Mondo vì di mezzo

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MICHELE GHIBAUDO

Mondovì ha uno strano odore di scrittura, di quell’inchiostro che perdura sulle dita quando la stilografica divaga anche, tra le dita, piroettando in voli pindarici sulle falangi in posa creativa, a nuvole  si espande sulla pelle. Ecco, da sotto gli archi piccoli o dai tavoli nelle piazze la percepisco un pochetto amarognola di racconti,  di quelli un po’ di mare e un po’ di terra,di quelli tipici di un mondo in mediana come questo, la via di mezzo di un vento che sa che qui non è il capolinea ma nemmeno l’ inizio di un’avventura. Un vento che sa che è il luogo confortevole dove il foglio, da una parte, è già pervaso da qualche colorita parola d’ identità e di sogno, sospese dove il vento  può pensare il bello, dove tanto è ancora  da inquadrare, da bramare. Mondovì, dall’ altra parte,  ha il dono imperturbabile di una bellezza immediata come madre, dove il vento di mare e di collina si può sentire a casa, può permettersi di fermarsi a scrivere; è per questo che passa qualche volta di qua, almeno credo. Mondovì è davvero sulle ginocchia di una madre elegante, nel suo scialle melange di colori caldi, con le terga su una coperta di lana lavorata a  punto riso o legaccio, in quadrati cuciti uno ad uno insieme, come le foglie.  Da lì, mi capita di sentirmi seduto anch’io, in piazza come sotto ai portici a faccia in su e risentire nuovamente l’ esperienza di avere le mie di terga al caldo di mia madre, di averle di nuovo piccole, le terga, come la profondità dei gradini piccoli in vicolo del  Moro.  Mi capita di guardare ciò che imparerò prima o poi a scrivere, con quel velato odore amarognolo sempre nel naso e ad espandersi in tutti i miei occhi ed oltre; dove il vento si insinua e piroetta in voli pindarici sulle facciate, tra i mattoni vecchi e i capitelli, come inchiostro perdurante sulle dita, mondo vì di mezzo. E guardalo andare all’ insù, fino a divenire nuvole sulle mie dita.

(foto di copertina di Lorenzo Barberis)