Cicli

prometeus

GABRIELLA VERGARI.

Alla mediocre arroganza
degli Zeus
ed alla miseria delle
loro aquile



Ancora?
Stento a crederci.
Ancora un’altra volta e ancora io, qua, a volteggiare rapace su questa dannatissima rupe.
Che poi sarebbe anche bella.
Alta, diruta, selvaggia. E giù in fondo un panorama mozzafiato: plaghe e terre indomite a perdita d’occhio, orridi aspri e frastornanti, vertigini fattesi roccia, natura acuminata e fratta come mai altrove. Inaccessibile, se non a me che guarda caso sono un’aquila. E non un’aquila qualunque, proprio l’aquila di Zeus.
Ma non lo trovo divertente, né in senso traslato né in senso proprio. Cioè voglio dire che non mi dirige altrove, non mi fa deviare da un percorso stabilito e dunque non mi sollazza né mi rallegra.
Che anzi ho quasi imparato a temere la notte, perché dopo viene l’alba, ancora l’alba, e poi la rupe, ancora la rupe. E così senza sosta, ancora e ancora, in un ciclico succedersi senza requie.
Mi si rinfaccia che esagero, che non so godere del vantaggio della mia posizione.
Che non sono una semplice emanazione del Potere, ma proprio la sua manifestazione, autentico terribile e terrifico instrumentum regni.
E che comunque sarebbe molto peggio se stessi dall’altra parte, incatenata e costretta a subire come quel Titano di cui rappresento il tormento e la punizione.
E vabbè, messe in questo modo, riconosco che tutte queste belle osservazioni abbiano una certa consistenza. All’inizio, soprattutto, perché – sì, lo ammetto – anch’io quando ho saputo per la prima volta dell’Incarico me ne sono inorgoglita. Mi sembrava un onore che fossero ricorsi a me. Che
nell’escogitare il supplizio per il peggiore dei Ribelli – il Filantropo, l’Attentatore della Divinità – mi avessero riservato un ruolo di tale rilievo.

Non ho molte attenuanti, in tal senso. Ho sposato il Potere per il Potere, ho creduto che ne sarei stata beneficiata e illuminata. O forse ho creduto nell’Ordine e ho pensato che la Forza ne fosse l’inevitabile corollario.
Sulla scia dell’entusiasmo iniziale, ho perciò semplicemente tralasciato di valutare le conseguenze.
Ma ora sempre più spesso mi ritrovo malinconicamente a riflettere sul mio destino di aquila, cui è negata una libera aquilitudine.
Ho dimenticato, ingenuamente, sprovvedutamente dimenticato, che per sua stessa definizione il Potere non si cura che di sé. Perciò, se attira gli altri nella sua orbita, è per nutrirsi e nutrirsene. Se li blandisce, non vuole davvero lealmente ripagarli dei servigi, ma solo garantire la propria sopravvivenza.
E che tutto questo non ha purtroppo nulla di divino, anche se è Zeus a compierlo.
Ormai, non posso neanche sfogarmi.
L’ultima volta che l’ho fatto si sono messi a ridere schernendomi: «Ma toh guarda la sorpresa: da quando l’aguzzino e il boia fanno un bel mestiere? Non lo sai che finiscono legati a doppio, triplo filo alle loro vittime? Davvero complimenti per la grande scoperta!»
E sghignazzavano pure, come se non fossero anche loro parte dello stesso ingranaggio.
Tanto che se ne sono poi usciti con quell’altra trovata, che deve pur toccare a qualcuno, e che insomma tutte le società hanno sempre avuto bisogno di chi svolgesse il lavoro sporco. E che a me non è andata poi tanto male. Che non sto rintanata in fetidi sotterranei a combattere col lerciume della terra ed anzi mi libro ogni giorno per le vastità celesti. Né mi tocca la comune teppaglia, ma un fior fiore d’eroe, il Filantropo per eccellenza, e se passerò alla storia sarà per una causa onorata.
Il bello è che hanno pure ragione.
Sì, è vero, c’è chi sta mille volte peggio, ma non mi consola, semmai m’intristisce.
Anche Zeus, che figura!
Mandare me a punire per centinaia e centinaia di migliaia d’anni un prode che non sa piegare in altro modo. E che lo tiene in scacco con la sua preveggenza più di quanto egli stesso non tenga lui.
Davvero, se ci rifletto, è da un po’ che il Titano m’appare come il più forte in questa storia.
L’altra volta, soprattutto, quando l’ho guardato a lungo negli occhi e gli ho visto quella luce – sì, luce – d’indicibile sofferenza ma anche d’intrepida consapevolezza. Uno sguardo che ferveva ancora, dopo tutto questo tempo e questi tormenti, proclamandosi sempre libero, indomabile ed indomito, malgrado le catene e malgrado me.
Così la faccenda del Potere mi si è definitivamente ingarbugliata e ormai mi ci perdo davvero. D’accordo che sono un’aquila anzi, preciso, l’aquila di Zeus, ma certe speculazioni preferisco lasciarle a chi ne abbia la capacità e la competenza. Riconosco che potrebbero essere
troppo, per il mio rostro.
E poi, scusate, ma devo scappare.
Già il lucore avanza. Tra poco sarà alba piena.
Manco a dirlo, ancora un’altra alba.
Ancora ed ancora…

(illustrazione di Lorenzo Barberis)

Cicli è tratto da Species. Bestiario del Terzo Millennio, Boemi (Ct), 2012

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