Ripamaro, poesie di Tommaso Tommasi

tommasi-tommaso-2021-definitiva

TOMMASO TOMMASI

L’ESTATE 1977

Ascolto bambini giocare e bevo la loro innocenza.
Pensieri riscopro che credevo
dimenticati sulla strada della vita.
Ho vissuto lontano dalla mia infanzia,
ma ora la ritrovo.
Dopo vent’anni torno nella mia vecchia casa,
dopo vent’anni rivedo il tesoro di mio nonno,
le vecchie cose amate che la polvere ricopre
ma io riconosco e ricordo.
L’odorosa cantina e le secche pellicce,
muri segnati che parlano di anni,
carte nascoste ingiallite dal tempo,
finestre quadrate che s’aprono ancora
al panorama ventoso di uccelli mattutini
dove le campane svegliano i sensi assopiti
di antiche memorie.
Gli anni trascorsi lontano sono desiderio
di scoprire celate sensazioni,
di rivivere attimi uguali in ogni bambino,
ma ormai posseduti dalla mia individualità
chiusa nel corpo come in una bottiglia
che il tappo ha richiuso per il tempo dell’uomo.
(………………………………………..)

***

EUFORIA POETICA

Il cavaliere pallido
gradisce un po’ di
caffè?
Vorrei riuscire a
trovare le parole.
Una voce del
passato: chi sei
veramente?
I cavalli galoppano
nella foresta.
I tacchi come
zoccoli sulle
tavole del ranch
per raccogliere il
tempo in uno
scenario da
guerra,
dimenticando la
bellezza dei
tropici, mentre la
rosa del deserto
non racconta
storie. Esplode il
vulcano?

***

POESIE IN FOLLE

L’ordinamento infedele
inganna lo spaccapietre del
drammatico censimento
capace di separare
sfrenatezze di scatole
adamitiche. È la fioritura di
evasioni disarmoniche di
contenuti bastardi.

*

La reminiscenza sembra
flemmatica ma esplora la
mondanità che spacca
l’impraticabile sessualità
del fiocco. Così solidificano
i sentimenti.

*

La grande onda e la grande
fame, la grande freccia
rossa per guardare indietro
e non guardare avanti la
bandiera tra brindisi di
champagne.

(………………)

Tommaso Tommasi, RIPAMARO, Guido Miano Editore 2021

Prefazione di Enzo Concardi:

Sul mare azzurro della notte, pubblicata appena l’anno scorso, è una silloge poetica antologica del nostro autore che riflette il suo percorso essenziale e mette a fuoco le tematiche fondamentali, così che mi pare utile accennarne come introduzione generale ai motivi più visitati e come approccio agli aspetti salienti di quelli che potremmo chiamare i suoi ‘cavalli di battaglia’ culturali, all’interno di una filosofia di vita con aspetti particolari e con altre analisi comuni alle visioni di gran parte del Novecento europeo. Nella prefazione Rossella Cerniglia sintetizza tutto ciò in brani critici che possiamo rileggere insieme per iniziare a comprendere questo poeta dalla forte carica passionale, dall’espressione di un disagio della civiltà profondo, da intenti innovativi relativi allo stile e all’estetica. Il male di vivere contemporaneo è una delle sue denunce più reiterate in testi che richiamano i poeti maledetti francesi e l’ermetismo italiano; abbondano visioni da terra desolata, forse ispirati dal maestro anglosassone Thomas Stearns Eliot; emerge spesso un’idiosincrasia con la società tecnologica e metropolitana, i cui rappresentanti sono considerati antropologicamente regressivi, tant’è che in una sua immagine il cittadino viene dipinto come un signor nessuno e già Baudelaire aveva puntato il dito contro la nascente città industrializzata alienante; come in molti poeti moderni è vivo in lui il contrasto tra il mondo interiore – che gelosamente custodisce valori e sensibilità proiettati verso la speranza e l’amore in senso idealistico – e il mondo al di fuori, agonizzante, incapace di edificare una società accettabile per mancanza di spessori umani, morali, spirituali.

