Aristotele

Aristotele (da Raffaello)

Aristotele (da Raffaello)

ANTONIO VIGLINO

Aristotele è la persona senza la quale oggi non esisterebbero gli smartphone.
Si può sottrarre qualunque altro pensatore allo sviluppo del mondo occidentale, sia esso filosofo, scienziato, poeta o religioso, e l’evoluzione tecnologica non ne uscirebbe mutato se non in minimi dettagli. Senza Aristotele invece il progresso scientifico non sarebbe stato quello che è stato.
Questa asserzione può suonare esagerata, soprattutto per chi non sa cosa disse Aristotele o per chi pensa che egli sia stato un filosofo greco che dispiegò concetti intorno all’“essere”; invece essa riflette una verità abbastanza evidente. E ciò non solo perché la scienza è, è sempre stata e non può che esserE una ancella della filosofia; ma proprio perché il metodo di pensare di Aristotele si è imposto, dopo alcuni secoli in cui rimase più o meno nell’ombra, come modo unico di pensare per tutto pensiero occidentale. Dall’Alto Medioevo ad oggi, salve naturalmente alcune enclave di matrice platonica o esoterica, l’uomo occidentale, non solo i filosofi (anzi alcuni di questi sono gli unici che vi si opposero) ma proprio chiunque è intrinsecamente aristotelico, per lo più senza nemmeno sapere di esserlo.
Da quando i filosofi arabi, in particolare Averroè, portano il pensiero di Aristotele in Europa, egli divenne la guida, il riferimento, l’autorità su cui per secoli e secoli il pensiero si è fondato: ipse dixit, “lo disse lui stesso”, così si citava Aristotele. La filosofia Scolastica, cioè la filosofia del cristianesimo che succedette alla Patristica di ispirazione neoplatonica, è tutta incentrata sui testi di Aristotele, dalla differenza tra ente e essenza alla prova ontologica dell’esistenza di Dio; nella Comedia Dante definisce Aristotele ’l maestro di color che sanno, ed infatti la concezione dantesca di Dio è modellata sul suo primo motore immobile. La filosofia moderna nacque quando Descartes volle tentare di ribellarsi alla visione aristotelica della realtà, per sostituirla con un approccio che muovesse non più dalla realtà oggettiva ma al contrario dal soggetto. L’aristotelismo allora si trasformò nei vari empirismi che hanno fatto da controcanto alle diverse impostazioni idealistiche; e costituì quindi la scaturigine del positivismo, fondato come fu su una presa puramente meccanicistica sulla realtà. Ancora l’affermarsi tardo ottocentesco delle filosofie logiche è stato una prosecuzione, in chiave simbolica, della logica descritta da Aristotele, ed infine, ancora e quindi, le filosofie analitiche contemporanee sono di evidente matrice aristotelica in quanto appunto analitiche. E si può menzionare, come esempio del ruolo cruciale di Aristotele per ogni pensatore che sia profondo al di là dei diversi indirizzi, che Heidegger principiò proprio con uno studio sulla molteplicità dei sensi dell’essere in Aristotele.
Per quanto attiene più propriamente alla vita civile e sociale, l’allentarsi novecentesco della presa della religione a tutto vantaggio della scienza e del pragmatismo altro non è che l’espandersi ultimo della visione aristotelica.
A cosa è dovuto questa preponderante presenza di Aristotele nel pensiero occidentale sì che si può dire ne costituisca la struttura logica fondamentale? Detto altrimenti, lo sa il lettore che il suo modo di pensare in primis e poi tutto quello che gli sta intorno è conseguenza diretta di cosa pensò Aristotele?
Si può rispondere a questa domanda da diversi punti di vista, tutti convergenti.
La tecnologia contemporanea, su cosa si fonda, alla sua base? I computer e tutta la tecnologia elettronica si basano sul linguaggio binario: 1 o 0. Se è 1 è 1 e non è 0, se è 0 è 0 e non è 1. Proprio l’essere 1 invece che 0, o viceversa l’essere 0 invece che 1, di ogni singolo bit alla base di ogni linguaggio macchina è il fondamento del nostro mondo attuale: se un bit potesse essere indifferentemente sia 0 che 1, tutto crollerebbe. Ebbene: il meccanismo logico di pensare che un bit che è 1 sia 1 e non sia 0 non è altro che una esplicazione elementare del principio di non contraddizione. E proprio tale principio è stato enunciato da Aristotele, nel libro Gamma della Metafisica: è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo.
Ma il principio di non contraddizione non è alla base solo delle scienze; anzi queste sono in verità solo una prosecuzione della efficacia universale del principio di non contraddizione. Invece tutta la vita di ciascuna persona è fondamentalmente incardinata sul principio di non contraddizione, tutta la vita oggettiva del mondo esterno come la vita mentale. Si prenda qualsiasi aspetto della vita di ciascuno, ebbene esso soggiace al principio di non contraddizione, esattamente nei termini in cui Aristotele lo ha enunciato.
Poi Aristotele ha detto tantissime altre cose (la distinzione tra potenza ed atto, l’inferenza e la deduzione, la dottrina delle quattro cause, materiale, formale, efficiente e finale, e via dicendo), che al pari del principio di non contraddizione sono alla base della vita di chiunque, ma, si può dire, ogni inferenza di Aristotele è essa stessa incardinata su questo principio.
E non è necessario spendere tanti altri esempi per convenire sul fatto che proprio detto principio, una volta che lo si sia pensato, è alla base di tutto, o almeno di tutto il pensiero occidentale. E infatti tutti i filosofi del pensiero occidentale, e di conseguenza tutti gli scienziati, si sono sempre basati su questa regola, ed è proprio sulla base di questa regola che sono stati validati i ragionamenti che poi hanno dato origine alle scoperte che si sono succedute nel progresso; tutto il pensiero occidentale ha sempre e solo utilizzato questo criterio per distinguere cosa è vero da cosa è falso.
