Tra dolore e furore. Le BR a Genova

Guido Rossa 24 gennaio 1979

Guido Rossa 24 gennaio 1979

PAOLO LAMBERTI

Sergio Luzzatto, Dolore e furore. Una storia delle Brigate rosse, Einaudi, Torino 2023.

Con il passare dei decenni la storia delle Brigate Rosse tende a svanire dalla coscienza del pubblico, e si aprono spazi per la storiografia. Il libro di Luzzatto è un esempio significativo sia di questa tendenza che di un tipo di storiografia che si potrebbe definire microstoria, o meglio un modo di guardare agli avvenimenti dal basso, da singole figure e destini. Si possono richiamare come esempi il libro di Le Roy Ladurie su Montaillou o quello di Ginzburg sul mugnaio Menocchio, e il libro precedente di Luzzatto sulla cattura di Primo Levi, Partigia¸ ha la stessa formula. Quindi lo sfondo storico-sociale e i singoli avvenimenti appaiono quando necessari, sono solo uno schema di riferimento. Non a caso si intitola “una storia”, una delle tante possibili, e parziale.
L’ampiezza del libro e gli scarni ma significativi richiami al vissuto dell’autore, coetaneo e conoscente dei protagonisti, e di un padre docente universitario che non solo è testimone, ma tra le righe appare aver svolto un ruolo di freno ad eccessivi coinvolgimenti del figlio, trasformano il libro in una ricerca che è anche interiore, un interrogarsi sul perché un insieme di persone e di mondi culturali così sfaccettato nella Genova dei tardi anni Sessanta sia finito nel vicolo cieco della lotta armata.
Per narrare questa storia, quella della colonna genovese delle BR, Luzzatto sceglie come filo conduttore la vita di Riccardo Dura, il “terrorista perfetto” come lo definisce, colui che è rimasto sconosciuto alle forze dell’ordine sino alla sua morte nel blitz dei carabinieri in via Fracchia nel 1980, l’episodio più sanguinoso per le BR; talmente sconosciuto che ci vollero giorni per identificarlo, salvo poi scoprire che era il capo della colonna genovese, un uomo con più uccisioni alle spalle, compreso quella di Guido Rossa, l’operaio che aveva denunciato le infiltrazioni brigatiste nelle fabbriche.
Una scelta difficile, perché del personaggio si hanno poche e incerte notizie, tutte di seconda mano a parte una lunga lettera alla madre; lo storico raccoglie una messe di documenti, interviste, testimonianze, una quantità di materiale al cui centro rimane però sostanzialmente un vuoto, una figura inafferrabile le cui motivazioni e il cui carattere sfuggono.
La sua vita è sotto il segno dell’emarginazione, il padre assente, la madre possessiva che lo fa rinchiudere in un istituto per ragazzi difficili, la scelta di una vita solitaria come quella del marinaio, con un susseguirsi di imbarchi e ritorni a Genova; anche la vita sentimentale appare evanescente, come quella amicale. Forse solo la frequentazione del gruppo di Lotta Continua gli offre uno spazio, in cui rimane però ai margini, e dopo il dissolvimento l’approdo alle BR avviene attraverso i contatti del Prof. Faina.
Con lui Luzzatto apre il quadro della Genova dal 1968 al 1980, con una serie di capitoli intervallati a quelli dedicati a Dura; è un mondo dominato da due “chiese”, quella cattolica guidata dal cardinal Siri e dalla DC, e quella del PCI. Due chiese ai cui margini si agitano frange inquiete, a sinistra i vari movimenti alla ricerca di un operaismo coniugato alla lotta studentesca, nel mondo cattolico una scelta per la povertà radicale che guarda alla teologia della liberazione e ha in don Andrea Gallo il suo campione.
Se l’azione dei vari gruppi cerca di creare alternative politiche ed assistenziali, con frequenti travasi, non manca un sottofondo di violenza, verbale e fisica, che con la banda XXII ottobre offre i primi esempi di lotta armata del terrorismo di sinistra; in questo ambito si inseriscono i primi brigatisti, in particolare con il torinese Rocco Micaletto, e da questi ambienti, di sinistra e cattolici, vengono i membri della colonna genovese, in realtà una “colonnina” come la definisce Luzzatto.
Però peso preponderante, anche tra le fonti del libro, hanno i “professori”, docenti universitari come Gianfranco Faina, Enrico Fenzi e ancor più Giovanni Senzani; l’autore ricorda criticamente ma riconoscendone la validità storica, il “teorema Dalla Chiesa”, con cui il generale riportava la genesi delle BR agli ambienti universitari, teorema smentito da un processo genovese, in cui però vanno assolti anche non pochi membri effettivi delle BR.
Sono figure capaci di trascinare i giovani studenti di via Balbi, sede delle facoltà umanistiche, o di sfruttare le istituzioni che vogliono abbattere come Senzani che per anni passa da istituti a incarichi universitari e a finanziamenti del CNR pur con una produzione scientifica abborracciata, salvo farsi rimborsare scrupolosamente ogni trasferta di lavoro, dedicata invece alle BR.
Si delinea un mondo ristretto (Senzani e Fenzi sono anche cognati), in cui ricompaiono sempre le stesse figure, divise tra l’operaismo di Faina, l’attenzione agli studenti di Fenzi e la ricerca di spazi tra gli emarginati per Senzani, che trascinerà l’ultima fase delle BR in una faida con i carabinieri e i “traditori”, facendo assassinare il fratello del “pentito” Peci.
Il quadro tracciato da Luzzatto è ricchissimo ma insieme non può che prendere atto di zone d’ombra, di ambiguità e silenzi, soprattutto tra gli intellettuali; più di una volta esprime diffidenza verso le parole dei testimoni, siano essi dissociati o irriducibili, ma tutti ambigui, e a differenza di Dura, sopravvissuti.
Così, della lotta di classe proclamata per decenni, rimane il corpo dell’“operaio marittimo” (così lo definisce Moretti) seppellito in solitudine in una tomba anonima, mentre Senzani scrive libri e il prof. Enrico Fenzi ritorna all’accademia e pullula nelle bibliografie dantesche.