La sconfitta della cultura e il trionfo della violenza in “Gioventù senza Dio” di Horváth

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In occasione della Giornata della Memoria, intendiamo riflettere su come sia stato possibile arrivare ad un tale orrore, che non ha possibili termini di confronto; quali siano state le premesse educative e i perversi convincimenti ideologici che lo hanno determinato. Leggere e riflettere sul testo, purtroppo poco noto, che viene qui analizzato, crediamo sia utile e importante per tale fine.

STEFANO CASARINO

Originale e conturbante, Gioventù senza Dio uscì nel 1937 ad Amsterdam: l’anno dopo, il libro fu inserito nell’Elenco dei libri proibiti dal regime nazista: il bersaglio polemico era la gioventù tedesca di quegli anni, sedotta dal culto della violenza e dall’ “uomo forte al potere”, qui ripetutamente definito il plebeo in capo: mai nel testo compaiono termini come “nazismo” o “regime” o “dittatura”.
Horváth è un cultore della misura breve: direi anzi, brevissima nel periodare che procede per frasi secche ed essenziali. L’io narrante è un insegnante di storia e geografia, che ha appena compiuto trentaquattro anni, più o meno la stessa età dell’autore, e che non è per nulla soddisfatto di sé. Anche se dovrebbe esserlo, perché gode di una posizione sociale che gli dà diritto a una pensione; e non è poco, in tempi in cui nessuno sa se domani la terra girerà ancora. […] Ringrazia Iddio di far parte del corpo insegnante di un liceo, cosa che ti permetterà di invecchiare senza preoccupazioni materiali.
Considerazioni di basso profilo, disincantate, piccolo-borghesi in fondo.
Il protagonista non è un eroe, ma un uomo “normale”, un funzionario dello Stato, che però vive con profondo disagio il suo tempo, sentendosi in disarmonia con quella società e coi suoi alunni: Che cosa diventerà, questo diavolo di generazione? Dura o solamente brutale?
Tutto parte dalla correzione di quei compiti, che gli tocca fare anche nel giorno del suo compleanno. Come titolo aveva dato: Perché abbiamo bisogno di colonie?
Correggendo, il professore si imbatte in un’affermazione che giudica del tutto inaccettabile, perché troppo stupida: “Tutti i negri sono mascalzoni, vili e pigri”.
Qui disattende il suo proposito di non intervenire sui contenuti degli elaborati, e scrive in margine con inchiostro rosso: “Assurda generalizzazione!”. Per giunta, quando consegna i compiti, dice a voce all’autore di quella genialata: Scrivi che noi bianchi siamo, per cultura e civiltà, superiori ai negri, e probabilmente hai ragione. Ma hai torto di scrivere che non ha importanza che i negri vivano o no. I negri cono uomini come noi.
Da una parte quel docente, figlio del suo tempo, non è affatto immune da quello che oggi chiamiamo suprematismo bianco (per lui è probabile che i negri siano culturalmente inferiori ai bianchi!); dall’altra, però, arriva ad affermare che sono uomini come noi.
Affermazione inaccettabile per quell’epoca storica in Germania, che gli procurerà guai a non finire, dalla violenta contestazione del padre dell’alunno autore di quel compito sino alla lettera, firmata da tutti gli alunni, con la quale l’intera classe afferma di non volerlo più come insegnante.
Quindi, un docente che invitava a ragionare, a non formulare affermazioni generaliste, illogiche e immorali, era impopolare, veniva ricusato dall’intera classe, in barba ai principi di disciplina e autoritarismo vigenti: quegli alunni odiano qualunque pensiero. Se ne infischiano dell’uomo. Vogliono essere delle macchine: delle viti, delle ruote, delle bielle. O meglio ancora delle munizioni: bombe, shrapnel, granate. E, in fondo, realizzeranno davvero il loro sogno, come prevede il disincantato preside: dobbiamo prepararli moralmente alla guerra. Punto e a capo!
La questione del razzismo e le relazioni all’interno della scuola costituiscono solo le premesse di una ben più ampia riflessione:
Il Giusto è ciò che giova alla tribù, dice la radio. Quello che non ci dà un utile è ingiusto. Quindi tutto è permesso, il furto, il delitto, l’incendio, lo spergiuro. Che cosa dico “permesso”? Non sono più neanche delitti, se compiuti nell’interesse della tribù…E questo che cos’è? Il punto di vista del criminale.
Se a “radio” sostituiamo “media, social”; se riflettiamo sul dominio dell’ “utile” anche in recenti proposte educative; se riflettiamo sul permissivismo pedagogico, sulle indulgenze nei confronti delle bravate, delle ragazzate: insomma, se analizziamo  molti di questi elementi, possiamo concludere che sono presenti anche nella nostra realtà attuale e temere, a ragione, che dalla loro connessione possa scaturire una miscela pericolosa, perfetta per intorpidire le menti ed estinguere ogni principio di responsabilità.
Perché è da quest’humus che possono nascere, che nascono conseguenze irreparabili: da premesse storte a conclusioni false, come scrive Horváth.
Gli studenti, ieri come oggi, giudicano il loro insegnante: uno di loro arriva ad affermare davanti al giudice:
“Le idee del professore mi sembravano spesso un po’ infantili. […] perché il professore ci parlava sempre del mondo come dovrebbe essere e mai come realmente è.”
E istantaneamente quelle parole danno di che pensare al giudice (e al lettore) che le ascolta:
Il presidente (del tribunale dei minorenni, nda) lo guarda stupefatto. Sente che il ragazzo sfiora una zona in cui domina sovrana la radio? In cui le aspirazioni morali sono dei ferri vecchi, mentre ci si prosterna davanti alla brutalità del reale?
Sono considerazioni importanti: il potere pervasivo della radio (allora; dei social oggi!) per l’educazione (o diseducazione?); la dittatura della brutalità della realtà, alla quale tutto soggiace; lo sprezzo delle aspirazioni morali, inutili come ferri vecchi; i ragazzi, spavaldi e spregiudicati, che disprezzano o compatiscono l’insegnante, perché è un inguaribile sognatore.

