Il senso della storia… tra biologia, minoico, arte, letteratura e fisica

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STEFANO CASARINO e PAOLO GIACOSA

Molto vari e ricchi di spunti pluri- ed interdisciplinari i due pomeriggi di martedì 22 ottobre e di giovedì 24 ottobre, quando nell’Aula Bruno del Liceo “Vasco-Beccaria-Govone” si è tenuta la Sessione Autunnale del Convegno AICC dedicato a Il senso della storia.

Ha aperto i lavori l’articolato intervento del Prof. Luca Maddaloni, Storie a doppia elica: una riuscitissima esemplificazione di come la “scienza” contaminata dalla “narrazione” possa raggiungere un pubblico più vasto e di come il sapere umanistico e quello scientifico possano, anzi debbano, dialogare tra loro.
Fornire, infatti, informazioni storiche sulla scoperta del DNA e, soprattutto, indagare sui caratteri dei due scopritori (James Watson e Francis Crick), sul loro rapporto interpersonale e su quello con la comunità scientifica del tempo è il modo migliore per fa comprendere la rivoluzionaria novità che tutto ciò rappresentò e ancora rappresenta: la scoperta, infatti, fu annunciata il 28 febbraio 1952, ma fu pubblicata l’anno dopo, il 25 aprile 1953, con un succinto articolo (ed è importante anche fornire questa documentazione, leggere quel testo: un po’ di filologia non guasta mai!) su Nature.
Il crisma del pieno riconoscimento avvenne però solo quasi un decennio dopo, col conferimento del Premio Nobel per la Medicina nel 1962 ad entrambi gli scienziati, le cui personalità sono state brillantemente esplorate nel corso dell’esposizione: non godevano, a dire il vero, di una grande reputazione, se furono definiti: due chiacchieroni che passavano il tempo a ciarlare e a bere più che a fare esperimenti.
Un rapporto complesso, il loro, condito anche da un’indispensabile dose di emulazione e dalla riuscita combinazione, come è stato felicemente detto, tra un “radar” e un “laser”. Interessante anche l’esplorazione dei rapporti coi maggiori esponenti della comunità scientifica di quel tempo, con Linus Pauling, Erwin Chargaff, Maurice Wilkins e, soprattutto, con Rosalind Franklin, l’unica donna ammessa e in fondo mal sopportata in quella sorta di esclusivissimo androceo.

Dalla storia di una delle più importanti scoperte recenti della biologia siamo passati alla storia della decifrazione del Lineare A da parte di due giovani docenti e ricercatori, Laura Bellani e Duccio Chiapello, che con entusiasmo e notevole coraggio sono andati contro l’idea dominante che tale scrittura nulla abbia a che fare con l’antico greco, ma anzi hanno sostenuto, con esempi particolarmente convincenti, che anche quella scrittura rimanda al greco.
In un’efficace relazione a due voci, siamo stati informati della loro recente pubblicazione (agosto 2018 per Aracne Ed.): La decifrazione della Lineare A, che certamente merita una maggiore eco anche nella comunità accademica.

Ha chiuso i lavori del primo pomeriggio l’appassionata relazione della Prof.ssa Carla Rossi, dal titolo: Il senso della storia intrinseco all’arte: tempi e tempeste. La relatrice ha colto, con chiarezza e con grande cura nella selezione delle opere e degli autori proposti, la polivalenza dell’arte nei confronti della storia: da riproduzione ad esaltazione a critica. Ci ha fornito una ricca panoramica, partendo dal simbolismo delle pitture rupestri del Paleolitico all’arte romana (l’Ara Pacis e la Colonna Traiana, straordinarie opere di propaganda politica) e dall’arte medievale e rinascimentale (Ambrogio Lorenzetti e l’Allegoria del Buon Governo; Paolo Uccello e La battaglia di San Romano; Andrea Mantegna e La camera degli sposi) al Seicento votato all’esaltazione del cattolicesimo (Gian Lorenzo Bernini) e dal Neoclassicimo di Jacques-Louis David al Romanticismo di Francesco Hayez, sino ad arrivare a tempi più vicini a noi con I funerali dell’anarchico Galli (1911) di Carlo Carrà e all’ “arte del littorio” e il monumentalismo di Marcello Piacentini.

