Possibili

elefante e lucciola (2)

GABRIELLA VERGARI.
Mi sogno libellula e danzo nel vento.
Infinitamente piccolo invece che infinitamente grande.
Leggiadro anziché massiccio.
Etereo piuttosto che plumbeo.
Meglio di sicuro che far rotolare tutto il giorno enormi, infiniti tronchi per la foresta.
Mi libro leggero per l’aria, mosso se necessario da un soffio.
Sono esile, agile, veloce, e…
Mi risveglio elefante.
Gran bella differenza, nulla da eccepire.
E poi però penso che, sì, da libellula non sarei più né grigio né grinzoso, non avrei zampe come colonne né mole poderosa, ma non potrei nemmeno farmi la doccia con l’acqua delle pozze né avrei la proboscide e senza le sue oscillazioni non avrebbe tanto senso dondolarmi quando sono contento. Allora mi viene il magone. Non vorrei separarmi dalla proboscide, mi è peculiare, chi mai sarei, senza?
E ancora, se fossi una libellula, avrei paura dei predatori, mentre adesso non è che non abbia i miei problemi con l’uomo, o la tigre e perfino il topolino, ma non occupo certo un posto tanto infimo nella catena alimentare. Direi anzi che non appartengo quasi alla catena alimentare, non quantomeno come le vacche, i maiali o le pecore.
Per quanto ne sappia, agli uomini non piace troppo la mia carne, né ho un corno prodigioso come il rinoceronte. Al più mi si può dare la caccia per le zanne, ma per ottenerle non è rigorosamente necessario che io perda pure la vita.
E d’altra parte in questo nostro mondo naturale, dove tutto procede per scale, ordini e specie, non c’è alternativa: i molti occupano i gradini e i pochi i vertici. Che poi tanto più in alto stanno, tanto più facilmente rischiano di lasciar precipitare.
L’uomo, ad esempio – me l’ha confidato il mio amico Cri Cri – ha anche lui le sue paure. Ma che dico paure, ha perfino terrore del più piccolo degli esseri.
Com’è vero che il più potente è il pezzente!
Io non ci credevo, ma Cri Cri ha giurato e spergiurato che i virus, anche se sono invisibili, possono avere una potenza così micidiale da sterminare un esercito.
Allora mi sono messo a fantasticare e mi sono immaginato virus. Ma ho smesso subito perché non mi è piaciuto: non voglio arrecare la morte, né vivere in massa, preferisco danzare.
O forse potrei cantare, svolazzando disinvolto tra i rami a modulare la mia voce flautata, come gli uccelli che spesso m’allentano la durezza del lavoro.
Poi, quando anche questo mi stanca, immagino di essere un falco, o una tigre o una pantera, o una scimmia, o un serpente.
Se non posso vivere mille vite – e a volte mi pare di non vivere neppure la mia -, me le posso ad ogni buon conto immaginare.
Che male c’è a scorrazzare per i mondi possibili, soprattutto quando la fatica mi rende più pachiderma di quello che sono, e sento l’assedio d’una claustrofobia esistenziale? Evadere, sconfinare nel verosimile (e perfino, quand’ è il caso, nell’inverosimile), percorrendo le regioni del fantastico?
Me l’ha insegnato il mio amico Cri Cri, che l’ha imparato da una cicala.
Per questo mi considero davvero fortunato, ad avere un amico come lui.
Ha un dono raro, mi sa illuminare la notte. E poco importa se non si preoccupa di accumulare provviste come le formiche che poco (e spesso male) vivono l’oggi per il domani (come se per loro non dovesse venire mai l’ultimo inverno).
Perciò, quando ne sentiamo il bisogno, io e Cri Cri scegliamo il luogo, o forse dovrei dire la suggestione del luogo e guardiamo le stelle.

Vai a capire la novità, sbotterà qualcuno.
Ma è proprio questo il punto: non deve essere nuovo, deve essere magico.
E questo, mi dispiace, non sarà nuovo ma non è nemmeno da tutti. Non è affatto detto che sia facile saper guardare le stelle (e, detto tra parentesi, potrebbe non essere tanto facile saper guardar in assoluto).
A volte, soprattutto quando ci sembrano vicine da poterle toccare, restiamo così, senza aggiungere o fare nulla di particolare.
Altre volte Cri Cri si sente in vena e comincia con i suoi racconti che mi fanno esplorare le variazioni del reale (ma senza mettere a rischio la mia proboscide).
Perciò oggi sono un orso, domani un gorilla, dopodomani uno scimpanzé e il rotolare dei tronchi diventa più lieve, la foresta si dilata, e dove sentivo solo sudore e fatica, comincio ad avvertire il me stesso che ho dentro. O forse è solo che imparo a conoscerlo meglio.
Ieri ad esempio Cri Cri mi ha recitato la massima di un grande saggio secondo la quale quello che il bruco ritiene la fine del mondo per gli altri è invece una farfalla. Mi sembra un pensiero bellissimo e profondo, come quell’altro sulla bellezza che salverà il mondo.
E poi Cri Cri mi dice di altre terre ed altri sistemi, così ho pure provato ad essere pinguino, renna e perfino ornitorinco.
Non so dove l’abbia appresa, la sua arte, né tutto il suo sapere. Non gliel’ho mai chiesto né intendo farlo: mi pare che perderei parte dell’incanto.
Su una sola questione non mi ha dato risposte ed è stato quando gli ho chiesto della felicità, se la credesse semplice o multiforme, se la pensasse in un solo luogo o in molti, se la ritenesse effimera per definizione o capace di permanenza. Non l’ha ammesso apertamente ma credo che fosse a disagio.
E del resto lui stesso convive con le sue malinconie.
Sa ad esempio che la stagione della sua vita è molto più breve della mia e che il bel tempo presto volgerà alle incognite dei prossimi mesi.
Dopo un lungo silenzio, proprio quando pensavo che non l’avrebbe più fatto, si è limitato a questa uscita, ma sembrava che stesse facendo un intenso sforzo: «Sebbene la ricerchino disperatamente e provino a farla propria in tutti i modi, gli esseri viventi non riusciranno mai a fermare la felicità finché ne avranno tanta paura. Per quanto abbia girato ed abbia visto, credo infatti che la felicità faccia più paura di qualunque altra cosa».
Non lo so se su questo Cri Cri abbia o meno ragione.
So soltanto che quella sera non abbiamo più parlato e siamo rimasti cupi e immusoniti come in una giornata senza sole.
Quindi siamo tornati ai nostri rispettivi ripari, mentre le stelle continuavano a scintillare alte nel cielo.
Irraggiungibili.

Da Species. Bestiario del terzo millennio, Boemi editore, Catania 2012.

Illustrazione di Franco Blandino.