Ma perché quel titolo: Gioventù senza Dio? Cosa si intende per “Dio”, qui?
Credo che ciascun lettore debba ricavare da solo il senso dalla lettura dell’intera opera.
Al professore che a modo suo ritrova la fede e si chiede: “Se soltanto si sapesse dove abita Dio!” un vecchio tabaccaio risponde: “Abita dovunque non è dimenticato…Abita anche qui da noi [intendendo, a casa sua, dove vive con la moglie, nda] perché non bisticciamo mai”.
Dio abita dove gli uomini si ricordano di lui: ma quei giovani non ne sanno nulla, l’hanno del tutto dimenticato (Di Dio, nessuno parla).
Mi verrebbe da dire, laicamente, che Dio è qui anche e soprattutto la coscienza, che scuote l’anima del professore e lo trasforma da passivo testimone a determinato protagonista per la sua ostinata ricerca della verità che lo porta alla soluzione del caso (c’è anche un delitto, si può leggere il libro anche come un giallo), sino alla conclusione tragicamente positiva, catartica: poiché, nonostante tutta la nostra corresponsabilità nel male, è bello, è magnifico, quando un malvagio è annientato.
Sarà così, ma senza alcun particolare entusiasmo.
Più volte viene ripetuta una fosca profezia: Andiamo verso tempi freddi; tempi freddi ci attendono.
Noi oggi sappiamo benissimo verso quali tempi si stesse drammaticamente procedendo: quelle divisioni di gente senza carattere, al comando di idioti, tutti con lo stesso passo hanno marciato convinte verso una guerra di immani proporzioni.
Chi sono stati i responsabili di ciò? Certamente quei giovani (li credo capaci di tutto. È una gramigna: meriterebbero di essere sterminati), ma anche e soprattutto coloro che li hanno “educati” (??).
L’io narrante della nostra opera – questo docente solitario, senza veri amici e senza stabili affetti, se non i troppo lontani genitori; questo docente poco più che trentenne e però già così vecchio per i suoi alunni – riuscirà a salvarsi da quel tempo e da quel luogo, potrà procedere da solo verso altri cieli, come dice il titolo dell’ultimo capitolo: vorrei fermarmi su questo barlume di positività che suggella l’opera e ricavarne un monito.
Con la cultura, con la consapevolezza critica, con la determinazione a seguire sempre la verità, a non cedere a compromessi, a non giustificare mai l’odio e la violenza: solo così ci si può salvare.
Ma solo a condizione che si creda in qualcosa che non si riduce unicamente alla realtà materiale; solo se ai giovani si propone una educazione ben diversa da quella di quel tempo. E perché questa salvezza non sia del tutto solitaria ed individualistica, occorre “contagiare” le classi, i gruppi di giovani, col proprio entusiasmo e con lo studio, la ricerca, l’analisi di quei pensieri e di quelle aspirazioni morali che non sono vetusti e inservibili arnesi, ma l’unico antidoto all’imbarbarimento sempre in agguato.
Perché, per fortuna, c’è sempre qualcuno a cui non piace sfilare e a cui non va la storia del comando e i discorsi ripetuti sempre eguali, come meccanici slogan, che alla fine vengono valutati per quello che sono: pure stupidaggini.