L’ora felice di Elena Griseri

copertinaATTILIO IANNIELLO (a cura)

Ultimamente mi è capitato di rileggere alcune pagine di Julian Beck, fondatore insieme a Judith Malina del Living Theatre. Alcune frasi di quelle pagine che erano passate sotto i miei occhi con naturalezza e senza suscitare in me particolari riflessioni, riemersero nella mia memoria incontrando una donna, un’attrice che del teatro fa la sua passione, il suo fare, la sua poesia.

Julian Beck scriveva:

Il teatro è sempre presente, sempre in via di formazione; passiamo da un momento all’altro, e ogni momento è teatrale. Ogni esperienza ci trasforma e ciascuno di questi momenti si integra in un tutto teatrale. Quando la nostra osservazione si fa più acuta, ogni episodio di vita quotidiana diventa un fatto artistico…

L’impressione che ho ricevuto incontrando Elena Griseri, torinese di nascita ma monregalese d’adozione, è stata quella di avere di fronte una persona che, appunto, ha superato le frontiere, i confini tra vita quotidiana e vita artistica.
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Margutte: Quando e come ti sei avvicinata al mondo della recitazione e del teatro?
Elena Griseri: Mi sono avvicinata al mondo della recitazione e del teatro attraverso una evoluzione molto lenta. Già da bambina ho coltivato due grandi passioni: la pittura e la recitazione. Mi affascinava il mondo del colore, mi affascinavano le immagini dei libri che sfogliavo; inoltre mi costruivo dei personaggi che interpretavo giocando nelle ore quando ero da sola. I miei genitori lavoravano entrambi ed erano molti i momenti in cui restavo a casa da sola. Allora le stanze, le cose acquistavano per me altri significati, io stessa diventavo i personaggi che sapevo inventarmi. Ricordo che mi scrivevo delle lettere a cui ovviamente rispondevo e questa autocorrispondenza epistolare si affiancava alla mia capacità di travestirmi, di crearmi con cose semplici dei costumi.
Per fortuna i miei genitori non hanno pensato che fossi pazza ed hanno lasciato che coltivassi le mie passioni.

Iniziando le Elementari ho partecipato alle solite recite scolastiche; una in particolare è rimasta vivida nei miei ricordi. Era dedicata a tutte le mamme del mondo e della storia dell’umanità ed io avevo la parte di mamma dell’era preistorica, una cavernicola. Ero molto fiera del costume che mi aveva preparato mia madre.

In Terza Media poi le insegnati decisero di mettere in scena brani tratti da “I Promessi Sposi” e da altri scritti. A me toccò una parte molto particolare: ero una popolana che giudicava i protagonisti del Risorgimento italiano e dimostravo loro che noi del popolo eravamo poveri prima dell’Unità e siamo rimasti poveri anche dopo. Spesso questo processo ai protagonisti del Risorgimento terminava con la condanna a morte. “Tagliategli la testa!”, gridavo.

Dovevo aver preso molto sul serio la recitazione perché alcune professoresse invitarono i miei genitori a farmi proseguire gli studi al Liceo Artistico e a farmi fare dei corsi di recitazione. Ma i miei genitori pensarono bene di iscrivermi a Ragioneria: “Per il mio bene, per il mio futuro” dicevano.

Ovviamente accettai, ma non riuscivo a farmi piacere quel corso di studi. Alcuni mesi dopo l’inizio della scuola, pochi giorni prima delle vacanze di Natale, decisi che non potevo più fingere, dovevo farla finita con questa scuola. Un mattino mi aggrappai con le mani al mobile della cucina e non dissi nulla, guardavo in silenzio i miei genitori; loro mi dissero: “Ma Elena, cosa fai? devi andare a scuola, così farai tardi”. Io sempre con le mani serrate al mobile scoppiai a piangere e dissi: “Io non vado più a scuola”.

Ci rimasero male, chiesero spiegazioni ma alla fine accettarono il mio ritiro da Ragioneria. La restante parte dell’anno la dedicai a lavorare presso una parrucchiera , ma anche quella non era la mia strada.
Un giorno andai a Cuneo e presi tutti i moduli per l’iscrizione al Liceo Artistico “Ego Bianchi”. I miei si dissero felici che riprendevo a studiare e così iniziava una nuova avventura per me.
Devo dire che nel periodo in cui lavoravo come parrucchiera avevo iniziato a partecipare a qualche recita con la Compagnia degli Affossati, di Mondovì, promossa da Michele Rados.

