Customer Care ovvero Delle Scelte

Customer care ovvero delle scelte

GABRIELLA VERGARI.

“Questo è il segreto della felicità e della virtù: amare ciò
che si deve amare. Ogni condizionamento mira a ciò:
fare in modo che la gente ami la sua inevitabile
destinazione sociale”
Aldous Huxley

- Scusa, hai detto 38 e mezzo o 37 e tre quarti? -

Nell’ansia del customer caring, più che multitasking, il giovane commesso – Nicola, sul badge - le sembrava proprio incasinato.
Nel tempo in cui lei aveva inquadrato gli scaffali, adocchiando il modello giusto, l’aveva visto andare e venire, come un’ape impazzita, tra un cliente e l’altro, mentre portava scatole di scarpe impilate, apriva e richiudeva  coperchi, tirava fuori dalle veline destre o sinistre, ascoltava richieste e rispondeva più o meno cortese, però invariabilmente sorridente.
Non lo invidiava.
Ma non le faceva nemmeno pena: era il suo lavoro e doveva anzi ritenersi fortunato ad avercene uno. Sempre meglio che finire in un call-center, come il suo vicino, dopo il master ed il centodieci e lode con menzione, alla specialistica in lettere.

Lei, non l’avrebbe commesso quell’errore. Per questo stava seguendo in tempo i corsi di preparazione in medicina, la professione dall’avvenire sicuro e ben remunerato. E con un po’ di fortuna, poteva pure sperare che le piacesse ciò che sarebbe andata a fare per i prossimi trenta o quarant’anni della sua vita. Forse anche cinquanta, dato che sempre più spesso si sentiva dire che, la pensione, la sua generazione non l’avrebbe vista mai.

Certo, con le crocette potevano essere dolori, come aveva imparato a sue spese nell’ultima verifica di biologia. Per non dire delle prove strutturate a risposta multipla, ma in fondo era tutta una questione di skills e prestazioni. Bisognava saper dominare l’ansia reggendo la pressione, più dei pneumatici di una Ferrari. Senza contare il fattore C! Assolutamente random, ma fondamentale.

Chi avrebbe, ad esempio, mai scommesso su Mario, il nipote dell’edicolante sotto casa che, dopo due bocciature al commerciale, aveva preso su, trasferendosi a Sidney, per aprire una pizzeria? Eppure, non solo aveva ingranato alla grande, ma aveva quasi convinto i suoi a raggiungerlo prima dell’estate, perché un tempo, l’ Australia era  terra di galeotti e  deportati, ma ora  offriva  opportunità  che nemmeno gli States. Perciò non era sicura di aver fatto bene a rifiutare l’intercultura: un semestre in una scuola di Melbourne. Mica male. Tommaso, il suo compagno di classe, era rimasto letteralmente folgorato dall’ambiente, dall’accoglienza, dalla civiltà. Certo, il clima aveva i suoi disagi ed anche la famiglia presso la quale era finito non si era proprio rivelata  modello, ma il resto… Però lei non se l’era sentita di lasciare tutto così, su due piedi, e soprattutto di perdere il primo anno di corso di preparazione alle lauree scientifiche. E se poi, mentre  completava la sua esperienza in Australia, gli altri, restati comodamente in Italia, si fossero preparati prima e meglio? Non era facile, no, proprio non lo era, decidere del futuro, soprattutto in una società liquida e neoliberista come la sua.

Ora, ad esempio, doveva risolversi tra il C1 d’inglese o l’IELTS. Per quanto, dopo Brexit, forse bisognava cominciare a guardare al francese o, ahimè, al tedesco. Ma le lingue, lo dicevano tutti, erano il domani. E menomale che aveva già dato l’adesione al progetto scolastico, “OrientiAMOci in Oriente – 2.0”, prima che lo chiudessero per sovrannumero d’iscritti, così che dieci lezioni di giapponese se l’era comunque assicurate e le avrebbe seguite on-line, da casa e gratis. Un lusso. I moduli dell’ECDL li aveva dovuti invece pagare a parte. Pazienza, non c’erano santi: le competenze d’informatica andavano certificate, né l’Europa o il mondo potevano stare lì ad aspettarti mentre te ne stavi con le mani in mano, senza preoccuparti del curriculum.  E poi adesso ci si metteva pure l’alternanza scuola-lavoro. Per la sua classe, avevano scelto il Mc Donald’s vicino la scuola. Una pacchia, avevano commentato i suoi compagni. Ma lei era quasi certa che si sarebbe trattato di sfruttamento allo stato puro.  Avrebbe di gran lunga preferito un qualcosa in ospedale o presso una facoltà scientifica, ma la sua scuola non aveva siglato nessun protocollo del genere. C’era da sperare nell’anno a venire, ma allora ci sarebbero anche stati gli Esami di Stato. Non li temeva, solo avrebbe dovuto incastrare i tempi con precisione ancor più chirurgica.

Un cinguettio dal cellulare: le restava a stento mezz’ora prima di fiondarsi al piano di sotto del nuovo centro commerciale per aiutare suo nonno nell’acquisto di uno smartphone d’ultima generazione.

Quanto ci stava mettendo quel benedetto Nicola?

Eccolo, ancora sorridente ma imbarazzato. Senza le sue scatole impilate, sembrava quasi nudo.

-Il 38 e mezzo c’è delle Sadida rosa a strisce fucsia ma, di quelle bianche a strisce rosa che tu vuoi,  ho solo il 39.- pareva autenticamente rammaricato. – Hanno fatto un volo. Puoi provare tra qualche mese all’outlet, oppure vedere le Ekin o le Tabolat.

No, le Tabolat no, non la prendevano per fessa. Primo, non erano per nulla la stessa cosa e la sua maestra di danza le avrebbe fatto una testa così, per tacere delle amabilissime compagne. Inoltre, per il saggio, avrebbe dovuto comprarne comunque un altro paio, dato che sul palco ogni differenza risaltava come un pugno in un occhio.

Secondo, lei era una connessa col suo tempo, non una compulsiva, come sua cugina Rossella che, le scarpe, le comprava come l’acqua, per poi disfarsene poco dopo. E dunque sapeva – l’avevano postato proprio da recente su facebook – che i materiali delle Tabolat erano non solo facilmente deperibili e puzzolenti ma pure potenzialmente tossici. Delle Ekin, manco a parlarne perché era arcinoto che, grazie alla delocalizzazione, nascevano dallo sfruttamento minorile e dai nuovi piccoli schiavi del Sud del mondo.

Si sentì quasi presa in giro: centinaia e centinaia di scarpe lì tutt’attorno, grandi, piccole, medie, dure, morbide, respiranti, flessibili, rigide, rinforzate, telate, in resina, monocrome, bicolore, arlecchinate, a pois, a strisce… possibile che nessuna facesse per lei? C’era di che ritenersi veramente sfigati.

Beh, poco male, si consolò facendo spallucce, avrebbe dato un’occhiata su e-bay!

 

in AA.VV., Aurore, Algra, Catania 2017.