Thomas Mann e le tensioni della modernità

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FRANCESCO SERRA DI CASSANO

Il lavoro creativo nelle epoche di crisi

Lo spirito del Novecento poggia le sue tracce su un terreno fragile, frastagliato, sporco. Spesso indugia sulla soglia alla ricerca di una via… Se una via esiste, allo spirito essa appare impervia, confusa o, come dice Celan, “minuta tra i muri”. La soglia è anche il confine tra due modi di sentire che abitano lo stesso pensiero. È lo straniamento di Tonio Kröger che non si stanca di ripetere: «Io sto fra due mondi, in nessuno dei due sono di casa». È la reazione alla crisi e al turbamento generati dalle istanze della civilizzazione («un tempo di tanto febbrile eccitazione», come scriveva Thomas Mann), da un sentimento della morte, della malattia che abita la realtà e che rappresenta la sua verità segreta, inascoltata, la «dura metamorfosi, in cui al fine la confessione dei peccati prevale sulla contemplazione».

La scissione interiore provoca dolore, ma anche arroccamento, estraniamento, complicità con le dinamiche interiori più profonde, più diaboliche. Le grandi figure intellettuali e le correnti creative della prima parte del XX secolo furono dominate da contraddizioni, conflitti e da una molteplicità di articolazioni culturali. Esse risentivano dell’immagine del mondo taylorizzato e dell’espansione produttiva del capitalismo, un rivolgimento economico-tecnologico di grande portata – “informe tempesta d’energie” lo definì Robert Musil – destinato a segnare la storia europea e a scuotere le menti più sensibili del tempo.

A svolgere il ruolo di protagonista nei rapporti con i miti e i simboli dell’Europa moderna è stata soprattutto la Germania, e la Repubblica di Weimar il teatro in cui le tensioni dell’epoca, invece di stabilizzarsi, hanno finito col radicalizzarsi. È nell’ambito tedesco che «la genialità umana sembra aver toccato le più alte sfere e aver sondato le estreme profondità», con tutte le problematiche e le conseguenze che ne sono derivate.

A paradigma interpretativo di un’epoca critica in cui il disagio dello spirito si esprime nella natura di chi si sente chiamato «non tanto a vivere quanto a rappresentare la vita», si erge la possente figura di Thomas Mann, il più importante artista tedesco tra le due guerre. Dall’analisi del suo tavolo da lavoro parte questa riflessione volta a setacciare, senza pregiudizi, il campo del lavoro creativo, dove, in quella temperie, ha germogliato in modo selvatico il pensiero, e a verificarne analogie, simmetrie, incroci con il mondo di oggi.

Iniziato nell’estate del 2019, in una fase travagliata per l’Europa, questo studio giunge a compimento nel pieno dispiegarsi di un’emergenza planetaria che, a cento anni dal “laboratorio” di Weimar, ci riporta con la mente agli anni drammatici che tormentarono il Vecchio Continente dopo la Grande Guerra e che sfociarono nel nazismo. Non è tanto quello che accadde allora che ci interessa investigare, quanto quella che Alain Badiou ha chiamato la “soggettività del secolo”, le trame, gli intrecci relazionali e concettuali che sono stati alla base delle correnti politico-culturali e dei percorsi creativi del Novecento.  Molti dei temi che si posero allora tornano alla ribalta oggi, con quel tono di drammaticità che rievoca gli anni che seguirono alla crisi internazionale del 1929.

Il passaggio dalla civiltà dialogica, nella quale passato e futuro erano in permanente mediazione dialettica, alla civiltà digitale, in cui l’“immediatezza” spezza i ponti col passato e ci lascia orfani di fondate previsioni del futuro, mette in campo la questione centrale dell’epoca attuale: la democrazia, che per definizione è basata sulla mediazione tra una pluralità di attori e procedure, è compatibile con il dominio della civiltà digitale? Nel momento in cui l’innovazione tecnologica rompe il vecchio recinto statuale, spezzando il legame tra sviluppo e democrazia e miscelando in modo inquietante tecnologia, capitalismo e autocrazia, quale sarà l’esito finale?

Cosa resterà di noi e della cultura che ha tracciato il nostro percorso nella storia? Sono temi cruciali che attraversano il Novecento e si riverberano su un presente percorso da rivolgimenti e innovazioni che non solo tendono a confutare i valori che hanno tracciato la vicenda politica e culturale del mondo dopo il 1945, ma che mettono in discussione, in modo rilevante e inedito, la funzione stessa dell’essere umano in un’epoca dominata dagli algoritmi.

Assumiamo il tavolo da lavoro di Thomas Mann quale riferimento della creatività del Novecento, non solo in quanto raffinato laboratorio intellettuale, ma soprattutto per il suo essersi progressivamente elevato a luogo di resistenza del pensiero critico nelle tensioni della modernità.

(dall’ Introduzione a: Francesco Serra di Cassano, R-ESISTERE. Dal pathos della Kultur al paradigma immunitario.Thomas Mann e le tensioni della modernità, Saggi Bibliopolis 2021)

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Francesco Serra di Cassano (1964), giornalista, saggista, laureato in filosofia politica all’Università di Pisa, per oltre vent’anni ha lavorato nell’ambito della comunicazione istituzionale e parlamentare. Collabora con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con l’Accademia “Vivarium novum” e con il Teatro Patologico di Roma. Autore di 1960 L’anno dei Re a Napoli (Electa, 2010); Tutta colpa di Berlinguer (ed. ilmiolibro.it, 2014); Algoritmo immunitas. Dentro le tensioni della modernità (Vivarium novum, 2021).