La Fenomenologia di M.

1a

APOTOS. Da “Piazza grande” del 19.7.2016, pag. 18 (sito internet: qui)

Premessa: del glorioso “Belvedere” (1963-1993), la rivista storica della sinistra cattolica monregalese, ho sempre amato fin da ragazzo una rubrica in particolare: le “Comiche finali” di Ernesto Billò, a mio avviso veri capolavori del genere umoristico raccolte poi in “Mondovì Ridente” (sottotitolo piccolissimo e sapidamente velenoso: “a denti stretti”). Delle perle che sono tra le cose migliori della nostra minuscola tradizione letteraria locale (la prima Comica, inestricabilmente legata al titolo, in cui Carducci omaggia Mondovì nella sua “Piemonte” solo dopo una diabolica e venale contrattazione, raggiunge secondo me livelli da Achille Campanile campanilistico).

Per questo ho ripreso da “Mondovì Ridente” l’immagine di copertina per questi post, una vignetta del “Babau” del 1914, dove socialisti e clericali, monarchici e repubblicani si inseguono come discoli dispettosi all’ombra della torre del Belvedere di Mondovì.

Oggi infatti, con uno stile totalmente diverso, Mondovì è tornata ad avere una sua penna aguzza e satirica in Apotos, che sulla “Piazza Grande”, settimanale monregal-fossanese, lancia settimanalmente i suoi strali sulla politica locale. Il nome di questa misteriosa firma monregalese deriva, ovviamente, dalla Società degli Apoti di Prezzolini (dal greco: a-potos, “quelli che non se la bevono”, con alfa privativo), fondata idealmente nel 1922 e che ha incluso il meglio del giornalismo italiano indipendente: Guareschi, Curzio Malaparte, Montanelli.

Apotos ci ha gentilmente concesso (ringraziamo di cuore lui e “Piazza Grande”) di ripubblicare qualche sua satira. Il testo sarà certo più gustoso per i monregalesi, ma anche per gli altri può valere come esempio di satira efficace. A me – spesso commissario d’esame di lettere – è piaciuto soprattutto per lo stile, una perfetta satira del moderno tema di maturità, nella prima traccia, l’analisi del testo. Mi pare che Apotos abbia ancora fatto la vecchia maturità, ma in ogni caso conosce benissimo anche quella nuova. Ai lettori, appunto, decidere se dargli i famosi e ambiti “quindici quindicesimi”. E quindi, con questa “Fenomenologia di M.”, diamo il bongiorno ad Apotos su “Margutte”; sperando di poter dar spazio, in futuro, ad ulteriori frecce del suo arco.  (Lorenzo Barberis).

(PS: nella traccia, per il rimando ai fatti di partenza, aggiungo TargatoCN, L’Unione Monregalese, Provincia Granda e ovviamente La Piazza Grande – da sfogliare l’archivio).

*

 

LA FENOMENOLOGIA DI MAGNINO

Tema: le dimissioni di Paolo Magnino dal Consiglio comunale.

Analisi strutturale del testo con tracce (anche se in dose omeopatiche) di: Immanuel Kant, una sostanza chimica, Emile Zola, Giorgio Napolitano e le due Camere, Mozart e Montale. (In parentesi e in corsivo i commenti).

La ragion pratica: di carattere professionale. In questi 4 anni è cambiato il suo incarico e il contesto lavorativo. Il suo nuovo ruolo non gli consentirebbe di assumere ulteriori responsabilità. Fare il sindaco a Mondovì richiede un impegno a tempo pieno che non potrebbe garantire. (Il suo nuovo ruolo rende incompatibile anche l’impegno di consigliere comunale di opposizione? Per fare il Sindaco bisogna comunque essere eletto. Non era sufficiente non ripresentarsi alle prossime elezioni amministrative?).

Il catalizzatore: la scelta, votata a maggioranza (20 sì, 13 no e 3 astenuti) nell’ultima assemblea del Mo.Mo, di verificare la sussistenza di un percorso “civico” insieme a componenti dell’attuale maggioranza, Mondovì Oltre.

