“Averno” di Louise Glück, variazioni su un mito

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GABRIELLA MONGARDI

I miti classici, si sa, parlano di noi, ci raccontano le verità più profonde e oscure e continuano a farlo, dalla notte dei tempi, purché si sappia “interpretarli”. “Interpretarli” in senso musicale, come uno spartito ritrovato in fondo a un polveroso baule, da eseguire e far risuonare di nuovo: è quanto realizza mirabilmente il Premio Nobel per la Letteratura 2020 Louise Glück nella raccolta poetica Averno (trad. it. di Massimo Bacigalupo per le edizioni Il Saggiatore, Milano 2020), con una musica scabra e perentoria, tagliente e nitida come un mattino invernale.
Il mito a cui il titolo stesso allude (l’Averno, laghetto vulcanico vicino a Napoli, era considerato dagli antichi l’entrata dell’aldilà) è quello di Persefone, figlia della dea della Terra Demetra, rapita dal dio degli Inferi Ade. La madre, disperata, invocò l’aiuto di Zeus che, impietosito, stabilì che Persefone ritornasse sulla terra con la madre in primavera e in estate, e vivesse sottoterra con Ade in autunno e in inverno.

È sempre autunno-inverno, nel libro della Glück, che non mette in discussione il mito come “spiegazione” del ciclo stagionale della vegetazione, ma indaga la vita sotterranea di Persefone mentre “nevica sulla terra”. La poetessa americana vede in questo mito contemporaneamente “un mito di innocenza” e “un mito di devozione”, come intitola due poemetti della seconda sezione dell’opera in cui lo ri-racconta, in terza persona, rispettivamente dal punto di vista di Persefone e dal punto di vista di Ade.
Nel primo poemetto Persefone ricorda il rapimento: lei allora era una ragazza succube della madre, in cerca di solitudine, e il “dio oscuro” le apparve quasi come risposta a una preghiera. Non sa dire se sia stata rapita o si sia offerta, non trova il nome giusto per chiamare Ade: “morte, marito, dio, sconosciuto”. Un sola cosa è certa, secondo la Glück: «La ragazza che scompare dal lago / non ritornerà mai. Ritornerà una donna, / cercando la ragazza che era».
Nel secondo poemetto viene narrato l’amore di Ade, che attende Persefone per molti anni costruendo per lei sottoterra una replica esatta della terra, che prima chiama “Il nuovo inferno”, poi: “Il giardino”, infine: “La fanciullezza di Persefone”. Ade sa che solo lui può offrire a Persefone la sicurezza assoluta, e l’accoglie con un «sei morta, niente può farti del male / che gli sembra / un inizio più promettente, più vero».

In apertura della prima parte e in chiusura della seconda, altri due poemetti, che portano entrambi lo stesso titolo, Persefone l’errante, propongono altre due versioni del mito riprendendolo esplicitamente, ma questa volta dal punto di vista degli “studiosi” e della poetessa stessa.
Nella prima versione gli “studiosi” dibattono tra loro, in perenne conflitto, sulle sensazioni e la sessualità di Persefone, sulle “terribili riconciliazioni in serbo per lei”, sulla “spaccatura nell’anima umana / che non fu costruita per appartenere / interamente alla vita”.
Nella seconda versione la poetessa, invece di considerare i possibili significati sessuali del mito, si concentra sul rapporto madre-figlia e sul lutto della madre per la figlia morta, che ripete in un certo senso il lutto del parto come separazione: «Il corpo della figlia / non esiste, se non / come un ramo del corpo della madre / che deve essere / ricongiunto ad ogni costo»; per questo «la nascita / di sua figlia fu intollerabile»: per questo, leggendo il libro della Glück, si ha l’impressione di assistere a una tragedia greca, in cui “il terribile è già accaduto” (dietro le quinte, prima dell’inizio dell’azione scenica) e ci viene adesso narrato da un nunzio non senza lampi di ironia tragica, in maniera scorciata, indiretta, “mascherata” –  perché è indicibile altrimenti.

Come in una tragedia greca, del resto, viene qui riproposto e “attualizzato” un mito, viene utilizzato come ordito in cui la poetessa mette la trama delle sue parole, come tessuto connettivo per le immagini e i temi – immagini potenti e suggestive (come quella, ricorrente, del “campo sotto il lenzuolo di neve”), temi cruciali sul piano filosofico ed esistenziale: l’infanzia perduta e irrecuperabile (Fuga, Rotonda blu), il corpo e la morte (Lago vulcanico, Echi), la poesia e la creatività artistica (Prisma, Presagi), la bellezza del mondo (Ottobre), la distanza “di ogni cosa da ogni altra cosa” (Telescopio), il tempo (Paesaggio): «Il tempo passava, trasformando tutto in ghiaccio. / Sotto il ghiaccio, il futuro si agitava. / Se ci cadevi dentro eri morto  // Era un tempo / di attesa, di azione sospesa. // Vivevo nel presente, che era / quella parte del futuro che potevi vedere. / Il passato fluttuava sopra la mia testa, / come il sole e la luna, visibili ma mai raggiungibili». Chi dice “io”, qui? Louise Glück? Persefone? Il mito permette al poeta di nascondersi e svelarsi allo stesso tempo, cioè di parlare in prima persona “universale”. Sta al lettore protendersi sull’abisso del testo e accompagnare il poeta nella sua “discesa in Averno”…