Interviste Impossibili: Francis Xavier

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LORENZO BARBERIS.

“Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi.” Mi sento un po’ intimorito a intervistare il numero due dell’ordine gesuita.

Non si preoccupi. Noi gesuiti sappiamo avventurarci dappertutto, anche all’inferno se necessario. E comunque, se Ignazio è il fondatore dell’Ordine, io sono il suo primo seguace. Quindi, in un certo senso, il primo gesuita sono io.

Bene! Allora, iniziamo dal nome. Deriva dal suo possedimento di famiglia, giusto?

Sì, il castello di Xavier in Navarra, vicino Pamplona. Il nome deriva dal basco, significa “Nuova Casa”. Nella cappella di famiglia c’è l’unica Danse Macabre del gotico spagnolo.

Potrebbe aver avuto qualche influenza su di lei? Voi gesuiti siete fedeli “perinde ac cadaver” all’Ordine.

Ora che mi ci fa pensare, perché no? Ma per me ha inciso più il fascino verso Ignazio. Una mente eccelsa, volta ovviamente sempre Ad maiorem dei gloriam. Come potevo non seguirlo? Siamo perfino andati in Terrasanta insieme. Una specie di Crociata personale. A livello mistico, ovviamente.

La sua avventura a fianco di Loyola inizia infatti nel 1534, quando fondate insieme l’Ordine Gesuita, a Montmartre. Anzi, lei è il primo dei sei membri dell’ordine scelti da lui. In molti ritengono l’Ordine un entità quasi iniziatica.  Lei, che era un testimone diretto, cosa può dirci al riguardo?

Beh, molti hanno insistito sull’ambivalenza di Montmartre come luogo di fondazione: Monte dei Martiri, nell’accezione moderna, ma anche Monte di Marte in quella pagana. Santi e Guerrieri: come i Templari. Ma invece dei nove cavalieri templari i rosacroce, gli eredi segreti dell’ordine, sono solo sei. Cioè proprio come noi.

Certo, e poi, i Rosacroce avrebbero fondato le sei capitali esoteriche in giro per il mondo, e i gesuiti si espansero su tutto l’orbe terracqueo. Lei per primo.

Sì, fui il primo missionario gesuita. Non appena l’ordine fu riconosciuto, nel 1539, andai in India, dove convertii la bellissima principessa Neachile, di religione islamica.

Poi fui a Taiwan, Malacca, Malesia… nel 1547 incontrai un mercante giapponese, che mi aiutò ad andare in Giappone l’anno seguente. Riuscii a parlare con vari membri della famiglia reale: furono molto affascinati dai miei discorsi, anche se non so quanto capissero. Mi aiutavo soprattutto con icone.

Gli shintoisti alla fine riuscirono a strappare un editto per vietare nuove conversioni, ma quando me ne andai  vi erano ormai mille cristiani in Giappone.

Aveva raggiunto la massa critica, insomma.

Mi sarebbe piaciuto replicare con l’imperatore cinese, ma morii durante il viaggio in mare.

Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming.

Esattamente. Ma io non feci in tempo.

Tra l’altro, da quanto dice, predicava ai potenti più che al popolo. Una scelta tipica dei gesuiti?

Ho predicato anche agli umili: si calcola che dovrei aver battezzato trentamila persone. Però indubbiamente era più facile raggiungere un grande successo convertendo la famiglia reale del posto. Sa com’è,
cuius regio, eius religio.

In più, molti la vedono come l’iniziatore di un certo quasi sincretismo gesuita, che tendeva a legittimare i riti buddisti orientali come compatibili col cristianesimo, per favorirne la diffusione.

Beh, al di là del proselitismo, che era il nostro compito, mi è sempre parso evidente che fossero compatibili. Quella buddista o confuciana è più una filosofia che una religione.

Parlando di Mondovì, qui da noi i gesuiti giunsero con l’università, nel 1560. Tra l’altro con un altro pezzo grosso del suo ordine: il futuro Cardinal Roberto Bellarmino, l’inquisitore di Galilei.

Ah, sì, la querelle dell’Eliocentrismo. Mah, guardi, noi gesuiti eravamo eliocentrici, il simbolo dell’ordine è il monogramma di Cristo iscritto dentro il Sole.

