B.C.

PiazzaMaggiore1970PATRIZIA GHIGLIONE (a cura)

Quando ero piccolo c’era l’incanto degli anni.
Ma i gelati avevano davvero un gusto diverso, lo diceva anche mia madre, che piccola non era più.
Allora, c’era Gastaldi che vendeva i gelati, qui a Piazza.
Anche Piazza, era veramente diversa. La gente aveva interessi, per la Storia, per esempio. Si scrivevano addirittura libri, di Storia. C’era interesse per l’arte, per la musica; per l’hi fi. E questo si vedeva anche dalla pubblicità dei giornali. Prendi l’interesse per l’hi fi, per esempio; Noris aveva costruito due casse acustiche eccezionali, ed era subito partita una sfida sulla qualità delle casse acustiche. La sfida era con le Bose 901; passava la gente per strada e la si chiamava ad entrare nel negozio di hi fi, il negozio di Noris, ad ascoltare e giudicare: “vene, vene a scutè”.
L’ottico, che era anche fotografo, aveva portato il suo cannocchiale su al Belvedere e subito, intorno, si era formato un capannello di gente che non finiva più: tutti erano curiosi di vedere, di provare, di sapere.
Poi, c’erano le riviste settimanali.
Oggi i bambini non hanno più niente. Noi, con il Corriere dei Piccoli avevamo tutto. C’erano le Grandi Storie di Pace e di Guerra, illustrate dai più grandi fumettisti dell’epoca, c’era Mino Milani che ne curava i testi.
C’era l’interesse per la fotografia e succedeva questo, che la qualità delle foto di quel periodo era molto alta. Oggi non c’è più quel doit [si legge some si scrive, in dialetto monregalese significa buon gusto, buone maniere] del passato; allora una foto si meditava, si studiava la luce, si soffriva lo sviluppo. Prima di fare un “clic” ci pensavi due volte.
È il sentimento, che manca. Racconto una cosa, per spiegare.
Facevo le elementari, negli anni ’60. Una volta, era sera, mia madre mi ha detto: “Vene, che ti compro i Kinder”. Erano i primi, veri Kinder. Poi siamo andati da Maria M., quella signora che adesso ha 93 anni e ne dimostra 50. Mi ha dato, quella sera lì, uno zucchero particolare, a pezzetti, che si teneva insieme con un cordino. Poi mi ha fatto vedere un quadro di Zanat. Quello è stato un momento che, con niente, non si è più potuto dimenticare.
C’erano, allora, tre o quattro panetterie a Piazza. Eravamo in tanti e mangiavamo. In via Vico c’era Eva, che faceva i semolini, le miche arise. Strepitosi, poi, erano i suoi amaretti morbidi, un gusto che non si è più riusciti ad imitare.
A quei tempi c’era T. che, quando aveva bevuto un po’ non era mica ubriaco, no, trovava l’ispirazione e cominciava a declamare: “noi metalmeccanici, che pieghiamo il ferro e l’acciaio, piegheremo anche la vostra dabbenaggine e la vostra … tracotaggine”.
Negli anni ’70, poi, c’erano dei giovani, io li chiamavo I GRINGO: bar, sigarette, morose. Tutti duri, rigidi come baccalà, c’era da ridere a guardarli, erano caricature, alla Petrolini.
Anche oggi i giovani è già come se fossero uomini. Sciagurati, però. Ho sentito, un po’ di tempo fa, una ragazzina che diceva ad un’amica: “tu, dei problemi devi fregartene”. Sciagurati. Solo rumore, i giovani d’oggi, solo rumore; hanno il rumore sotto il culo e il vuoto dentro al cuore.
Quando avevamo il maestro Roattino, in V elementare, eravamo molto presi dagli avvenimenti del Risorgimento. Avevamo letto in classe “La piccola vedetta lombarda” del libro “Cuore” e ci sentivamo addosso il sangue, pensando alla battaglie di Solferino e di San Martino. Ce l’eravamo scritto, l’avevamo ricopiato tutto sul quaderno, quel racconto. Eravamo degli ometti, con sentimento.
Qualche tempo fa c’era, tra le vecchie cartoline di Mondovì, un’immagine che mi aveva colpito molto. Era esposta da Mario, il cartolaio; si vedevano delle macchine parcheggiate sulla piazza, delle 850, delle 500, poi c’era la neve, sullo sfondo il Palazzo di Città. Questa è una pura realtà da rinverdire, da rinnovare perché le pietre devono sempre cantare, per vecchie che siano; non che la banalità prenda il sopravvento sul sentimento.
Quando Noris costruiva le sue casse, le provava, le faceva ascoltare, c’era genialità, c’era passione.

(Testimonianza di Bruno Capellino)