Diario di una giovinezza, nona puntata

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FELICE BACCHIARELLO

Ancora in Russia

Così, isolati e lontani migliaia di chilometri dalla patria, dalle proprie famiglie, privi di ogni conforto morale e materiale, privi persino di acqua (ironia della sorte, in riva ad uno dei più grandi fiumi), insieme alle forze fisiche scemava anche quella morale.
Ogni notte, poi, una squadra a turno effettuava, oltre che il servizio particolare di vedetta, effettuava la cosiddetta pattuglia e talvolta erano anche faticose corvée per il trasporto di mine anticarro, che si stendevano nei campi circostanti, dove erano possibili infiltrazioni di carri armati russi. In questi casi ogni soldato, noncurante del pericolo e della fatica, si prestava volenteroso a tali servizi per il solo fatto che in simili perlustrazioni gli era possibile talvolta recuperare nei campi abbandonati un sacchetto di patate, le quali così servivano ad integrare la scarsa razione di rancio.
A quale punto una nazione deve portare i propri soldati! Costringerli ad arrischiare la vita sotto il fuoco nemico ed in mezzo alle mine per ricuperare un po’ di patate per sfamarsi! “A peste, fame et bello, libera nos Domine!” Quanto sarebbe bello e quanto male si eviterebbe se coloro che si servono di tali mezzi per raggiungere le loro inique brame avessero provato ciò che noi abbiamo provato, che i nostri antenati provarono e che purtroppo, inutile illudersi, i nostri posteri proveranno, ed ogni volta con Maggiore crudeltà.
Da questa località, Dukovoje, fummo trasferiti ad altra dopo due mesi, proprio quando, lieti di avere un po’ di sollievo dal lavoro e discretamente sistemati, si sperava di poterci godere il frutto delle nostre fatiche, al riparo dal freddo, almeno nelle ore di riposo; invece fu giocoforza lasciare il posto a reparti della Divisione “Tridentina”.
Nella nuova zona, 15 chilometri più a sud verso Stalingrado, a mezz’ora di cammino da Topilo, ci stanno in una seconda linea e con quale sorta di maledizioni, imprecazioni; dopo aver lavorato oltre due mesi per sistemarci un po’ onde ripararci dal freddo, in dicembre ci troviamo nuovamente senza rifugi e a 25-30 gradi sotto zero. Perciò non ci restò altro da fare che levare la neve per alzarvi la tenda.
Poi a nulla valendo imprecazioni e proteste, tutto coperto dalla famigerata espressione: “è la guerra”, per levarci dal pericolo di congelare come stoccafissi, volenti o nolenti, con indescrivibile volontà o forse disperazione, in pochi giorni scavammo altrettanti bunker, quanti occorrevano per la bisogna, migliori dei precedenti e tutti nuovamente fummo bene alloggiati ed attrezzati.
Qualche alpino, cui più facile era il buon umore, che sapeva trarre da ogni cosa motivo di ilarità, andava sbraitando per il battaglione che si era andati in Russia appositamente a rimuovere un po’ la terra e cercarvi le pietre, almeno tante per tirare ai cani (in tutti gli scavi effettuati non ricordo di avere mai trovato anche la più piccola pietra, sebbene si fosse fatti scavi a profondità di cinque ed anche sei metri). Qui, data la comodità per la fornitura dei travi di copertura, la cosa fu meno lunga e faticosa.
Mancavano però ormai anche le patate per integrazione del rancio ed allora lo spirito di arrangiamento, tradizionale degli Alpini, ricorse ad un espediente, che ben presto fu noto persino al comando di Divisione, il quale fu costretto a prendere provvedimenti, o meglio, invece di inviare supplemento rancio, se la cavò inviando ai rispettivi comandi dipendenti delle circolari proibitive.
L’espediente consisteva in una cosa tanto semplice, sempre prendendola dal lato buono, che altrimenti ci sarebbe stato un caso veramente di dare di volta il cervello; cioè (da ricordare che la Russia è infestata dai topi, che sono numerosi come da noi le mosche in estate) uccidendo topi e facendo dei grassi “ragù” nella gavetta.
Questo avveniva specialmente da parte dei più giovani, che per la prima volta si trovavano alle prese con le bestie apocalittiche: fame e guerra.
Giorni prima era venuto che nelle vicinanze di questo nostro nuovo villaggio sotterraneo era stata scoperta l’esistenza di un enorme deposito di frumento ancora in covoni, sfuggito all’ondata distruttrice, che tutto abbruciò, dei Russi in fuga nella precedente loro ritirata oltre il Don. Allora i più svelti rifornirono tosto di nuova paglia i loro pagliericci improvvisati col telo da tenda. Ma, ahimè, non avevano pensato al grano ancora nelle spighe ed allora una invasione straordinaria di topi si fece tosto vedere nei bunker, attirata dal calduccio dell’ambiente e dalla gioia di trovarvi in abbondante quantità il grano, loro fornito dalla magnanimità degli Alpini (altruisti e compassionevoli persino con i topi). Così i divoratori di topi avevano inconsciamente attirato un maggior numero di prede. Fu buttata via la paglia, ripuliti bunker dal grano perché altrimenti la vita si rendeva impossibile tanti erano i topi a disturbare, specialmente nottetempo.
Quante volte mi svegliai solleticato alle orecchie, al naso e nello svegliarmi mi accorgevo che erano topi, i quali effettuavano le loro notturne passeggiate sulla mia faccia. Mettendo in mano una mano in tasca ne saltava fuori un topolino il quale, se non trovava altra via migliore, si infilava su per la manica della giacca. Nello zaino topi. In ogni angolo erano topi. Non era possibile salvare alcunché di mangiabile. Ricordo di essere stato due o tre giorni poco bene, allora in quei giorni non mi rammaricai di risparmiare metà della piccola razione del pane, pensando che nei giorni venturi, anche raffermo, l’avrei forse mangiato di buon gusto, quando fosse ritornato l’appetito. Ma quale fu la mia delusione allorché ritornato l’appetito (sì che avevo sempre tenuto d’occhio e tre pagnottine e le vedevo sempre intere) ruppi una pagnotta e altro non vidi che una sottile corteccia, mentre l’interno era tutto mangiato; lo stesso per la seconda e la terza. A tutte lo stesso forellino la stessa operazione. Diventava realtà la storiella del pifferaio di Hamelin.