Ma allora perché prendersela col Galilei?

Ma Bellarmino non chiedeva mica a Galilei una censura totale, soltanto di graduare meglio la rivelazione delle sue teorie,  di aspettare di avere prove irrefutabili.

La pensava così anche Ratzinger. Da prefetto del Sant’Uffizio, si opponeva alla rivalutazione di Galilei voluta da Woytila nel 1979.

Più come filosofo che come inquisitore, in verità. Guardi che già Paul Feyarebend, nel 1975, nel suo “Contro il metodo”, aveva contestato che Galilei avesse ragione: aveva vinto più con retorica e propaganda che con prove scientifiche.

Tra l’altro Bellarmino combatté anche i Rosa+Croce. Ma non eravate voi?

I veri Rosa+Croce sì. Ma alcuni esoteristi, legati all’eliocentrismo, ci usurparono il nome. Ma la Croce è nel nostro monogramma, e la Rosa si associa alla nostra promozione del culto mariano.

(chiesa di San Francesco Xaverio a Mondovì. Foto Lorenzo Barberis)

Infatti, dopo la fine dell’università a Mondovì vi occupaste del nascente santuario della Vergine.

Sì, e nel 1604 introducemmo i fuochi artificiali, portati dalla Cina da noi gesuiti. Non da me, però.

Tra l’altro, lei ha anche una chiesa in città, lo sapeva.

Ah, sì, la chiesa dipinta dal confratello Andrea Pozzo. Mi hanno detto, molto scenografica.

Anch’io ho nominato il mio blog, una specie di diario, in onore di Andrea Pozzo.

Ho letto qualcosa. Ho visto che sostiene che perfino gli X-Men deriverebbero da me… un po’ eccessivo, forse.

Ma il leader degli X-Men si chiama Francis Xavier, come lei. E riunisce in un Collegio giovani menti dotate di poteri superiori, per combattere i superuomini malvagi.

Affascinante, ma non vorrei che Ignazio se ne avesse a male.

Può consolarsi con i Tecnoperes, il fumetto di Alejandro Jodorowski sulla casta di tecnocrati futuri, esplicitamente ispirati ai Gesuiti.

Lasci perdere. Anche lì, il personaggio di San Severo da Loyola ha un ruolo minimo. Il protagonista, Albino, è un tecnopadre che viaggia per tutta la galassia. Chi le ricorda?

Sembra quasi che l’archetipo dei gesuiti sia lei. Ancor più di Loyola.

Ma no, non dica così. E’ che il gesuita lo si immagina costantemente in missione per conto di Dio. Io ho fatto più chilometraggio, tutto qui.

Anche l’attuale Papa, il primo papa gesuita, “viene dai confini del mondo” ed ha assunto il nome di Francesco. Non Ignazio I.

Ma no… e ha poi subito detto che si tratta solo di un omaggio al poverello di Assisi.

Certo, certo… una legge non scritta però vietava di nominare papa un gesuita, per evitare un eccessivo accumulo di potere. Forse non avrà voluto infierire troppo.

Direi di nuovo che esageriamo nelle interpretazioni.

Può darsi. Concludiamo, allora. Se lei tornasse a vivere oggi, che cosa le piacerebbe fare, che non ha fatto?

Onestamente sono molto soddisfatto della mia vita così. Tuttavia… se proprio dovessi vivere nel futuro, vorrei vivere nell’età delle esplorazioni spaziali. Pensi che meraviglia, poter essere il primo a portare la luce della fede a uno degli infiniti universi e mondi?

Quindi la pensa come i teologi della specola vaticana: non siamo soli nello spazio.

Impossibile pensarlo. Del resto, sono tutti gesuiti anche loro.

Sa una cosa? Ora che ci penso, c’è un racconto di fantascienza, “Il gesuita sulla stella” di Clarke, che parla proprio di questa cosa. Ancora una volta, il protagonista sembrerebbe ispirato a lei.

Che dire? Speriamo che Ignazio non lo legga.

(immagine di copertina: Andrea Pozzo, san Francesco Xaverio battezza Neichile)