Ricordo che avevo preso parte ad uno spettacolo di strada dal titolo Pika-don, la parola che i Giapponesi usano per indicare la bomba atomica sganciata su Hiroshima (Pika, la brillante luce, Don, il fortissimo rumore). Era uno spettacolo molto coinvolgente tratto da un libro che raccontava appunto di quella tragedia. Michele Rados interpretava la morte e noi giovani avevamo diverse parti, chi le vittime, chi i soldati che raccoglievano i corpi delle vittime. Mentre la voce narrante leggeva brani del libro da cui era tratta la rappresentazione, Michele Rados, la morte, ci raggiungeva e ci copriva completamente col suo mantello per qualche secondo durante il quale noi velocemente ci vestivamo di stracci e ci macchiavamo di sangue e bruciature, poi barcollando andavamo a “morire” in posti prestabiliti. In una di queste rappresentazioni mentre andavo a raggiungere il mio posto inciampai e qualcuno mi afferrò per non lasciarmi cadere. Io tra me dissi: “Chi è che mi ha afferrato, cosa faccio adesso? Cerca di restare nel ruolo!”. Mi girai lentamente e vidi un uomo di una certa età che con le lacrime agli occhi mi ha tenuta stretta fino a quando non mi sono rialzata e poi mi ha lasciata andare. Eravamo a Chivasso e in quell’uomo probabilmente avevamo fatto risorgere ricordi di guerra.

Sempre con la  Compagnia degli Affossati vissi un evento importante anche per quel che riguarda le mie scelte successive. Infatti quando frequentavo la IV Liceo decisi di partecipare al I Festival teatrale studentesco organizzato proprio dalla Compagnia degli Affossati. Coinvolsi tutta la mia classe e scrissi una pièce tratta da Cenerentola; fu un’esperienza entusiasmante a cui parteciparono anche gli insegnanti. Non recitammo solamente ma dipingemmo gli scenari e ci disegnammo e preparammo i costumi.

Attraverso queste esperienze, una passione iniziale si andava trasformando in un profondo amore e, a pensarci bene, in una necessità.
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Margutte: Questa passione, questo profondo amore, questa necessità di fare teatro come si è trasformata in professione?
Elena Griseri: Per prima cosa ho iniziato a studiare. In realtà, come vedrai, non ho mai smesso di studiare. Il mio sogno era di frequentare una scuola completa, dove poter analizzare il teatro in tutti suoi aspetti. Mi sembrava riduttivo studiare esclusivamente e separatamente recitazione, oppure scenografia, o storia del teatro. Non riuscivo a concepire l’idea di calcare una scena, agire in un luogo senza possedere gli strumenti per poterlo immaginare e costruire. Viceversa mi risultava difficile progettare uno spazio senza avere la consapevolezza di come e perché frequentarlo. Scuole di questo tipo però non esistevano in Italia, inoltre volevo approfondire gli studi artistici iniziati al liceo. Decisi quindi di intraprendere un percorso formativo personalizzato: mi iscrissi al Corso di Scenografia presso l’Accademia delle Belle Arti di Torino ed iniziai a studiare recitazione e movimento presso scuole private. Tra queste ultime la prima fu una scuola che si chiamava “Il Punto Fisso”, dove feci un percorso monografico sulla maschera neutra.. Per altri 5 anni studiai espressione corporea con la danzatrice torinese Doriana Crema.  Nel ’92 tornai a vivere a Mondovì dove fortunatamente incontrai l’attore Pier Giovanni Magliano, il quale aveva studiato alla “Nuova Scena” di Bologna, aveva lavorato in varie compagnie e poi era tornato nel Monregalese e aveva aperto una scuola serale di teatro. Mi iscrissi alla scuola ed oltre allo studio iniziai, dopo un anno, a fare spettacoli. Per mantenermi economicamente lavorai in quel periodo presso uno studio di architetti, e uno d’arredamento, ma ben presto mi accorsi che lavoro fisso e militanza artistico-teatrale non andavano d’accordo e mi licenziai. Nel 1994, con Pier Giovanni Magliano fui tra i soci fondatori dell’associazione culturale L’Astrolabio, per lo sviluppo e la divulgazione del teatro sul territorio della provincia di Cuneo. La mia formazione durò svariati anni, frequentavo i laboratori teatrali e contemporaneamente lavoravo come attrice e scenografa negli spettacoli che mettevamo in scena. Eravamo una compagnia piccola, pressoché sconosciuta e senza sovvenzioni. Fu quindi un periodo abbastanza povero in termini economici ma molto ricco per quanto riguardava la mia crescita artistica e personale.

Alla fine degli anni Novanta iniziai a lavorare con la compagnia “Il Melarancio” di Cuneo, la quale, oltre ad un repertorio per adulti, produce anche spettacoli per l’infanzia. Io non sapevo nulla di bambini e non mi sembrava onesto recitare per un pubblico del quale conoscevo molto poco senza un minimo di preparazione. Per un paio di anni, coadiuvata da esperti nel settore, lavorai serratamente nelle scuole elementari e medie come conduttrice di laboratori teatrali ed attività grafico-pittoriche. Non fu facile ma imparai molto e potei far fruttare sulla scena l’esperienza maturata durante il contatto diretto con i bambini.

