Non sarò mai più la pietra all’ombra

margutte

MICHELE GHIBAUDO

#29

Mi mandavi lettere di polvere, sguardi di stagno, sospiri di fondale
nel bancone in legno ero intagliato negli spigoli limato, giovani tagli, a fianco bassorilievi
profondissimi netti, ero vernici macchiate d’altre vernici, netto il distacco in alcuni punti del piano
sfumato dal tempo in altri
Mi mandavi occhi di falco, estuari d’uccelli selvatici a bagno sui dorsi delle mani, profumi di
vino profondo

Ero altare d’un rito ricamato, intrecci tra i pruni là fuori, ero la morsa, ero il qui dentro nel
retro cucina, la penombra, qui dentro, la morsa sul bancone

Sarò un balcone assolato davanti alla valle
sarà con tanti, tanti gerani
non sarò mai più la pietra all’ombra.

*

#28

Siamo nel nostro amore
Ci vedono gli altri nei campi fogliati
La volta uccelli ridondanti quando pensiamo al fuori nocciolo e poi polpa e poi buccia e poi insieme alla luce più del riflesso emicranico più della paura dei pochi anni della finestra buia senza tende
Siamo rimani nuda
Ricordami gli altri senza sapere
quanto sia bianco il tuo rosa, esistono tra il gelsomino degli angeli, textures dentate di morsi e battiti d’ali nella terra crepata dura d’aria ferma, sincopata che la carne è una cosa sola senza uscire mai da qui: che il vento ci cerchi per assassinarci, non moriremo mai
qui dentro questa stanza mai esistita.

*

#26

Non serve che l’aria che entra e che esce
i gesti per fare, le cose che accadono
non serve altro di ciò che è.

Freschezze, cartoni di pelle rosso scuro, quasi girare la maniglia dei tempi più lenti
i gesti per fare, le cose che accadono
l’erba medica, la terra girata e le pietre lise
e le maglie filanti
salici contorti
alberi per cesti che dividono le vie dai campi
formazioni lineari
mi sembrano i giorni
e la ghiandaia
il tempo che plana sul respiro e il campo e il vento
e i gesti e le pietre lise
non serve che l’aria che entra e che esce
i gesti brevi, le cose lievi
non serve altro di ciò che è.

*

#24

Un essere praticamente simile alle pozzanghere
il corpo include esclude pieghe stridii
un essere praticamente simile al sentimento
il corpo incrina scheggia contorsione slabbri
un essere praticamente simile all’acqua
leggeri sanguinei
dall’acque basse

L’oriente collinare…
Il frutto del riso…
Acquifero i capillari sottocute…
Scorre corpo… oggi
gole dissetate…

Il delicato contatto tra l’acqua e la tua tenerezza

*

#25

Pensa all’infinito del corpo
la fornace, sabbie rosse rossi capillare
smuove corpi e tiepidi i liquidi
l’inesatto finito, calcari movimenti
Pensa corpo infinito
snello cotone salamoia
l’inesatto verde, sali sciacquati
Pensa all’infinito del corpo
anche qui chiusi nel noi, alla deriva
dell’acque quiete, corpi le rive, alberi.

*

#27

Piano piano l’acetosa, il viburno, l’anemone
dentro, più dentro… aspettando senza aspettare,
senza interno, né esterno o fermo
o scende o sale
tra il calcare, il lino umido, bianco
il nero cola
tutto tace nel rumore.

Dalla raccolta “La vita selvatica”

Illustrazione di Valentina Salvatico.

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