Senza rimpianto

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MIMMO PUCCIARELLI

Questa mattina c’è un bel sole d’inverno
ci sono le macchine che vanno a lavorare
gli uccelli nascosti
le labbra ridotte ad aprirsi solo per mangiare
non mi piace più parlare
non credo che convenga gridare
ne sorridere alle stelle
che sono sorde e lontane.

Pensavo finita la stagione del pianto
ma rieccolo di nuovo che piange
sempre solo, il lunedì mattina,
difronte alle finestre sbarrate
e un’amante lontana
più delle stelle sorde e mute.

Pensavo di aver riciclato la brutta stagione
di aver immagazzinato tanta energia
per poterla fare esplodere
insieme a questi boccioli che sorridono
e che lentamente si stanno preparando a germogliare
nascondendo il mio pianto.

Ero pronto a stravolgere la mia vita
ad allungare le mani,
le braccia,
e circondare il tronco di ogni albero
che mi sarebbe venuto incontro
di ogni sguardo che la primavera mi avrebbe offerto,
ma questa mattina
uno di questi maledetti lunedì mattina
c’è solo Frédéric che da una parte all’altra della tastiera
mi fa piangere.

Eppure c’è il sole,
ieri ho preparato il pasto domenicale,
e nella mia piccionaia sono arrivati figlie, generi e nipoti
e quel pizzico di vita che ti fa girar la testa
dai due a settant’anni :
pasta, pollo e patate, insalate, torta di mela, vino, acqua e caffè.
Eppure mancava qualcuno.
Ieri era domenica: è un giorno che non odio
anzi, la domenica è un giorno sospensivo
di pulizia, di modi garbati per restare seduti a tavola
con in mano forchette, cucchiai, bicchieri e telefonini,
con i sorrisi della festa,
e le lacrime nascoste dietro il velo che copre i miei occhi
e quelli di colei che si allontana
che vola verso le stelle sorde e attente a non lasciare
nello spazio infinito nessuna nota di speranza
quello che Frédéric voleva lasciare premendo i suoi tasti insanguinati,
quelli allegri, nostalgici, forti e deboli come un canto di uccelli
quelli che si stanno preparando per tornare
su questi alberi stanchi che si chiedono cosa possono fare
se non aspettare che le foglie diventino colori
che il pettirosso saltelli da un ramo all’altro
e raggiunga la sua compagna dal petto rosso
fuoco,
come quello che Mariuccia accende d’inverno
quando aldilà della sua finestra il ghiaccio gli chiude le porte,
fuoco che fa borbottare l’antica pignatta colorata di nero
e quella giostra di fiamme che gli bruciano gli occhi
per aver troppo atteso che le stelle gli parlino
che il vento gli soffi due parole d’amore
nel petto ricoperto dalla maglia di lana,
che spero ereditare,
quella che mette anche d’estate perché asciuga il sudore
e che forse potrà asciugare anche il mio pianto.

Nel frattempo, le mie dita cavalcano
ad occhi chiusi i tasti del mio pianoforte
che non sono gamme da proporre a maestri di musica
ma solo poche e semplici parole
che si rivolgono alle stelle
mute e lontane
che piangono perché non possono aiutarmi.

− Ma allora cosa farai domani ?
Ti lascerai guidare dalle gemme fiorite
dal venticello che suona come un violoncello,
o metterai le mani in tasca
chiuderai le labbra
e inizierai a camminare
lentamente, lentamente,
verso quelle stelle bianche
che hanno sentito il tuo pianto
e che aspettano che le raggiunga
senza nessun rimpianto?

11 febbraio 2018

(Foto di Mimmo Pucciarelli)