La lezione della paglia non mi era venuta a sproposito però, perché così, levando il grano alla paglia occorrente per dormirci su, fu dagli Alpini constatato che quello serviva ottimamente per farlo cuocere nella gavetta e mangiarlo come si mangia il riso.
Così da quel giorno per tutto il campo, in ogni angolo bollirono gavette piene di grano, altra medicina contro la fame. Alcuni più arditi, recatisi in un paese vicino, requisirono parecchi mulini a mano che, portati nei bunker, servirono ottimamente a macinare il grano battuto dai covoni. Certo non era farina del cilindro, ma come era buona, e con questa ognuno si faceva la seconda razione di pane, cuocendo delle ciambelle sulle stufe a mattoni, anche senza lievito.

Quanto sopra è descritto anche per far constatare quanto fossero floride le condizioni (come le nostre così per tutti i reparti ) di quella che era la migliore armata che ancora restasse dell’allora agonizzante Regio Esercito Italiano e alla mercé dell’esaltato Duce, di non lontana memoria, satellite alleato del Fuhrer tedesco, di colui che superò in barbarie lo stesso Nerone. Non sto a fare un diario delle operazioni del nostro Battaglione “ Pieve di Teco” sino alla permanenza in linea perché sarebbe pedante e troppo lungo, ma mi limito a riassumere le vicende belliche occorse in questo periodo.

(Continua)

La foto è tratta da: http://www.alpini-cuneense.it

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