È stata Gabriella Mongardi ad aprire il pomeriggio di giovedì 24 ottobre, approfondendo la relazione tra letteratura e storia in Irène Némirovsky, scrittrice francese di origine ebraica, vittima della Shoah. Un intervento che ha collocato nell’ambito del romanzo storico – che in Italia ha tra i suoi massimi esponenti il Manzoni – due capolavori della Némirovsky.
Da una parte I cani e i lupi, storia di ebrei e di artisti, narrazione di esuli vittime dell’ineluttabilità del destino; dall’altra I doni della vita, opera che fa vivere al lettore entrambe le guerre mondiali, con la tragedia di quella doppia sofferenza, cercando di resistere all’assurda distruttività della storia.

L’immersione “nel corpo della storia” è stata affidata a Fulvia Giacosa, in continuità cronologica con l’intervento di Carla Rossi. Un viaggio nell’arte dal Novecento in poi, partendo dalle osservazioni di Walter Benjamin, nelle varie modalità con cui si è cercato di raccontare l’indicibile delle guerre mondiali, dei conflitti in Vietnam e in Corea, dell’oblio dei diritti umani, dei cataclismi e delle tragedie della modernità.
Una panoramica da Otto Dix (Pragerstrasse), a Picasso (Guernica), da Arman a Kiefer, da Salcedo a Burri; un excursus tra quadri, installazioni e fotografie, con temi e suggestioni prettamente novecentesche: l’assenza più importante della presenza; il dovere della memoria e la costruzione della durata; la distinzione tra “cronaca” e “storia”. Anche qui è stata pregevole la capacità di sintesi, la perfetta focalizzazione dei contenuti e l’esposizione appassionata della relatrice.

Così come la biologia ha iniziato la Sessione Autunnale, è toccato alla fisica concluderla, con un’altra relazione a due voci, il Prof. Matteo Leone e la Dr.ssa Marta Rinaudo: anche in questo caso si è trattato della felice contaminazione, o meglio forse sarebbe definirla “sinergia”, tra la trattazione storica e l’esposizione delle scoperte scientifiche.
Il primo relatore ha particolarmente insistito sulla science education e ha proposto la lettura di brani in cui si sostiene la necessità di sfoltire il programma di fisica, di essere meno angosciati (come invece sono troppi docenti, e non solo di fisica!) dall’imperativo categorico di esaurire tutto il programma e di operare invece delle scelte, anche drastiche, e privilegiare la contestualizzazione storica e la discussione concettuale, ponendo domande e ricorrendo più all’induzione che alla deduzione: modernizzare la didattica (di tutte le discipline) vuol dire ridurre (non eliminare) il tempo della lezione frontale e aumentare quello del laboratorio e dell’interazione coi discenti.
Discende da tale impostazione l’intervento della Dr.ssa Rinaudo, che propone di utilizzare – laddove è possibile, e va detto che a Mondovì col MUBEC del Liceo si è in condizioni particolarmente propizie – per l’insegnamento della fisica anche gli strumenti storici, beninteso se essi sono a disposizione: ciò è fattibile in alcuni Licei Classici delle province di Cuneo e di Torino e certamente consente un maggior grado di interesse e di coinvolgimento da parte di coloro che a tali esperimenti possono assistere.

Come si può constatare, quindi,  discutere del “senso della storia” non è solo un tema per addetti ai lavori, ma, adeguatamente compreso, permette di rendersi conto di quanto l’eliminazione o la forte riduzione di ciò si trasformi ipso facto in un’operazione deleteria a più livelli e per tutte le discipline, non solo quelle umanistiche. Di senso della storia abbiamo tutti sempre e comunque bisogno.