Maurizio Mattiuzza: la poesia è un viaggio e un pezzo di pane, una nuvola creola

Maurizio Mattiuzza per  Margutte 2

Brevi cenni biografici.     

Poeta e scrittore, recente vincitore del premio nazionale di poesia InediTo Colline di Torino 2014. Ha pubblicato le raccolte di poesia La cjase su l’ôr (1997) e L’inutile necessitâ(t) (Kappa Vu, UD, 2004) con note critiche di Luciano Morandini e Claudio Lolli, ed è ora in libreria con la raccolta Gli alberi di argan (La Vita Felice, Milano, 2011). Da diversi anni lavora come paroliere e spoken poetry performer accanto al cantautore Lino Straulino, col quale ha realizzato l’album Tiere nere e diverse altre canzoni. È il vincitore del Premio nazionale Laurentum 2009 per poesia inedita in lingua italiana e del premio Città di Ceggia. Assieme al cantautore Renzo Stefanutti ha inoltre scritto una delle canzoni finaliste della sezione musica d’autore del Festival internazionale di poesia di Genova. Scrive in lingua italiana, friulana e nel dialetto della bassa Valsugana. È’ uno degli autori selezionati al premio internazionale di poesia Alda Merini 2013. Ospite a diversi festival internazionali conta traduzioni in inglese, sloveno e altre lingue europee.
 
Quando e come si è avvicinato alla poesia?
Sono sempre stato un gran lettore di storie, già da bambino. Il primo approccio con la poesia però l’ho avuto da giovanissimo, assieme alla musica, quando ho iniziato a muovermi nella scena indipendente italiana. In quell’ambiente stimolante e non convenzionale che mescolava punk, elettronica e ritorni neohippy, ho incontrato Rimbaud che è stato, con gli ermetici e assieme ai Clash e a cantautori come Lolli, la mia vera, grande, folgorazione iniziale. Un fulmine a ciel sereno a cui sono seguiti, fin da subito, tante altre letture e tanti ascolti. In qualche modo credo, che in mezzo a quel girare di pagine e a quel frastuono di chitarre e mie curiosità, a un certo punto sia stata la poesia ad avvicinare me. Una fortuna di cui le sono grato ancora oggi, a quasi trent’anni di distanza. Un passo decisivo nel mio cammino di autore è stata di certo la nascita della rivista Usmis e del movimento culturale che ha rinnovato la scena friulana nei primi anni ’90. Un passaggio che mi ha donato l’occasione di un ambito ampio dove scrivere e sperimentare socialità. La mia vera nascita come poeta credo sia avvenuta lì. Con altri e per altro.

Eventuali attività poetiche, collaborazioni (riviste, collettivi, ecc.) e pubblicazioni.
A partire dal ’97 ho pubblicato tre raccolte di poesia, ognuna a sette anni di distanza dall’altra. Nel tempo che ci sta in mezzo, fedele alle mie origini movimentiste, ho messo radice in diversi progetti, culminati nell’esperienza del collettivo poetico dei Trastolons, di cui sono stato co-fondatore. Attorno all’anno 2000 la musica è ritornata a me grazie al cantautore Lino Straulino che m’ha scelto come compagno di viaggio per Tiere Nere (terra nera), un disco in lingua friulana in cui la sue chitarre hanno vestito le mie poesie fino a farle divenire canzoni alternate a brevi spoken word. Da lì la mia strada ha continuato a incrociare poesia e suono, portandomi a lavorare, oltre che ancora con Straulino stesso, pure con diversi altri autori come Renzo Stefanutti e la band etnorock dei Luna e un Quarto firmando ormai decine di canzoni. Parallelamente a questo ho proseguito sempre la mia attività di poeta con centinaia di reading e partecipazioni a festival sia in Italia che all’estero.
 

