Cento candeline per Bauhaus (1919)

(da Wikimedia Commons)

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FULVIA GIACOSA

Tra i tanti anniversari in ambito artistico di questo anno c’è il centenario della fondazione della più famosa “scuola” del secolo scorso, la Bauhaus (aprile 1919) a cui dedico queste righe, ricordando quanto mi abbia affascinato quella esperienza – studiata negli anni universitari ad Architettura –, fucina di intelligenze e ancora così attuale nella sua testimonianza di comunità pensante ed agente.
Parlare di Bauhaus significa inevitabilmente parlare del suo principale protagonista, l’architetto tedesco Walter Gropius (1883-1969) che ne ha progettato la seconda sede a Dessau (1923-’25).

Un po’ di storia.
L’idea della “scuola” nasce nel 1919 a Weimar ed è inseparabile dalla fragile Repubblica (1919-1933) che porta il nome della città dove prese corpo, dopo i tentativi insurrezionali spartachisti repressi nel sangue. In una Germania in miseria dopo la sconfitta nella guerra, con una borghesia avida e corrotta e un generale sgretolamento sociale, la Repubblica di Weimar consente la ripresa economica del paese (tra il ’24 e il ’29) e il suo reinserimento nel contesto internazionale. In tale quadro – ben più complesso di come qui è stato ricordato – si assiste ad una grande fioritura artistica e si comprende il determinante contributo della Bauhaus che guarda al futuro con pragmatismo e razionalità, punta alla urgente ricostruzione sociale ed economica attraverso la cultura in cooperazione con l’industria. E non è casuale che essa nasca a Weimar, città coltissima già in passato, vero concentrato di intellettuali che, liberi da ideologismi, credono nella funzione sociale delle arti quando capaci di operosità produttiva e potenziamento dell’ingegno.

Nella Germania pre-bellica già esisteva un’istituzione statale, il Deutsche Werkbund (Lega tedesca degli artigiani) nato a Monaco nel 1907 con lo scopo di promuovere l’architettura e le arti applicate per la Germania industrializzata. Giunta ad una espansione industriale sul finire dell’Ottocento, più tardi rispetto ad altri stati europei, la Germania punta nel nuovo secolo ad essere competitiva sul piano qualitativo più che quantitativo e quindi investe in una solida educazione artistica orientata alla produzione industriale, tant’è che i rapporti del Werkbund con le industrie tedesche sono strettissimi. Ogni progetto doveva analizzare modalità, tempi e costi di produzione coordinandosi con le necessità delle aziende produttrici oltre a preservare la qualità delle tradizioni artigiane. Importante personalità del Werkbund è Peter Behrens: famosa la sua fabbrica di turbine della AEG, 1907-’09, un’impresa che produceva una vasta gamma di prodotti commercializzati in tutto il mondo. Nello studio di Behrens lavorano dal 1907 i giovani Adolf Meyer e Walter Gropius. I due fondano una società e nel 1911 progettano insieme le Officine Fagus, ispirate alla fabbrica AEG di Behrens, ma più leggere per la prevalenza di pareti vetrate, mentre è del 1914 il loro padiglione del Werkbund per l’esposizione universale di Colonia. Nel 1919 danno vita alla Bauhaus che oltrepassa i limiti del Werkbund e di altre scuole d’arti e mestieri, troppo dipendenti dalle richieste dell’industria capitalistica, e supera l’élitarietà delle accademie di Belle Arti ancora legate al mito romantico del solitario genio creativo, anche se inizialmente Gropius cerca un compromesso tra le due tipologie di scuole. All’inizio la scuola è sovvenzionata con fondi pubblici dall’amministrazione socialdemocratica della città, ma in poco tempo le cose cambiano: subentrarono contrasti con le autorità, si acuiscono problemi economici che costringono la scuola a modificare l’iniziale orientamento artigianale per trovare nuovi contatti con le imprese tedesche e inoltre nascono dissidi interni sulla metodologia di insegnamento che portano nel 1921 alle dimissioni di Itten, troppo misticheggiante per una scuola con i piedi ben saldi nella modernità. Finché, nel 1925, la scuola accoglie l’invito della municipalità di Dessau e viene qui spostata, in un edificio progettato da Gropius che, nel 1928, lascierà l’istituto; lo sostituirà Meyer fino al 1930 e, quando la scuola verrà spostata a Berlino (1931), la direzione passerà a Ludwig Mies van der Rohe, che concentrerà l’attenzione sulla didattica architettonica. Nel 1933 i nazisti chiuderanno la scuola definitivamente. Molti dei suoi protagonisti emigreranno in Inghilterra e negli USA. Laszlo Moholy-Nagy fonderà nel 1937 il New Bauhaus a Chicago, oggi Institute of Design, fondamentale per tanti architetti e designers americani. D’altronde ancora oggi gran parte degli oggetti e mobili disegnati negli anni del Bauhaus sono in produzione.