Un punto topico dell’interpretazione della storia del mondo da parte del poeta riguarda il concetto di caos: un disordine generalizzato che non è quello precedente la creazione, ma quello che la segue, ovvero la disgregazione compiuta dal genere umano sull’opera divina. Nella raccolta Poesie del caos del 1996 – tanto elevata è la sua preoccupazione di trasmettere con chiarezza tale postulato – che inserisce una nota in cui lo illustra: “… La legge che regola la vita non è l’ordine, ma appunto il caos. Un po’ come la storia dell’uomo: una guerra dopo l’altra e qualche volta un periodo di tregua … che però non è mai pace vera. In una società che sta perdendo tutti i suoi valori, che ha eletto l’egoismo a suo supremo feticcio e l’arricchimento e il successo al massimo grado di perversione, il poeta si perde in un caos infinito, dal quale è sempre più difficile risalire o difendersi”. Dunque una storia di violenza quella umana, che ricorda la concezione certamente più complessa di Simone Weil in Riflessioni sulla guerra (1933) e nelle Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale (1934). Inoltre egli qui adombra anche un legame stretto e condizionante tra l’artista e le alienazioni suo tempo, che porrebbe in discussione la libertà d’ispirazione.

Il nuovo libro di Tommaso Tommasi, Ripamaro, pur proponendo testi inediti, si presenta come una cerniera con le pubblicazioni precedenti, delle quali accoglie tutti gli elementi appena richiamati, inserendoli in avventure liriche che spaziano dalle dimensioni autobiografiche, memoriali, simili a diari dell’anima – con connotazioni chiaramente intimistiche, sentimentali, soggettive – alle incursioni sociali, storiche, generazionali con un linguaggio simbolico e surrealista. L’estate 1977 - il lungo poemetto d’esordio – è proprio un viaggio sulle orme del passato, a partire dal ritorno nella sua vecchia casa, con la rivisitazione delle suggestioni dell’infanzia e quindi degli affetti familiari e domestici. È un lungo soliloquio tra l’io e l’alter ego sui luoghi, le figure, gli eventi d’un tempo, nel quale ama spesso divagare mediante meditazioni esistenziali. Vi sono immagini classiche della civiltà agreste (“Rivedo il grande focolare riscaldare le sere d’inverno”), un certo Quirino che gli raccontava le favole e lui lo stava ad ascoltare all’infinito, talune descrizioni della dura vita della campagna. Gli sono rimasti impressi i racconti di guerra con la prigionia nei campi recintati “dove le croci guardavano il sangue scorrere”, ma risale alla memoria anche le sua storia d’amore vissuta con “momenti di tenerezza e momenti di furore”. Inevitabili giungono i raffronti tra quel tempo e il tempo presente. “L’ideale e la realtà che poi ho trovata diversa”, ovvero quel contrasto tra l’io e il mondo, la società, gli altri che il poeta matura e sviluppa crescendo: “Questo mondo non può essere il mio… Il mondo è condannato all’abisso”.

Tuttavia egli rivendica per sé lo status di uomo libero: “Vivo sempre libero cercando libertà” e crea immagini su tale motivo liricamente accattivanti in una visione individualistica: “Libertà è svegliarsi col sole / e correre sui prati vuoti come deserti / nudi senza ipocrisia /…/ libertà è volare nell’aria come un gabbiano /…/ felice di andare col vento / senza una meta fissata da altri”. Si ritrova poi a vagare tra le vie del suo paese natale, Ripatransone, nel Piceno – da qui deriva Ripamaro, il titolo del libro – e colpiscono i versi di poesia cimiteriale ispirati dalla visita al camposanto: “Tombe abbandonate e senza croce / aspettano invano fiori /…/ Ho paura di essere abbandonato / ho paura della fine del mio corpo / che forse andrà disperso in luoghi senza nome”. C’è quindi l’angoscia d’essere risucchiato nel mondo della dimenticanza e della distanza, da lui così tanto ed amaramente rifiutato, come il timore di foscoliana memoria di cadere nell’oblio, sigillato nel finale del sonetto A Zacinto (1803): “… A noi prescrisse / il fato illacrimata sepoltura”. In questo poemetto il poeta ama raccontare attraverso il genere della ‘poesia-prosa’ – che ci può ricordare il primo Cesare Pavese – e lo stile narrativo si riscontra anche dalla mancanza di strofe e dalla forma analitica con il verso lungo e supportata dalla presenza di particolari a iosa.