Paolo Magnino si è ritenuto sfiduciato, perciò le dimissioni (in realtà ha fatto tutto lui. Si è sentito sfiduciato dalla fine della guerra fredda monregalese di cui è stato l’ultimo combattente, in ordine di tempo. Ci sono momenti nella storia in cui è opportuno un compromesso storico. Non l’ha forse insegnato Sant’Enrico Berlinguer, uno degli antenati del PD?).

J’accuse: la parte preponderante dell’intervento e non ha risparmiato nessuno, avversari ed alleati.

Mondovì deve smettere di essere un feudo dove il signorotto locale sta perdendo sempre più consensi elettorali (per la legge del contrappasso è intanto diventato ministro mentre la famiglia politica di Emile Zola ha espresso, in un cinquantennio, al massimo un consigliere regionale. Mondovì un feudo? Sì. Dal 1998 al 2016 ha amministrato il centro destra e prima dal 1990 al 1994 e fanno 22 anni. Mi avvertono dalla regia che dal 1945 al 1990 – 45 anni – è stato un feudo della Democrazia Cristiana.

Si vede che per la nostra città è un destino!)   Per il sindaco ha iniziato con parole di apprezzamento per la preparazione, la determinazione e la risolutezza. Ha proseguito dandogli atto di aver amministrato dal 2007 negli anni della peggior crisi del dopoguerra. Non è solo lui responsabile di tutto perché è stato appoggiato da una maggioranza granitica. Lascia più ombre che luci, non è stato un innovatore e ha gestito le nomine degli assessori e in Fondazione con il manuale Cencelli (anche per questo il sindaco non è stato il primo a Mondovì. Chi ha una certa età ricorda che per cariche e incarichi faceva premio aver frequentato l’Oratorio Contardo Ferrini e abbiamo visto professori di lettere nominati nelle banche o a gestire l’Ospedale).

Su Mondovì Oltre il giudizio è addirittura sprezzante: si sono mossi all’unisono come burattini del Mangiafuoco locale.

Ma gli schiaffi più sonori li ha dati (metaforicamente) agli esponenti dell’opposizione. Pesante il giudizio sul Movimento 5 stelle e su Mario Bovetti. Liquidatorio, infine, su Mondovì in Movimento (che avrebbe invece dovuto ringraziare perché gli ha dato l’occasione per un gesto che meditava da almeno due anni).

Giorgio Napolitano e le due Camere: ricordate il discorso del Presidente al suo secondo insediamento? Più dava schiaffi ai parlamentari e più veniva applaudito. Così, anche se senza applausi, è avvenuto negli interventi di replica di tanti consiglieri.

Paolo Villaggio gli avrebbe detto “ma va a cagare”. E invece… una rincorsa a chi la sparava più grossa nella laudatio magistralis, con tutte le figure della retorica, dall’apagogia all’iperbole.

Il Presidente Ignazio Aimo, sinceramente commosso, ha confermato le sue qualità nell’elogio funebre e Paolo ha avuto quel privilegio che io mi sono augurato tempo fa: morire per finta per sentire in streaming da Ignazio come mi avrebbe ricordato.

Il Sindaco è stato british, Mario Bovetti, invece di rispondere con le parole di Villaggio, gli ha fatto una dichiarazione d’amore (politico, s’intende): ti ho guardato sempre come un modello, ecc. (da qualche mese è però andato… oltre).

Vi risparmio tutti gli altri interventi.

Mozart: quello del De Profundis clamavi KV 93. Per 45 minuti la sala del consiglio comunale si è trasformata in una cattedrale con una messa granda “presente cadavere”. A un certo  punto ho pensato cosa sarebbe successo se Paolo Magnino avesse detto “Guardate che ho scherzato, non mi dimetto!” Sarebbe stato come entrare direttamente in un film di Luis Buñuel.

Montale: è il mio poeta preferito e a lui ricorro per dare il mio saluto a Paolo. Non un addio ma un arrivederci. Paolo è troppo malato di politica per starne lontano a lungo. Per ragioni di età (mia) magari non lo vedrò tornare ma tornerà.

Mi piace immaginare che lui pensi alla politica amministrativa come il prigioniero di una poesia di Montale pensa alla persona amata: “Il mio sogno di te non è finito”.