Pasquale Ciboddo, Andar via

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PASQUALE CIBODDO

In memoria (1942 – ‘43)

Mangiavamo soltanto
semi di melone
e d’anguria, in casa,
a pranzo e a cena,
gettati in strada
da gente più fortunata
- mi raccontava spesso, a scuola,
la maestra Tonina -
La guerra
non prometteva nulla:
solo pene e miseria.
Persone zitte e mute,
per la vergogna, morivano
di fame e d’inedia.
E qualche filone
nero di crusca
veniva risparmiato
da panificio di Stato.

È il Sole

Conta le ore del tempo,
misura e decide
inverni e primavere.
È il Sole
l’orologio infallibile
dell’incedere lento
delle stagioni.
Non spreca invano
i suoi battiti
e allunga l’ombra
di autostrade mortali,
su tracciati obbligati.

È meandro d’impatto

È la somma
di tutti i momenti
di vita vissuti.
Scomparire
in curve impensate
è destino crudele
mai immaginato
da ogni nato.
La morte, a volte,
è meandro d’impatto
che non si può scansare.

Viaggiatori

La corsa,
realtà fisica
che ti conduce
allo spirito dell’oltre.
Leggeri come il vento
correre come nuvole
su crinali dentati.
E inseguire
la danza delle stelle
pulsanti nel firmamento.
Viaggiatori
attraverso l’immensità

L’essenza

Scenari incantati
offre il cielo
infuocato del tramonto.
Rimango frastornato
da ciò che la natura
ci mostra.
Ne ho assorbito
l’essenza
anche se l’incedere
di tempo inesorabile
è assenza.

Riluciamo

In questo stretto tratto
tra terra e cielo
ci accontentiamo del poco
arrancando
sulla nostra esistenza.
Poi, come fiumi,
torniamo veloci
al Grande Mare
diventando gocce
inseparabili e vive.
Così noi,
alla morte del corpo,
respirando aere celeste
riluciamo
nell’immensità
del regno infinito
di Dio.

Il poeta sardo Pasquale Ciboddo ha riassunto nel titolo l’essenza di una silloge dal raro tessuto strutturale. Non poteva esistere altro nome per questa raccolta che, come lampo, squarcia le tenebre che ci avvolgono, e illumina il passato, il presente e, inevitabilmente, il futuro. Non ho potuto fare a meno di pensare a Salvatore Quasimodo, leggendo i versi di Pasquale Ciboddo: «Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera». La poesia del nostro premio Nobel, pubblicata nel 1930, si presenta come una massima in cui viene sintetizzata una amara verità di valore universale: il rapido dissolversi dell’esistenza e delle illusioni umane. Il nostro Autore inizia il suo viaggio dai tempi del Secondo Conflitto: «… La guerra / non prometteva nulla: / solo pene e miseria. / Persone zitte e mute, / per la vergogna, morivano / di fame e d’inedia…» (In memoria, 1942 – ‘43). Ed è il sentimento della vergogna che apre un capitolo importante della cifra poetica del Nostro. Ogni guerra spalanca l’uscio alla vergogna di vedere che gli uomini, i nostri fratelli, siano capaci di schierarsi gli uni contro gli altri e di uccidersi. Senza un perché, per rispondere a interessi economici lontani anni-luce dalle loro vite, dalla loro gioventù… Risulta inevitabile per l’uomo di fede e di cuore rintanarsi nell’armadio della vergogna. Nessuno può sentirsi salvo di fronte a un conflitto, all’odio, alla morte. Ciboddo sembra volersi allontanare dai giorni cupi delle guerre e da quelli di anestesia dell’anima della società attuale: «… Che c’è di concreto / in questo arrabattarsi / (in)vano per vivere / se anche manne di befane / dal cielo sono sempre / più rare?» (Che c’è di concreto). In effetti la società globalizzata non consente l’autentica rivoluzione, ovvero quella dello spirito, che nasce dalla convinzione della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione.

L’Autore non precipita nel nichilismo, ricorda di aver celebrato la vita dei campi: «Ci ha resi poveri / di veri valori / l’era moderna / e dimentichi del passato. / Ma io ho scritto / la storia di radici / di una civiltà agreste, / antica come il tempo, / ricca di uomini saggi, / madre di ogni sapere» (…ma io ho scritto) e ci lascia pensare agli uomini che in campagna, dopo una giornata di lavoro, alzavano il bicchiere di vino all’altezza del viso, lo osservavano, gli facevano prendere luce prima di berlo con cautela. Gli alberi centenari seguivano il loro destino secolo dopo secolo e una simile lentezza rasentava l’eternità.