Inno al mare è il secondo poemetto, più breve, carico di simboli, di vissuti d’amore, di squarci paesistici d’impatto teatrale dove antichi marinai e gabbiani occupano la scena. Possiamo considerarlo come un richiamo alla vita, ma non senza problematiche: sono sempre i labirinti del poeta ad emergere in primo piano. Infatti se il mare può rappresentare la voglia di vivere e la speranza, le sue riflessioni pongono delle condizioni: esiste anche un mare dell’abitudine, un mare vecchio della noia; un mare dell’insicurezza che colpisce la sua barca; un mare senza vento che possa spingere il suo naviglio esistenziale. Alcune chiavi di lettura positive del poemetto si trovano verso l’epilogo: “Splendono i tuoi occhi d’un sentimento che mi penetra la mente e mi rituffa il cuore nel mare dolce della quiete”; “Le mani aperte in candidi veli accarezzano ricordi. Con i piedi immersi nell’acqua del mare nasce un nuovo figlio”. Il poemetto è strutturato formalmente in pensieri lirici raccolti in strofe libere nello sviluppo del tema.

Segue Canto per Costanza – che utilizza la stessa metrica – ed è una sorta di struggente e libero epicedio elegiaco per la morte dell’amata. Il dolore del poeta è grande, perché una parte della sua vita è volata via, tutto è più buio, s’affaccia il deserto “ora che la fonte della speranza si è prosciugata” e lui vive nel silenzio. Ma a questa sua desolazione si contrappone, grazie alla fede del credente, la consolazione di saperla vicina a Dio “… là dove tutti sogniamo di arrivare”. Lassù , nella casa del Grande Spirito, lei sarà con gli angeli, guida per la pace e la vede già beatificata: “La vita ti ha chiesto tanto, come ad una santa”. Ed infine Continuum è una cavalcata di immagini suggestive, fantasiose, incastonate in scenari criptici, esoterici, cifrati, affidate ad un linguaggio spesso impostato su sinestesie, ossimori, metafore ed altre figure retoriche: si legge tutto d’un fiato per capire, alla fine, che l’uomo contemporaneo è immerso nel tedium vitae e in una specie di cupio dissolvi laica e profana.

Non si discostano dai contenuti e dal lessico di Continuum le poesie della seconda parte: Frammenti, Poesie in folle, Poesie lunatiche. Sono lo specchio del non-senso del vivere odierno, del caos diventato legge quotidiana, del disordine che scompone ogni forma di vita, dell’esilio spirituale e delle diaspore moderne, dei messaggi subliminali che intaccano la mente: le immagini e le espressioni ironiche colpiscono con satira feroce i conformismi e le ipocrisie sociali, le mode e le tendenze snob, l’avere e l’apparire: insomma tutti quegli elementi di dissociazione e schizofrenia che hanno ridotto l’individuo contemporaneo a subire passivamente nichilismo e minimalismo per identificarsi con L’uomo a una dimensione (1964) di Herbert Marcuse. Sotto traccia s’intuisce nel poeta una profonda ferita inferta all’innocenza tradita e perduta.

Tommaso Tommasi è nato a Ripatransone (AP) nel 1948, vive a Seriate (BG). Laureatosi a L’Aquila, ha insegnato teatro, fotografia, poesia, lingua italiana. Quindi è stato bibliotecario presso il Liceo Scientifico di Bergamo. Ha collaborato come pubblicista con giornali e riviste. Compone poesie dagli anni Settanta; ha pubblicato le raccolte: Il vento dell’anima (1977), Poesie di vita quotidiana (1990), Orizzontali azzurrità (1992), In viaggio col poeta (1994), Poesie del caos (1996), Sul mare azzurro della notte (2019), e il libro di narrativa: Masognaos (2011). La sua attività letteraria è recensita nell’opera: Storia della Letteratura Italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri, quarto volume, terza edizione, Guido Miano Editore, Milano 2020. Tommaso Tommasi è anche pittore ed ha allestito diverse mostre personali e collettive. Nel concorso “Opera Uno 2011” si è classificato tra i vincitori.