Economia a misura d’uomo

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VILMA AMERIO

In questi tempi confusi e piuttosto cupi, i testi migliori sono quelli che associano alla limpida analisi dei fenomeni, e delle loro cause, una serie di proposte nuove, forse un po’ utopiche, ma non impraticabili, specie per gli uomini di buona volontà. E tutto ciò fanno con un linguaggio chiaro, efficace, senza sconti, ma pacato, ragionevole, nonviolento. Nel suo ultimo libro, Risorsa umana, dal significativo sottotitolo “L’economia della pietra scartata”, Francesco Gesualdi si propone il percorso che va “dai mercanti alla persona”.

Tra tutti i guasti che il neoliberismo procura al mondo, l’autore si sofferma sullo sfruttamento, la mercificazione, la riduzione in schiavitù della ‘persona’, di miliardi di ‘persone’, sulla violazione sistematica della dignità umana. E si propone, al contrario, di costruire “l’economia della persona”, che parte “dal rispetto, addirittura dalla tenerezza. Dalla capacità di guardare ogni essere umano come una creatura da sostenere e ogni frammento di natura come un bene da custodire”. Ma non è un discorso idilliaco o sentimentale, anche perché le argomentazioni sono sostenute da dati oggettivi, la denuncia dell’iniquità del sistema poggia su esempi reali, le proposte per un’altra economia nascono da esperienze già in atto.

Il grave sfruttamento di chi lavora (o non lavora) e l’ingiustizia socio-economica crescente, associati alla perdurante crisi finanziaria scoppiata nel 2007/2008, alla riduzione rapida delle risorse naturali, al progressivo scarseggiare di cibo ed acqua potabile, al fattore ormai ineludibile dei cambiamenti climatici, impongono con urgenza delle elaborazioni teorico-pratiche alternative e delle scelte non più rimandabili.

Francesco Gesualdi tratteggia una nuova strada, frutto di decennali riflessioni e ricerche del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (CNSM). Non esiste una soluzione già pronta. Esistono però tante micro-soluzioni che, collegate e coordinate, possono fare la differenza. Di fronte all’aggressione sempre più brutale del sistema neoliberista alla ‘vita’, in tutti i sensi, occorrono due forti risposte: fermare il sistema e sostituirlo.

Ciò significa un impegno collettivo, sempre più cosciente e deciso, su due piani: quello della “resistenza” per bloccare, e quello della “progettazione” per costruire l’alternativa.

Apatia e senso di impotenza sono le reazioni in massima parte prevalenti, ma basterebbe riconoscere che nessun potere sta in piedi da solo. Se invece di essere ingranaggi che gli permettono di funzionare, diventiamo tanti granelli di sabbia che cominciano ad incepparlo, si può passare all’azione con una certa fiducia e con la soddisfazione di fare la cosa giusta.

Granelli di sabbia nell’ingranaggio del mercato esistono già e sono, ad esempio, il consumo critico, i GAS, l’autoproduzione, come esistono nell’ingranaggio della finanza, e sono le MAG e principalmente Banca Etica, per restare a livello nazionale. Affinché, però, tutto questo sia efficace, deve essere, oltre che coordinato, anche coniugato con un nuovo stile di vita, la sobrietà, che non è “ritorno a una vita di stenti”, ma la capacità di liberarsi dalla schiavitù dell’inutile, del superfluo e del possesso.

D’altra parte la progettazione di un nuovo e diverso sistema socio-economico ha già dato vita ad esperienze alternative come gli eco-villaggi, le Transition Town, la moneta parallela. Forse l’ambito in cui bisogna ancora studiare, elaborare, sperimentare di più è quello del ‘lavoro’, dell’occupazione e della produzione di beni.