A questo punto si deve fare un passetto oltre, ponendosi la domanda su come e perché Aristotele sia giunto a enucleare il principio di non contraddizione.
Aristotele ci è giunto perché ha applicato la sua superlativa mentalità razionalistica alla natura, alla natura nel suo insieme e nei suoi casi particolari: ha imposto la sua facoltà razionale sulla realtà, e quindi appunto logicamente ha visto che essa rispecchiava il principio di non contraddizione come regola della sua stessa sussistenza. Detto altrimenti, Aristotele ha illustrato come funziona la mente razionale, una volta per tutte; dopo Aristotele si tratta solo più di applicare il principio fondamentale che egli ha rivelato, si tratta solo di proseguire sulla via che egli ha indicato, ed in effetti così è accaduto. Ed infatti la logica aristotelica, delineata passo passo negli scritti poi raccolti nell’Organon ma implicita nella Metafisica e nella Fisica e in tutti i suoi testi, è rimasta immutata, salvo minime correzioni da parte di Kant, fino a Frege, il quale semplicemente ha innovato il modo operativo scoperto da Aristotele sostituendo alle proposizioni i simboli.
Naturalmente, non è che Aristotele abbia creato ex nihilo la sostanza dei concetti cha ha enunziato, ma egli fu colui il quale ebbe la potenza di individuarla ed enuclearla — tant’è vero che nessuno, allora ad oggi, lo ha, sul suo piano, superato. Aristotele ha invece creato la forma mentis adeguata alla razionalità, a dominarla in quanto ad essa succube.
Resta da dire, per comprendere appieno l’impostazione aristotelica, quale sia l’ambito del principio di non contraddizione; si è detto che è la realtà, ma cosa intende Aristotele per realtà? Per Aristotele la realtà è in primo luogo tutto ciò che cade sotto l’esperienza dei cinque sensi ordinari; poi rientrano nella realtà quegli enti soprasensibili (che poi saranno detti metafisici) la cui esistenza deve essere ritenuta necessaria in base alla ragione (ad esempio il primo motore immobile che muove attraendo e quindi stando fermo, la cui necessità discende dalla constatazione del movimento sulla Terra e quindi dalla necessità di trovare una causa al movimento). Aristotele nega invece realtà agli altri enti individuati dai filosofi precedenti, e in particolare nega le idee platoniche in quanto non necessarie secondo la sua logica. E sotto questo profilo si constaterà come la struttura logica della scienza contemporanea sia intimamente aristotelica: in base alle risultanze delle osservazioni fisiche, si traggono le conseguenze logicamente necessarie, quali teorie da dimostrare in base al principio di non contraddizione.
Aristotele scrisse poi anche di etica, politica, e di scienze naturali (come farà poi il suo emulo Hegel), nell’ambito delle quali ultime anche restò autorità indiscussa per secoli e secoli, ad esempio l’etere come materia dello spazio quale descritto da Aristotele fu ritenuto elemento naturale fino a che Einstein (ovviamente aristotelico pure lui) non dimostrò con la teoria della relatività che di esso non c’è alcun bisogno.
Ma in ordine a ciascuna delle materie delle quali si occupò, per Aristotele il fondamento ultimo era sempre il principio di non contraddizione. Per questo, è corretto asserire che chiunque creda che la ragione sia il metodo di conoscenza della realtà, ebbene costui debba essere detto aristotelico.
Alcuni filosofi del Novecento hanno tentato invano di confutare il principio di non contraddizione con la logica; ma già Nietzsche aveva detto che esso era una favola, e Heidegger ha mostrato come in verità fosse insufficiente a comprendere alcunché se non la semplice realtà sottomano (ed in effetti la confutazione del principio di non contraddizione è non solo possibile ma anche molto semplice, senza che si debba ricorrere alle dimostrazioni di Gödel).
Il mondo occidentale è incentrato da due millenni sulla dea ragione, e Nietzsche e qualche esagitato dice che la ragione non serve a nulla? A questo punto si deve fare un passo indietro, risalire da Aristotele a Platone, perché di Platone Aristotele fu discepolo all’Accademia in Atene.
Mentre Aristotele dà per scontato che la ragione è lo strumento necessario e sufficiente per comprendere la realtà, Platone in molti passi (in molti passi che gli studiosi e i filosofi, tutti supini alla dea ragione, dimenticano o cercano di neutralizzare) dice chiaramente che la ragione è sì uno strumento utile per comprendere la realtà, ma è un mezzo limitato, fallace, succedaneo, perché la vera conoscenza della vera realtà (che non è solo quella che oppone resistenza ai limitati sensi fisici) consegue solo al nous, che non è la banale intuizione né il rapimento mistico, ma è esperienza diretta della verità. Nella prospettiva platonica, allora, dovrebbe semplicemente dirsi che Aristotele, pur essendo il genio supremo del pensiero occidentale, era privo di nous, e quindi credette che la sua ragione potesse comprendere tutto. Platone sostiene quello che in India è l’abc della conoscenza da molti e molti millenni; in India Aristotele sarebbe stato considerato un rozzo sofista autoreferenziale.
Al di là di quest’ultima considerazione, e rispetto al mondo contemporaneo, non si può che concludere con l’auspicio, tanto logico quanto si immagina inattuabile, che chi occupa posti di responsabilità rispetto agli altri legga Aristotele.