Dall’assenza alla presenza, il cammino della poesia di Giuliano Ladolfi

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GABRIELLA MONGARDI

Il poeta Giuliano Ladolfi, autore di una storia della poesia italiana dall’inizio del Novecento a oggi (La poesia del Novecento: dalla fuga alla ricerca della realtà, Giuliano Ladolfi editore, 2015), nell’esergo di questa sua raccolta di poesie, Attestato, rende omaggio a Bartolo Cattafi (1922-1979) uno dei massimi poeti del Novecento italiano, praticamente sconosciuto in vita, citando il suo “l’assenza certifico” – che non può non richiamare il certificate of absence di Emily Dickinson (J 996)…

In realtà, gli “attestati” di Ladolfi sono due, perché la raccolta è divisa in due parti: “Attestato 1” e “Attestato 2” – quindici liriche nella prima sezione, ventuno nella seconda, e fin dalla struttura richiama i due libri di Satire di Orazio. Come il poeta antico, infatti, anche il poeta moderno si propone di individuare una strada attraverso le storture di una società in crisi; anche in Ladolfi ai temi di carattere generale si mescolano pennellate di sobrio autobiografismo. Come nei Sermones oraziani, il tono è piano, discorsivo, confidenziale, e la dimensione dialogica è prevalente: come quelle di Orazio, anche queste sono “conversazioni”.

La presenza di due voci è segnalata dall’uso del corsivo per riportare le parole dell’interlocutore, ma anche nei testi in cui la voce “parlante” è unica, la tensione verso l’altro è percepibilissima, come se la poesia per Ladolfi non potesse ridursi a soliloquio interiore ma nascesse solo dal confronto, dal dialogo. E del dialogo informale tra amici i versi di Ladolfi conservano l’affabilità, la tonalità affettuosa, l’andamento ondivago di un discorso che “salta” tranquillamente da un argomento all’altro, perché sa che l’amico cuce, collega, ricostruisce il senso. Questo tessuto è illuminato da improvvisi lampi sentenziosi, vere e proprie rivelazioni di quella verità che “nel grembo sta nascosta / nel tempo della rigenerazione”.

“Qui si nasce e si muore senza traccia”, “E sempre più lontano / esisto” sono due formulazioni di quella verità che leggiamo nel primo componimento, sotto cui si può scorgere in filigrana l’ascensione al monte Ventoso di petrarchesca memoria: il soggetto è attirato da “quel sentiero / che fugge l’orizzonte” e confessa: «Salgo e scendo cambiando direzione / e scrivo per non dire…», e ancora: «Le parole / cresciute vere dentro le mie mani / le conservo celate nelle tasche». Se non ci fosse il compagno, il tu che “scaltro, hai armonizzato il passo”, non ci sarebbe la scrittura poetica come forma di comunicazione. È l’attenzione, l’ascolto da parte dell’altro che induce il poeta a scrivere la sua “lettera al mondo” e sul mondo, dalla sua posizione in disparte: «Non mi dispiace vivere sull’orlo: / c’è una vista stupenda la mattina, / se apri la finestra, ed un silenzio».

Da questo nasce la poesia di Ladolfi: dalla finestra aperta sul mondo e dal silenzio creato dentro di sé, soffocando il naturale narcisismo. I quattordici testi senza titolo, distinti solo da un numero d’ordine, si succedono come capitoli di un racconto, che tenta di fotografare un mondo che cambia – compongono un attestato di quel cambiamento attraverso un incessante contrappunto di spazi e tempi e voci, di passato e presente, di aperto e chiuso, di frontiere e confini, di lingue straniere e dialetto, di parole “a tutto tondo” e menzogne e silenzio. Nel disorientamento si insinua il sospetto del tradimento: di aver tradito le proprie radici, il paese in cui si è nati e la sua lingua, l’ordine “naturale” delle cose e delle generazioni… E inevitabilmente il discorso cade sulla poesia, sulla difficoltà di scrivere versi perché “ogni lettera / abortisce sul bianco della pagina”, le parole del poeta “vanno e restano” e non trovano ascolto, sommerse dal “fragore della pubblicità”: “il tempo dell’assenza è attestato”.

Nella seconda sezione vengono ripresi versi e figure e temi della prima, ma compare in più il figlio, un giovane perfettamente integrato nel presente, nella postmodernità, e il dialogo con l’interlocutore si fa più fitto e concitato, più argomentato e polemico. Il lavoro sulla lingua segue sempre più da vicino la lezione di Gozzano: le rime e i versi metricamente perfetti sono realizzati con le parole più “impoetiche”, come in questa quartina: «Ho portato in discarica i suoi libri: / ce n’è un mare, va tutto rottamato, / compresi i professori e i giornalisti, / gli esperti con gli opinionisti», che allude alla crisi economica del 2009, che gli “esperti” non avevano saputo prevedere.

Del resto, il titolo stesso della raccolta è costituito da una parola burocratica e impoetica al massimo come “attestato”, a indicare la nuova funzione “minimalista” che il poeta assegna alla poesia: quella di “attestare”, testimoniare qualcosa che oscilla tra assenza e presenza, sulla scia ancora del montaliano “non domandarci la formula / che mondi possa aprirti”. La poesia di Ladolfi non contiene messaggi trionfalistici di salvezza o mirabolanti promesse di riscatto o la soluzione di tutti i problemi del mondo, si offre semplicemente come “attestato” di uno stato di cose, di una voce che, nonostante tutto, non si lascia zittire.

I versi si affollano delle cose più incongrue («Tra il fumo che ristagna / le scatole di tonno e i detersivi, / i libri di Platone con Erasmo / (follia o pleonasmo?). / Tra scorie radioattive / la macchina a vapore, / l’orologio a cucù, / i libri di latino ed il pensiero / dei Maestri d’Oriente e d’Occidente ») – ma non sono “le buone cose di pessimo gusto” di Gozzano, sono i relitti della cultura umanistica che la civiltà dei consumi ha gettato nella discarica. E al posto della nostalgia ironica del poeta primonovecentesco piemontese qui subentra l’amarezza appena temperata dalla finzione dialogica… Ma il poeta non si arrende: lo aveva già annunciato l’esergo di questa seconda parte, un antitetico “la presenza certifico”, la presenza di una verità “inesauribile”; e lo confermano gli ultimi due testi, i cui protagonisti sono due giovani, Federico e Silvia, testimoni di speranza. Nel libro si passa così da un “attestato di assenza” a un “attestato di presenza”: è il cammino che ha percorso l’autore nella sua scrittura e che il lettore è chiamato a ripercorrere con lui nella lettura.

(G. LADOLFI, Attestato, Ladolfi editore, Borgomanero 2015)