Oggi consumiamo il tempo come un bene materiale, rendiamo effimero il nostro passaggio terreno. «Passa / e subito scompare / nel grande mare / d’eternità / senza lasciare traccia / la dea parca. Si diverte a tagliare / filo di vita / a noi umani / Ed è destino, gioco / di spietata / indifferenza» (Ed è destino). Poesia di malinconica nostalgia, esistenzialista, didattica, sociale e spirituale quella dell’artista Pasquale Ciboddo, di cifra stilistica superba, caratterizzata da contrasti tra l’asciuttezza dei versi e la lunghezza dei periodi sintattici, che si risolve in un andamento sinuoso, ricco di pause ritmiche, tese a suggerire scansioni intense ed energiche. Poesia con le radici ben salde nelle isole dei ricordi e dotata di ali per viaggiare nel tempo, per volare lontano e, al tempo stesso, cercare le ragioni per fermare lo sguardo e l’anima sull’oggi.

«Era ricco, / ma rinunciò / ai propri averi / perché altro / era il suo sogno. / A meritare / luce di santità / diceva sempre / “bisogna soffrire / come il Cristo della storia / che si innalzò dalla terra / alla divina Gloria / del Padre Creatore.” / Francesco di Assisi / è asceta da imitare / con la mente e il cuore» (È l’asceta da imitare). Il poeta rivela nei suoi versi di seta una fede incrollabile, che non è stampella nei momenti del bisogno, né coperta per rimboccare le paure, ma certezza che possiamo non essere Dio, ma siamo di Dio, come le piccole gocce d’acqua sono dell’oceano. La spiritualità del Nostro si identifica con la concezione che il misticismo è un dono gratuito del Signore, che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi per assistere al luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, ossia la storia della salvezza.

«… L’uomo propone, studia / ma non riesce a capire / il Vero della matematica divina» (Sono i ruderi). Il concetto della matematica come scienza sacra è di antica memoria e anche nella Divina Commedia non solo le tenebre, la luce, il sole, ma l’aritmetica, la geometria, il calcolo e la logica hanno un ruolo importante. Nei simboli matematici Dante trova la chiave per immaginare la struttura dell’aldilà, dell’oltremondo, in linea con le conoscenze cosmologiche e la fede teologica del tempo, allo scopo di ricondurre l’umanità alla salvezza, laddove la matematica fornisce chiari esempi di verità e certezze.

Un eccellente poeta sardo come il Nostro non può esimersi dal rapporto empatico con madre Natura, più che evidente nelle liriche sulla vita agreste, e dal dolore per i disastri creati da noi uomini. In questi ultimi due secoli il progresso ha influito sull’ambiente, modificandolo o alterandolo con conseguenze anche drammatiche per la sopravvivenza dei miracoli poetici del Creato. «Questo eccessivo / avanzare di civiltà / sta distruggendo / antichi ecosistemi / di terra e di mare. / Muore il bosco, / scompare l’uccello / ed anche il pescato. / L’uomo saggio / osserva impotente / la distruzione totale / di sano alimento vitale. / E muore sconsolato / di vera inedia» (E muore sconsolato).

Pasquale Ciboddo nel suo Andar via di profondo impegno civile, si riferisce più volte ai profughi del nostro tempo. L’Esodo biblico coincide con lo strazio dei migranti. Stessa schiavitù e persecuzione. Il popolo della Terra promessa non era solo ebreo, ma ‘mucchio selvaggio’ di etnie. I migranti di oggi, dal canto loro, fuggono anche loro da idolatria e schiavitù nella forma più specifica, ovvero la violenza contro l’innocente. E cosa cercano? Una ‘Terra promessa’ dove essere accolti da stranieri come cittadini. Sperano di essere riconosciuti nella loro dignità universale. «Esodo / di migranti fuggiaschi / da guerre fratricide, / dominate dal male / di odio perenne, / somiglia a fuga / in massa di popolo / guidato da Mosè / da schiavitù di Faraoni…» (Esodo).

Tornando al titolo di questa Silloge polisemica, che tocca vette altissime di lirismo, ho pensato che, in fondo, nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito, se non per uscire dagli inferi che rischiavano di inghiottirlo. E ho creduto giusto dedicare a un poeta, di fronte al quale si inginocchiano le onde del mare e le nubi del cielo, le parole di Thomas Stearns Eliot: «La poesia non è un modo di liberare le emozioni, ma una fuga dalle emozioni; non è un’espressione della propria personalità, ma una fuga dalla personalità. Ma solo coloro che hanno personalità ed emozioni sanno cosa significa voler fuggire da esse».

Maria Rizzi

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L’AUTORE

Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura, nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti, e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici.

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Pasquale Ciboddo, Andar via, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 136, isbn 978-88-31497-75-6, mianoposta@gmail.com.