Scopo della scuola era l’unità delle arti superando vecchi stereotipi come la distinzione tra arti maggiori e minori o applicate: a tale fine ogni corso era tenuto contemporaneamente da un artista e da un maestro artigiano. Scrive Gropius in occasione della prima esposizione della Bauhaus a Weimar: “L’insegnamento artigianale si propone di preparare alla progettazione per la produzione di massa. Partendo dagli utensili più semplici… l’apprendista della Bauhaus acquisisce gradualmente la capacità di controllare problemi più complessi e di lavorare con le macchine e, nello stesso tempo, entra in contatto con l’intero processo di produzione, dall’inizio alla fine”. È evidente, in quest’ultima affermazione, il superamento dei meccanismi alienanti dell’industria come la catena di montaggio in cui l’operaio svolge (e conosce) solo un frammento del processo produttivo (avete presente Chaplin in “Tempi moderni”?).

Fondamentale era il corso propedeutico (il Vorkurs, semestre obbligatorio) in cui si studiavano i materiali, le forme naturali e geometriche, i colori, la composizione, le leggi della percezione visiva. Inizialmente tale corso era affidato a Johannes Itten (Teoria del colore) che, attraverso il metodo learning-through-doing, mirava a liberare la creatività individuale e a rendere lo studente consapevole delle proprie capacità e predisposizioni. Dopo le sue dimissioni il corso è affidato a Kandinsky, Albers e Moholy-Nagy che insegnavano anche pittura, fotografia e cinema. Superato questo primo livello, si accedeva ai corsi triennali che comprendevano seminari teorici e soprattutto laboratori sperimentali sulle caratteristiche tecniche e di lavorazione dei materiali da applicare nell’arredamento (falegnameria, metalli, tessitura, stamperia, scultura, ceramica), la decorazione parietale, le stoffe, la grafica, la progettazione architettonica, considerata la sintesi del tutto. Docenti e studenti vivevano all’interno della scuola e molti insegnanti erano stati a loro volta allievi.  Fin dal 1919 insegnano in questi corsi Oskar Schlemmer (Scultura e Teatro) e Paul Klee (Teoria della forma e della figurazione oltre a pittura); poi, tra 1921 e ’25, Theo van Doesburg (Arti plastiche), Wasilij Kandinskij (Pittura murale) e l’ex allievo Marcel Breuer (Design del mobile), al quale si devono gli interni del Bauhaus di Dessau e le famose sedie in acciaio tubolare. Lo studio della progettazione e costruzione architettonica era riservato ad una terza fase e prevedeva tirocini nei cantieri, come anche lo studio della storia dell’arte.

L’edificio di Dessau.
Il progetto di Gropius è lo specchio del sistema didattico della scuola. Nella rigorosa pulizia formale dettata da coerenza ed esattezza, nella leggerezza strutturale, nella luminosità delle grandi pareti vetrate, l’edificio non risponde più ai vecchi canoni del bello architettonico (da “contemplare”) ma nella perfetta rispondenza tra la forma e l’uso cui essa è destinata. Coerente con la didattica della Bauhaus basata sul principio democratico della collaborazione tra docenti e allievi, i vari corpi di fabbrica di Dessau si integrano e sostengono vicendevolmente. Nella Bauhaus si “vive” e il complesso prevede alloggi per gli uni e gli altri in fisica aggregazione con spazi comuni per conferenze, letture, discussioni, organizzazione di eventi teatrali, musicali, artistici e, naturalmente, laboratori.

La pianta dell’edificio, rigorosamente composta di linee rette ed angoli a 90°, è generata sostanzialmente da due grandi “L” incatenate tra loro: una comprende gli alloggi degli studenti, gli spazi comuni e i laboratori, l’altra le aule e gli uffici amministrativi; questi ultimi si trovano su un braccio sollevato da terra su pilastri che consente alla strada del precedente tracciato urbano di passarvi sotto. I tetti piani di tutte le parti hanno altimetrie ed estensioni diverse: il blocco degli alloggi, luogo di sospensione momentanea delle attività collettive, è un compatto volume cubico e costituisce l’unico momento di stasi dell’intera composizione; gli altri blocchi, per collocazione e orientamento, generano un integrato sistema dall’equilibrio dinamico e ritmico per la presenza di una pluralità di assi in sostituzione dell’inerzia generata dalla tradizionale simmetria lungo un solo asse centrale. Il fulcro di rotazione è il corpo centrale con la lunga galleria (uffici, dove si concentra l’attività di gestione della scuola) sul quale si innestano i due grandi corpi orizzontali che si compensano volumetricamente (quello delle aule è più compatto e quello dei laboratori è più esteso) e dal quale parte un breve corpo (con il refettorio e una sala di riunione) di collegamento con gli alloggi degli studenti di cui s’è detto. A guardare dall’alto il complesso è di una semplicità estrema e di una unitarietà rara: questa è raggiunta proprio grazie al ritmo che genera la rotazione di blocchi di per sé tanto diversi per estensione, struttura e massa. Anche le tradizionali antitesi dell’architettura (pieno/vuoto, orizzontale/verticale, interno/esterno) si ricompongono in unità: i muri, non più elementi portanti, diventano diaframmi; le vetrate sono contemporaneamente superficie e profondità, non vuoti scavati nel pieno murario; l’orizzontalità integra l’edificio nel suo intorno rinunciando a qualsivoglia forma di monumentalità.

Scrive G. C. Argan: “In una comunità democratica le case sono di vetro, nulla si nasconde, tutto comunica, e la scuola è il nucleo generatore, il modello della comunità democratica, in cui lo studio, il lavoro, lo svago si compongono in un’armonia creativa”.