Liala a 120 anni dalla nascita

Intervista a Liana Cambiasi Negretti Odescalchi

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CLAUDIO SOTTOCORNOLA

Sulle colline di Varese, immersa nel verde della campagna, una elegante, candida villa, «La Cucciola»; dentro, tre donne in un mondo antico di ritratti e mobili onusti: la figlia Primavera, detta Bea, Tilla, la governante-amica, e poi lei, Liala, madre, oracolo, da sessant’anni vestale della narrativa femminile.
Un’austera educazione nobiliare da parte Odescalchi («La nonna paterna faceva sentire la sua nobiltà lontano un chilometro») e dalla famiglia materna Picci di Bormio. Un matrimonio giovanile, forse troppo («Una volta era necessario sposarsi presto»), con il marchese Pompeo Cambiasi, ufficiale della Regia Marina, di quindici anni più anziano, e nasce la figlia Bea. Un amore travolgente e impossibile, eterno ma brevissimo, per Vittorio Centurione Scotto, il più giovane pilota d’idrovolanti italiano, morto nel 1926, a bordo del suo apparecchio, in un incidente sul lago di Varese. E poi la letteratura, scrivere per dimenticare, per affermare il diritto ad esistere anche dopo il sogno perduto. Nasce «Signorsì», e nascono tante altre storie d’amori e d’aviazione. Questa è Liala. Ancora oggi arriva una quantità enorme di posta al semplice indirizzo di «Liala, Varese», tanto che al postino sembra di essere alla Banca d’Italia. Chiediamo permesso, entriamo.

Signora Liala, come sta?
«Benino, se non posso dirle benone le dirò benino».

C’è un filo conduttore nei suo romanzi?
«Forse un filo conduttore no. Ma che abbia pensato sempre a una stessa persona, quello sì».

Lei parla di Vittorio Centurione. Com’era fisicamente?
«Era alto 1,88. Atletico, molto forte. Aveva gli occhi d’oro, denti splendidi, era molto nervoso e geloso. Aveva i capelli di un castano-biondo ma, siccome andava sempre in volo senza casco in testa, gli si striavano, oggi direbbero che ha le mèches».

Che cosa significa per lei scrivere?
«Forse distrarmi. Perché la tristezza continua, quella non passa. Anche perché è morto così all’improvviso… Mi aveva telefonato venti minuti prima, e non mi aveva mai detto quanto era pericoloso l’apparecchio. Conservo ancora un modello del suo idrovolante, un MC26. Le assicuro, fu una cosa tremenda».

Lei ha conosciuto Gabriele D’Annunzio…
«Mi ha ricevuto in un salone disadorno, dove non c’era niente. Ma dal soffitto pendeva l’elica del “Gennariello”, l’idrovolante del grande pilota De Pinedo. Gli idrovolanti hanno una bellezza particolare perché, anziché atterrare, ammarano, vanno sull’acqua. Mi ha dato dei consigli, per esempio di stare attenta agli aggettivi, che qualche volta tre aggettivi con un nominativo diventano una frase. E poi mi ha fatto vedere una cosa che non aveva mai mostrato a nessuno: una cassettina con due lumicini, quelli di cera che si mettono sulle tombe. E mi ha detto: “Io studiavo fino a tardi in collegio, il mio compagno di scuola era un dormiglione, si addormentava sui libri. Io rubavo l’olio del suo lumicino e poi lo mettevo nel mio, così avevo tanto olio da poter studiare fino a mezzanotte o all’una».

Qual è uno dei suoi ricordi più belli?
«C’era Italo Balbo qui a Varese, che assisteva alla preparazione della Coppa Schneider di velocità, alla quale partecipava Vittorio Centurione. Mi ha chiesto: “Ha mai volato?”. Ho risposto di no. Mi ha detto: “Allora io me ne vado, non vedo niente, e lei voli con chi vuole”. E ho volato col mio pilota… Che strano, mi aspettavo degli spruzzi sui capelli. E invece niente».

I critici non sono mai stati troppo benevoli con lei. Che cosa risponde?
«Niente, non vale la pena. Che cosa vuol rispondere? Me ne han dette di tutti i colori, e io li ho lasciati dire. Però io sono andata avanti e loro si son persi per strada. Adesso c’è stato un critico, Zeri, che ha scritto: “È tempo di finirla di trattar male la vecchia Liala”. Ha voluto metterci un “vecchia”, io so di essere vecchia, ma non importa, mi ha fatto tanto piacere».

Lei ha vissuto anche la guerra…
«Io ho visto anche la prima guerra mondiale. È morto un mio cugino, ricchissimo, bello, superbo, anche perché era figlio unico della nobile famiglia Odescalchi. E poi tanti miei compagni di scuola hanno lasciato la vita nella guerra. Dico tutte le sere una preghiera per loro».

Che cosa conta di più nella vita?
«Essere tranquilli. Cercare di non spendere più di quello che si ha, vivere onestamente e avere, se si può, un grande amore. Poi, qualche volta, il grande amore se ne va… e Liala rimane sola. Avevo 29 anni quando Vittorio Centurione se n’è andato, è stata una cosa durata solo due anni. Ho proprio scritto per non soffrire».

Amava suo marito?
«Ho voluto molto bene a mio marito, abbiamo avuto due figlie, ma lui mi dimenticava… Era un uomo a cui piaceva il mare. Certe volte non lo trovavo, quando avevamo la villa, molto grande, qui a Varese; lo chiamavo, e il portinaio o il cameriere mi dicevano che era partito. Si dimenticava anche di salutarmi…».

Com’è il rapporto con il suo pubblico?
«Molto bello. Pochi giorni fa mi ha telefonato una signora che sta rileggendo il mio romanzo “Ritorna malinconia”. E mi dice: “Povera Lilian…”, perché la protagonista si chiama Lilian e quella è un po’ la mia storia. Questa signora che lo intuisce e mi dice al telefono “Povera Lilian”… è una cosa meravigliosa».

Lasciamo Liala a consumare il suo ininterrotto sacrificio d’amore.

 

Pubblicato per la prima volta in: Il Giornale di Bergamo Oggi, 30 giugno 1990Oggi inClaudio Sottocornola, Varietà. Taccuino giornalistico: interviste, ritratti, recensioni, approfondimenti, ricerche su costume, società e spettacolo nell’Italia fra gli anni ’80 e ’90, Marna editore, 2016. Margutte ne parla QUI)