Istinti

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GABRIELLA VERGARI.

Ok, lo ammetto, a volte i miei comportamenti possono apparire quantomeno discutibili. Ma, diciamocelo francamente, quali altri davvero non lo sono?
Scagli perciò la fatidica “ prima pietra” – o piuma, o sasso, o unghiata, o morso, o qualunque altra cosa gli paia – chi si senta realmente d’ affermare di non tenere alle proprie penne più che a tutto il resto.
Che, poi, come press’a poco diceva un celebre mio omologo umano, uno il coraggio o ce l’ha o non se lo può dare, e anche questa è una condizione dell’istinto.
Parlo dell’adrenalina, amici miei, di quella mirabolante sostanza da cui dipende tanta parte della nostra sopravvivenza, e che ad uno produce un tale effetto d’esaltazione (proprio una droga), da non sentirsi più vivo, senza. In un altro, induce quella particolare alterazione che porta all’eroismo o all’annientamento di sé. Ad un altro, fa invece tremare il corpo, il capo, le zampe, tutto insomma. Ad altri ancora reca una paralisi mortifera ed incontrollabile, ad altri fa perdere la testa e ad altri la fa infine nascondere sotto la sabbia, nell’insana aspettativa di essere scambiati per roccia o cespuglio o altro improbabile riparo mimetico. Nella fattispecie, a quelli come me, che siamo guarda caso proverbialmente noti per questo.
Va beh, e allora? Ne vogliamo fare una questione? Di principio, magari?
Così che poi qualcuno dovrebbe anche spiegarmi perché slanciarsi petto a petto incontro ad un pericolo soverchiante dovrebbe essere preferibile al desiderio (anche se destinato a restare deluso) di scansarlo o solo di non volerlo guardare come si dice vis à vis?
E che male c’è se il mio istinto di conservazione mi detta (impone, verrebbe meglio di dire) questo rimedio, risibile per quanto si voglia, e tuttavia pur sempre un rimedio, piccolo, inadeguato, sciocco – proprio nell’accezione di insipido, sciapo – eppure raramente, persino a sorpresa efficace? Non vorrei peccare di pedanteria, ma a volte qualcuno di noi c’è proprio riuscito a mettersi in salvo così, ritardando lo scontro, evitandolo, sottraendoglisi.
Com’è vero che una tattica vale l’altra, a mio parere.
Perché, delle due una: o riesci o non riesci.
A salvarti, intendo.
E d’altra parte, quando il nemico è proprio incontrastabile, hai un bel da fare ad affrontarlo, ti schiaccerà comunque e … buona notte al secchio!
Che ne penso della dignità, volete sapere? Certo che ne penso un gran bene, come tutti del resto. Ma che me ne parlate a fare, quando ne sono stato in qualche modo privato fin dalla nascita, per il fatto stesso di essere uno struzzo?
Non mi riferisco allo stadio di uovo, ché anzi quelle – le uova – sono tra le nostre cose migliori, bianche, grandi, armoniose, una vera prelibatezza e gastronomica ed estetica, stando almeno al successo che riscontrano in molti salotti, decorate, dipinte o abbellite come autentici pezzi d’arte.
Né tutto sommato allo stadio da pulcino, per quanto in quella fase somigliamo più che altro a dei ricci. Ma si sa, i piccoli, fossero anche di iena o di coccodrillo o d’avvoltoio, suscitano sempre tenerezza e simpatia.
Però da adulto, mi avete guardato bene? Sono proprio un portento … di incongruità!
Mi piacerebbe incontrare chi ha studiato il mio design , attribuendomi le caratteristiche di un uccello insieme a quelle – pensa un po’ –, di un cammello, con la scusa che tanto vivo in Africa e devo sopravvivere in un ambiente particolare.
E mbè, io dico, andasse a sopravviverci lui, conciato in questo modo, a godersi questo mio bel pastiche anatomico.
