Il sacro fuoco dell’arte

fuoco

LORENZO BARBERIS

Con questo ciclo di articoli sul Fuoco, Margutte continua una sua serie di “dossier” dedicati ai quattro elementi. Come responsabile della rubrica d’arte, scrivo quindi due righe sul sacro fuoco dell’arte.

Naturalmente, il percorso più ovvio è quello tematico, che vede la presenza del fuoco nell’arte come tema figurativo visivo.

Limitandoci al canone della pittura occidentale da Giotto in poi, si può dire che ai suoi esordi tra ’200 e ’300 il tema del fuoco fosse associato prevalentemente al tema dell’Inferno, anche sulla scorta (nel secondo dei due secoli) dell’Inferno dantesco e del suo notevole successo, anche nel modellare l’immaginario infero occidentale. A sua volta Dante derivava parte della sua visione del fuoco infero dal mosaico di Coppo di Marcovaldo (1265) a Firenze, e tout se tient.

Gli inferni del gotico trecentesco spopolano da noi, nel cuneese, nel ’400, come a San Fiorenzo di Bastia Mondovì, il più vasto ciclo del ’400 piemontese.  Ma anche a Firenze, se il fuoco appare in arte, è spesso il fuoco infernale, anche nelle carte del Botticelli, come in Beato Angelico e numerosi altri.

E però il Rinascimento ci offre anche un nuovo rapporto tra l’Arte e il Fuoco: o meglio, ce lo offre il suo arcinemico, il Savonarola, che dopo la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), assieme ai libri proibiti brucia al rogo anche le opere d’arte pagane del Rinascimento.

Prima il discutibile onore del rogo era più riservato ai libri (quando non ai loro autori); l’arte era sacra, e comunque in affresco parietale (e più che bruciare, lo si copre di intonaco: al massimo si bruciano le statue lignee nell’arte sacra, che bruciano bene come insegna, da noi a Mondovì, il visitatore apostolico Scarampi, che fece entrambe le cose).

Con l’arte pagana del Rinascimento fiorentino e poi europeo, anche la pittura può assurgere a questo ruolo. Ma intanto, proprio nell’arte che si fa neopagana ed esoterica, il fuoco assume valore alchemico. Dei quattro elementi, il Fuoco è il più trasformativo, e diviene il grande protagonista dei manoscritti ermetici che insegnavano le trasmutazioni in chiave figurata.

Perché è chiaro che un volume che mostrasse un fornello alchemico e le ricette per produrre presunte pietre filosofali in modo diretto meriterebbe a sua volta il rogo; mentre se si dissimula l’operazione come la tortura di un mostruoso essere bicefalo, il Rebis, il volume è più rassicurante e può andare anche nelle mani di un bambino senza scandalo.

Curiosamente, il rogo infernale e dell’eretico (e dei suoi libri e dei suoi quadri) assume un diverso segno se associato al martirio di un santo: in quel caso, esso è encomiabile prova di virtù cristiana (e in questo è più affine alla trasmutazione alchemica). Per ragioni d’anagrafe, il caso che mi è più caro è quello di San Lorenzo, qui sopra effigiato da Tiziano, in un dipinto che fu anche ospite ad Alba.

Con la controriforma roghi d’opere d’arte continuarono assieme a quelli di libri e di scrittori (l’avvio del 1600 è segnato da un rogo piuttosto importante). Ma intanto nel ’600 il fuoco assume anche un ruolo diverso nella storia dell’arte, oltre a quello distruttivo-infero e a quello alchemico.

Con gli studi sulla camera obscura, che in Caravaggio raggiungono l’apice, il fuoco diviene elemento chiaroscurale per eccellenza (si veda la Maddalena di George de La Tour citata addirittura nella Sirenetta Disney). Insomma il fuoco non solo più come elemento contenutistico (l’alchimia) o di performance esterna (il rogo), ma anche stilistico (elemento di luce virtuosistica per eccellenza). E il secolo non mancò nemmeno di fornire terribili occasioni a livello di soggetto.

L’incendio di Londra del 1666, che pone una cesura definitiva tra un prima e un dopo, tra la Londra ancora medioevale e quella che rinasce ormai centro della modernità, colpisce indubbiamente l’immaginario dell’epoca (e non so se al tempo fossero suggestionati come noi da quell’infernale 666 presente nella data). L’influsso, diretto o indiretto che sia, è forse più grande di quel che si creda.

Questo gigantesco, quasi neroniano incendio influenza sicuramente l’arte di William Turner, che tra Sette e Ottocento inglese anticipa e supera in scioltezza gli Impressionisti, giungendo a una sua sorta (sia pur isolata) di arte informale. Anche gli altri tre elementi appaiono nel loro tumultuoso dispiegarsi sulla tela: ma i numerosi incendi hanno una vitalità terribile e spietata, e sono forse i più efficaci nel raffigurare la sua arte.

I roghi di libri continuano anche con l’avvento dell’età contemporanea, e al rogo ecclesiastico si sostituisce quello dell’autorità civile. Con un’evoluzione, forse. Napoleone che brucia il libro di Sade assieme alla sua richiesta di scarcerazione (1808) manda alle fiamme certo un libro, ma forse più per le sue licenziose illustrazioni che per il testo che non penso abbia perso tempo a leggere (oltretutto Sade è noiosissimo). Con l’età moderna della stampa e la facilità di riproduzione tecnica, il rogo dell’arte passa probabilmente più tramite il rogo di libri e riviste illustrati che non nelle tele originali (che oltretutto, avendo il pudore di stare in case private, sono meno soggetti all’occhio di fuoco della censura).

Il Novecento mantiene così un rapporto di fuoco tra le fiamme e l’arte, e gli artisti passano in parte dall’altra parte della barricata: i Futuristi vogliono bruciare i Musei con la loro arte passatista, i Surrealisti (che fanno con Dalì della Giraffa in fiamme una loro bandiera, per tacere del Sade con Bastiglia a fuoco di Man Ray) saranno invece tra le vittime dei roghi nazisti dell’arte degenerata.

Vanno a fuoco riproduzioni di Marc Chagall e Paul Klee, George Grosz e Otto Dix.

I nazisti coi loro roghi, simbolicamente, bruciano anche il rogo artistico stesso come concetto. Il rogo di un libro o di un’opera d’arte diviene nel secondo dopoguerra la vera eresia: ci sono ancora alcuni casi di roghi censori (talvolta di pellicole, e senza problemi, negli anni ’50, di fumetti), ma l’uso declina e sopravvive, al limite, come performance artistica (ovviamente, l’artista brucia una opera – sua o di artista consenziente – per protestare contro il “rogo dell’arte”, vero o simbolico che sia).

Insomma, il rogo dell’arte resta solo come autodafé concettuale e non reale, icona di sé stesso. Almeno per l’occidente, è chiaro: l’ISIS brucia manoscritti e distrugge opere d’arte (anche se non c’è una rappresentazione iconica delle due cose insieme), anzi, purtroppo è ancora molto peggio: brucia i presunti “eretici” e uccide gli artisti.

Purtroppo, il rapporto tra il fuoco e l’arte è ancora destinato a continuare.