un profumo legato a mio fratello, che non c’è più, è quello della pizza che facevamo insieme. Come gli spaghetti al pomodoro: arrivava, mio fratello, una volta alla settimana, a Torino, quando studiavo, per farsi fare gli spaghetti al pomodoro. Quegli spaghetti lì, hanno un profumo che non scordo più. Mia figlia grande, invece, è il gusto della torta sacher, che continua a chiedermi per ogni suo compleanno. La più piccola, è il pan di spagna con le fragoline e la panna.

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