Tutti i colori di Cecilia Mejía Benítes

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BRUNA BONINO

La prima sensazione guardando i dipinti di Cecilia è di meraviglia, una meraviglia esaltata dalle forme sinuose e colori brillanti che avvolgono ed accendono le emozioni. I soggetti scelti rappresentano la quotidianità trasformata dall’artista con l’intento di trasmetterne un messaggio nascosto.

Cecilia Mejía Benites è nata a Pereira Risaralda (Colombia) in un contesto di emarginazione socioeconomica, quinta di sette fratelli, figlia di un’abile sarta e di un artigiano. Abbandonati gli studi, a causa della difficile situazione economica, Cecilia per vocazione diventa suora nella Comunità Religiosa Javeriana, dove inizia i suoi studi universitari in psicologia sociale. L’esperienza spirituale dura quindici anni. Attualmente lavora in un quartiere molto difficile e pericoloso a Cali, ma continua la  sua ricerca artistica.

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Come ti sei avvicinata alla pittura?

«I miei inizi sono stati incostanti. Lavoravo in un centro comunitario di promozione della cultura, in un quartiere emarginato di Bogotá dove venivano progettate e svolte diverse attività artistiche. Ho iniziato a dipingere cartelli per la pubblicità. In seguito gli organizzatori decisero di  realizzare murales nel settore ed una compagna mi insegnò le basi della pittura. Utilizzando i colori sentii nascere in me emozioni che non conoscevo.

Inviata come missionaria nella regione di Urabá Antioqueño, un territorio della Colombia dilaniato dal conflitto armato, decisi di lavorare con i giovani insegnando loro quel poco che sapevo di tecniche pittoriche. Ottenni un enorme successo e molte soddisfazioni; nel frattempo continuavo la mia esperienza pittorica personale. Conobbi l’artista spagnola Susana Hidalgo che apprezzò due miei dipinti e mi chiese lezioni private. Questo fatto mi incentivò a continuare la strada artistica con rinnovato slancio ed entusiasmo».

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Hai frequentato qualche scuola pittorica?

«No. Le scuole pittoriche in Colombia sono per pochi ed io non potevo permettermi di frequentarle. Ho scoperto le mie abilità pittoriche all’interno della comunità religiosa alla quale appartenevo e la mia ricerca artistica è sempre stata legata agli affetti, alle emozioni, alla natura».

Le tue opere sono ispirate da altri pittori?

«Amo ed apprezzo moltissimo artisti come Mirò, Kandinskij, Frida Kahlo, Rembrandt, Rodrigo Arenas, Omar Rayo. Il mio lavoro nasce però direttamente dai miei sentimenti, dall’amicizia. Cerco di trasmettere armonia, pace, equilibrio, movimento, totalità ed integrazione. Voglio esprimere il mio mondo interiore, ciò che provo, vivo e cerco. Credo che ogni artista esprima il proprio mondo e la propria esperienza».

Che significato dai alle tue opere?

«Anche se questo argomento è molto soggettivo, ritengo che ogni cosa nell’universo comunichi qualcosa. Il cosmo è pieno di messaggi  ma tutto dipende dal nostro sguardo. Più che comunicare, le mie opere esprimono l’allegria, la trascendenza attraverso la ricerca della danza multicolore dove il contrasto di ombre si trovano, si connettono, vincendo la dualità e generando profondità, armonia e movimento».

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Che tecniche utilizzi?

«Preferisco l’acrilico perché sono riuscita a trovare una connessione profonda con la testura e il colore. Lavorare con l’acrilico è come accarezzare la superficie su qui lavoro».

Quanto tempo dedichi alla pittura?

«Meno di quello che vorrei. Ancora oggi devo lavorare nel sociale per sbarcare il lunario».

Hai cambiato il tuo modo di dipingere dall’inizio fino ad ora?

«Il mio lavoro all’inizio era condizionato soprattutto dalla situazione sociale: la paura, l‘insicurezza e la violenza. Più tardi la mia vita migliorò e lo stile cambiò con essa. Con il tempo le tonalità sono diventate più vivaci, armoniche, solari e morbide. All’inizio le figure femminili avevano la testa scollegata e senza espressione, ora riesco a collegare il tutto e a dare una maggiore espressività».

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Hai dipinto sotto commissione?

«Poche volte, ma sempre per conoscenti. Ho avuto modo di far conoscere i miei lavori attraverso alcune mostre personali, sempre con scopi di beneficenza: in Colombia a Cali presso il Centro Comunitario Yira Castro, in Italia ad Alba presso la scuola Macrino e a Parigi grazie ad una cara amica».

Cosa significa dipingere per Cecilia?

«Dipingere significa avere la possibilità di staccare con la realtà, poter volare con l’ immaginazione. Quando dipingo esistono solo  i colori, i pennelli, la tela, ma soprattutto esisto io, nel presente, godendo del momento creativo. Ad ogni pennellata sorgono idee e proposte che trovano la loro concretizzazione nella miscela di colori e la danza delle forme. Ambedue risvegliano sentimenti ed emozioni che mi fanno trascendere il tempo e lo spazio. Non lavoro sotto pressione, non lavoro con orario,  dipingo quando tutto il mio essere dice che è tempo per dipingere».

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