La Ceramica di Vilnius

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LORENZO BARBERIS.

La Fiera di Primavera di Mondovì, tra le altre mostre interessanti, ha portato una mostra eccezionale, con l’esposizione delle ceramiche dell’Accademia di Vilnius, la capitale della Lituania.

La ceramica è una tradizione che affonda le sue radici nel ’500 lituano, con corporazioni ceramiche la cui azione è proseguita nell’arte moderna novecentesca.

Sedici gli artisti presenti in mostra, con opere che, al di là delle particolarità specifiche e dal riconoscibile segno di ogni artista, mostrano indubbiamente un terreno comune in un lavoro fortemente condizionato dalla lavoro su archetipi potenti, vagamente junghiani.

L’ingresso dell’esposizione, sulle scale d’entrata, è presidiato da questi curiosi tre “guardiani” di tre sfumature diverse, dotati di tre zampe, tre occhi e coperti di simboli cuneiformi.

All’interno non mancano di accoglierci fantasie lovecraftiane della miglior specie, come questo curioso blob piramidale di occhi che fuoriesce da un rubinetto aperto nel nulla.

Seguendo le suggestioni dell’autore del Necronomicon, questo cerchio può sembrare un portale distrutto da qualche misteriosa evocazione, nello stile di uno Stargate o di simili concezioni.

Il tema del portale ritorna in più sculture, come in questa che associa al cerchio aperto una testa dolcemente reclinata al suo interno, come dormiente.

Questi rampicanti tentacolari e dotati di ventose, tra forme vegetali e polipoidi, denunciano chiaramente una certa ispirazione “aliena”.

Anche le figure femminili, all’apparenza più tradizionali, si avvicinano a un certo febbricitante surrealismo, come questa impassibile matrona/maitresse presa d’assalto da mostruosi e lubrici spasimanti.

Questa disincantata intellettuale da bistrò parigino è più convenzionale solo all’apparenza.

Sul retro, infatti, notiamo che porta mostruosamente incastonata una macchina da scrivere sulla schiena.

E se non gradiamo un caffè e una sigaretta come la dama precedente, possiamo sempre approfittare dell’inquietante The dei Topi.

Prima di passare al gran finale, omaggiamo questa sculturina di fauno, con un che di mefistofelico nel suo rimando dionisiaco.

Il pezzo forte, come al solito, il museo ce lo riserva per l’ultima sala, dove fa bella mostra di sé questo sabba pagano di molteplici creature mostruose e demoniaco, tra cui scorrono liberamente orridi e vagamente grotteschi bacherozzi di ceramica.

Il tutto prelude ad una ulteriore e diversa interpretazione del tema del “portale”, questa volta evocato in una sorta di cromlech fantastico, un cerchio magico da surfanta torinese dove al centro di quattro idoli cardinali sorge una coppa graaliana, ma da Graal nero e rovesciato.

Il “Graal nero” che viene così posto al centro dell’esposizione appare evocare un simbolismo vagamente neopagano, affascinante e inquietante al tempo stesso, con un rimando alla forza primigenia dell’archetipo ceramico per eccellenza: la Coppa, il Vaso da cui il celebrante beve dal tempo dei riti più remoti fino a quelli moderni.

E con questa immagine inquietante e affascinante al tempo stesso chiudiamo questa rapida carrellata su una delle rare e preziose occasioni con l’arte internazionale qui a Mondovì.

Le fotografie (autorizzate) sono opera di Margutte