Cos’è la poesia per lei?
Un’ inquietudine dolce, una chiave che apre finestre sbarrate. L’unica strada che può non curarsi di dove porta ma che per portarti da qualche parte ti chiede onestà. Io, in qualche modo, mi sento anche un continuatore della canzone popolare. Uno che ha dimenticato la chitarra sul treno e ha cercato di far suonare la parola. La poesia, io credo, è un modo di stare al mondo col mondo; è un viaggio e un pezzo di pane, una nuvola creola. Una tradizione che si rinnova ogni giorno e proprio per questo è tradizione vera. Una magia che ci ricorda quanto sia importante ciò che non è schiettamente produttivo o vendibile all’istante. Un modo per esistere oltre alla massificazione e riprendersi sia il linguaggio che le lingue locali e i dialetti.

Maurizio Mattiuzza per  Margutte 1

L’amôr miôr
(poesia in lingua friulana)

Forsit l’amôr miôr
al è chel che a voltis no si pues
e dopo un tic invezit a ti s’imbroie intor,
s’ingrope drenti,come a fâsi fantasiis
miracui par so cont
fintremai a stâ cuasit di bant
sot di un vencjâr
smicjant la lune ch’a ven
a glotisi tal flum
di dutis lis barcjis ch’ai vût
dome une, mi pâr,
a je stade buine
di lâ pal mâr
il rest si è consumât ta la lagune
si è fat freâ dal fondâl
isulis piçulis
l’aghe ferme ai zenoi
tant che l’altri an no dôi
forsit l’amôr miôr lu san i pes
che si dan dut nadant insiemit
prin di tornâ a sielzisi
tal profont
o magari i uciei cu la lôr
memorie dal mont
e cheste vôs cence peraulis
che no si capîs mai
se cjante, clame
opur a vai e daspò rît
di maravee
che la vite tant, si sa,
messede storis a câs
cu la pazience ch’ai vȗl
ancje a l’amôr miôr

Forse l’amore migliore/è quello che sulle prime non si può/e invece dopo un po’ ti si imbroglia addosso/s’annoda dentro, come a farsi fantasie/miracoli per conto suo/fino a ritrovarsi quasi ad oziare/sotto un salice/sbirciando la luna che viene/ a inghiottirsi nel fiume/ di tutte le barche che ho avuto/solo una, mi pare/è stata capace/di prendere il mare/il resto si è consumato in laguna/si è fatto fregare dal fondale/isole/piccole/l’acqua ferma alle ginocchia/come l’anno scorso noi due/forse l’amore migliore lo sanno i pesci/che si donano tutto nuotando insieme/prima di tornare a scegliersi/in profondità/o magari gli uccelli, che hanno memoria del mondo/e questa voce senza parole/che non si capisce mai/se canta, chiama/oppure piange e poi ride /meravigliata/che la vita, si sa/mescola storie a caso/con la pazienza che serve /pure all’amore migliore

***

Le case di Sesto e di Milano

Chestis cjasis a mi dîs, sâstu
a no son cjasis
ma nidi di ferro e
catrame
la traccia fonda di una fame
che non ci è passata mai
nemmeno quando
la fabbrica macinava le domeniche
e ti chiedeva lo straordinario
ma ci pagavano bene eh, di lusso,
così abbiamo accorciato le ferie
in Friuli, di corsa, solo a Natale
un panettone Motta e qualche abbraccio
e poi via, di nuovo qua
la me femine e jo
a incrociarci stanchi solo
sulle scale
per scambiarci il turno
contare i pezzi
passati al tornio
qualche campari, una briscola di sera,
e un tempo fitto
preso sempre solo per com’era
sull’orologio “Fratelli Solari”(1) in fondo
al capannone
ed eravamo tutti così
illusi di restare sempre giovani
e da giovane davvero nessuno
ancora sa
che la differenza tra la cicatrice
e una ferita
è tutta nel sangue che si perde per
restare in vita

(1) Orologi e timbra-cartellino di fabbricazione friulana presenti nella maggior parte delle fabbriche europee.

***

Pecòl *

Mi fermo qui
dove finisce la corriera
e brulicano le ombre
di un dove che non so
più ritrovare
oltre, adesso, è bosco
buio di volpi e tane
fin dentro il tèssere
delle fronde
grembo misterioso
per cento anni di fatica
radi giorni di riposo
il destino del frutto
è la terra in cui cade
è da lì
che si rinasce

* Toponimo friulano per Piedicolle, piccolo paese oggi quasi abbandonato e luogo d’origine di un ramo della mia famiglia.