Una riflessione molto importante riguarda proprio il concetto di ‘lavoro’ che, nell’accezione comune del termine, intendiamo come ‘lavoro salariato’. È questo che oggi è fortemente penalizzato e che ci manda in crisi: aumento della disoccupazione, riduzione dei diritti, riduzione dei consumi, contrazione e delocalizzazione della produzione ecc. Ma, a ben vedere, il ‘lavoro’ così inteso è perfettamente inserito nella logica del neoliberismo: per ogni necessità della vita occorre avere denaro, per avere denaro bisogna lavorare, per lavorare bisogna consumare, altrimenti le aziende chiudono e si perde lavoro e denaro. Doppia trappola: ricatto mercantile, trappola consumistica. Ma non è obbligatorio restarne impigliati, anche se non è facile districarsene, ma soprattutto non è né immediato né pre-fabbricato.

Però il principio è chiaro: “il lavoro salariato non è l’unica via per provvedere ai nostri bisogni”.

Gesualdi propone tre modalità a seconda dei bisogni da soddisfare: (1) “il fai da te” e l’autoproduzione (da rafforzare), (2) il lavoro comunitario (da ricreare ). Se, incrementando e (ri)strutturando entrambe, riusciamo a provvedere ai nostri fondamentali bisogni, Il ‘mercato’ (3) perderebbe la maggior parte del suo potere e, da centro gravitazionale dell’economia, ritornerebbe nei suoi giusti ranghi, a svolgere un ruolo secondario, volto al soddisfacimento dei desideri, degli optional.

Sulla prima modalità: autoproduzione, autocostruzione, autoriparazione, vi sono ormai numerose ed interessanti esperienze in giro per l’Italia.

Sull’‘economia di comunità’ la questione è più complessa. Sintetizzare il discorso che Gesualdi conduce a proposito dell’economia di comunità non renderebbe ragione e giustizia all’argomentato ed articolato percorso espositivo e propositivo dell’autore.

Tuttavia occorre una puntualizzazione. Per noi occidentali il concetto di ‘economia di comunità’ tende ad identificarsi con ‘economia pubblica o di Stato’,mentre fra le due esiste una differenza abissale. “La comunità è un insieme di persone legate fra loro da un vincolo di parentela o altro tipo di legame, con forti momenti di contatto, forti interessi in comune, un forte senso di aiuto reciproco”; “Lo Stato è un insieme di leggi e di istituzioni che esercitano la propria influenza su un territorio popolato da un certo numero di persone.”

“Se vogliamo salvarci, dobbiamo superare il concetto di pubblico inteso come istituzioni lontane, separate, oppressive e recuperare l’idea di pubblico come comunità. Il pubblico siamo noi, legati da un forte sentimento di coesione sociale, che collettivamente ci prendiamo cura delle persone e dei beni comuni.”

La parte conclusiva illustra alcuni necessari passi di transizione, il primo dei quali è “stringersi attorno a un progetto comune”. In Italia esiste un grande potenziale di cambiamento, ma anche una forte disgregazione nel combattere ciascuno la propria battaglia. Invece occorre “valorizzarsi reciprocamente, riconoscere che non esiste un’unica strategia, ma varie, tutte ugualmente importanti… e solo adottandole tutte abbiamo qualche possibilità di successo.”

Con cura e chiarezza vengono individuati i necessari passaggi per avviare e sviluppare un processo di trasformazione, precisando che solo con la prassi e l’esperienza che ne deriva si può definire, migliorare, correggere, in una parola, perfezionare tale processo.

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NdR Due informazioni meritano di essere aggiunte.

- Esiste uno smartphone studiato e realizzato in maniera equa e sostenibile: sul sito www.fairphone.com si possono trovare notizie dettagliate su di esso.

 - Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, promotore del consumo critico in Italia, è troppo debole per continuare il cammino da solo. Gli serve sostegno altrimenti sarà costretto a chiudere l’attività di ricerca sul ‘consumo critico’. Chiunque voglia scongiurare questo pericolo prenda contatto col Centro inviando un messaggio a coord@cnms.it , scrivendo nell’oggetto: “Non Chiudete”.

Francesco Gesualdi, Risorsa umana, Edizioni San Paolo, 2015

L’altra via, Francesco Gesualdi e il Nuovo Modello di Sviluppo