Dunque, ricapitolando, ho una testa piccola e triangolare, culminante in un bel becco a papera (!) che, se mi gira, si apre spalancando le mascelle in uno squarcio che arriva fin sotto l’occhio – pregevole civetteria –, su un collo da periscopio. Lunghissimo, magrissimo e … del tutto nudo, lontano anni luce dall’eleganza di un Modigliani. Alla fine del collo, mi si slarga inopinatamente,e dopo circa un buon metro e mezzo dal resto, un gran corpo di forma ogivale, ricoperto d’un diffuso e scuro piumaggio, con al centro del petto una callosità di consistenza cornea (e tralascio i commenti sulla varietà dei “ materiali” con cui sono stato “assemblato”, nonché sulle vivaci sfumature cromatiche che mi contraddistinguono passando dai toni scuri delle piume con spruzzatine apicali di bianco, al rosso vivo del collo, all’ocra del becco, e via di questo passo).
Quindi le zampe, glabre se non per qualche setola – che si sarebbero pure potuti risparmiare – sulle cosce ma alte e forti come quelle di una vera ballerina, e come ha già provveduto a rilevare la fantasia d’ un tale che ha inteso per questo coinvolgermi in una memorabile “danza delle ore”, con tanto di turbinio di piroette e svolazzi di tulle.
Ma sentite la ciliegina sulla torta, ovvero le mie ali, ampie, amplissime, e però affatto prive di remiganti, così che non posso in alcun modo volare e, pur essendo un uccello, anzi il più grande degli uccelli, sono costretto ad una vita da gallinaceo.
Privilegio non da poco, come capite bene.
Ora, mi chiedo, che me le hanno date a fare ? A che mi servono, vorrei capire. E vorrei capire pure a che mi servono questi occhioni languidi, frangiati meglio di quelli d’una testimonial di rimmel, quando tutto il resto è così, così, così … singolare, per non dire apertamente sgraziato.
E dunque, secondo voi, dovrei riscattare la mia congenita, irrimediabile goffaggine, con che cosa, esattamente?
Con una bella carica, ad esempio: “la carica dello struzzo!”
Muove il riso anche al solo sentirlo.
Oppure emettendo suoni raggelanti, da agghiacciare l’avversario con un effetto acustico tipo, chessò: “Il ruggito dello struzzo!”
Non mi pare che sia nemmeno il caso di pensarlo.
O forse con un corpo a corpo furibondo e forsennato, a colpi di che, precisamente?
O, ancora, circuendo l’avversario con movimenti felini e ferini, io… che, lo ribadisco, sono un uccello (anche se non volo e peso più di un quintale), e perciò mi cibo di vermi e di qualunque altra porcheria mi aggradi, ma non amo di norma la carne più di tanto e comunque, giusto per fare un esempio, con un leone avrei in questo modo la peggio ancora prima di raccapezzarmi.
Ebbene sì, lo ammetto, qualche volta, proprio quando sono esasperato e furioso, tiro fuori l’unica (!) unghia che ho nelle zampe, che quella è davvero potente e pericolosa.
Ma più di frequente preferisco la fuga, nella quale, modestia a parte, sono un assoluto campione (quando si dice la vocazione).
In più, come se tutto quanto finora detto non bastasse, ci sarebbe un’altra cosettina, confermata perfino dalla Bibbia, e cioè che sono incapace d’un autentico discernimento del pericolo, perciò tendo a mettere sullo stesso piano sia i rischi più seri e temibili che gli episodi più banali (vedi tu, la capacità!) Perciò mi spaventano perfino degli innocui animaletti.
Allora, lo volete sentire che c’è?
C’è che nel momento culminante d’un finale travolgente, dovete consentirmi di fare a modo mio, lasciandomi mettere giù la testa e mostrare … (avete capito benissimo cosa). Così che non si perde neppure tempo, che tanto, volere o volare (!) è sempre lì che te la prendi, se ti tocca!

Da Species. Bestiario del terzo millennio, Boemi editore, Catania 2012.

(illustrazione di Franco Blandino)