Dal 2000, poi, lavoro con “Teatro Gioco Vita” di Piacenza. Mi sono appassionata al linguaggio delle ombre e in questi anni ho potuto approfondire sia le tecniche che l’aspetto poetico ed espressivo di quest’arte. Lavorando con questa compagnia ho avuto la possibilità di affrontare il pubblico dei più piccoli, ovvero i bambini dai 2 ai 5 anni, e ho appurato che sono i più esigenti in fatto di autenticità sulla scena, i più difficili in fatto di tempi di concentrazione, i più vivi e reattivi in fatto di presenza in sala. In poche parole lavorare per loro mi ha migliorata sia come attrice che come essere umano. L’incontro con “Teatro Gioco Vita” ha rappresentato una grande opportunità per la mia carriera artistica perché è una compagnia conosciuta a livello sia nazionale che internazionale. Con questa compagnia ho iniziato a fare delle lunghe tournée all’estero: Francia, Spagna, Stati Uniti, Giappone, Polonia, Slovenia ed altri ancora, oltre, ovviamente ogni parte d’Italia.

Stimolata da questa nuova opportunità di crescita umana ed artistica nel 2008 ho partecipato ad un master di formazione in teatro per ragazzi presso la Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano e, poiché nel frattempo avevo iniziato anche a creare laboratori di teatro per adulti, nel 2010 ho iniziato a studiare “Pedagogia della Scena” con Anatolij Vasiliev presso “L’Isola della Pedagogia” di Venezia. Anatolij Vasiliev è uno dei massimi esperti del metodo Stanislavskij.

Questo periodo dedicato all’approfondimento pedagogico mi ha permesso di comprendere come di fianco alla preparazione tecnica, artistica, l’attore deve appropriarsi degli aspetti umanistici, personalistici del teatro. Quando una persona partecipa ad un laboratorio teatrale, si mette in gioco e a volte scopre parti di se stessa che non conosceva. Chi anima il laboratorio teatrale deve quindi essere preparato ad affrontare le problematiche che le persone possono porre nel laboratorio stesso. È per questo che per poter essere più efficace nel mio rapporto con gli adulti da due anni seguo un corso di counselling sistemico presso l’Istituto Change di Torino.

Dal 2009 faccio parte dell’associazione “Arno Klein” di Mondovì. Nell’ambito di questa associazione teatrale ho potuto ridare fiato anche al mio amore per la pittura, infatti ho creato, insieme all’attrice Marlen Pizzo, “L’ora felice”, una pièce ispirata al mondo dei colori adatta al pubblico di bambini dai 3 ai 7 anni. Il titolo nasce da una frase di Paul Klee: « Il colore mi tiene. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi tiene per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo una cosa sola. Io sono pittore».

“L’ora felice” narra di una pittrice che tenta di dipingere un quadro, senza però trovare la giusta ispirazione. Riesce solo a dare una pennellata di colore sulla tela ed infine, presa da sconforto, lascia il suo studio. Quale sorpresa, quando la traccia colorata lasciata sul quadro prende vita! Il segno chiama altri segni, il colore altri colori ed il quadro si dipinge da solo. Nello studio segni, forme e colori si animano, in una divertente carrellata di giochi ed esibizioni; lasciano tracce della loro essenza e del loro potere espressivo, rivoluzionano lo spazio.
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Margutte: Ultimamente hai avuto una parte nel film “The Repairman” di Paolo Mitton. Come hai vissuto questa nuova esperienza?
Elena Griseri: Veramente ho incontrato il cinema già alcuni anni fa partecipando ad un gruppo di lavoro di regia nella scuola di cinema di Ermanno Olmi. In seguito ho avuto una piccola  parte nel cortometraggio “Il maestro di coro” di Marco Bellocchio. Lavorare nel cinema è molto diverso dal lavorare nel teatro. Mi piace partecipare alla costruzione di un film, recitare in un film. Quindi quando il regista Paolo Mitton mi ha proposto di fare un provino per il film che stava scrivendo con la collaborazione nella sceneggiatura di Francesco Scarrone si può immaginare quanto fossi contenta. Dopo aver superato il provino, il regista mi ha dato una parte, una donna che parlava con l’accento piemontese. Ora poiché un attore lavora tantissimo per togliersi ogni accento dialettale, per prepararmi dovevo assolutamente evitare il rischio di creare una finta piemontese, una macchietta del dialetto. Ho quindi lavorato a lungo anche con grande attenzione ai muscoli facciali, a tutti quegli esercizi di espressione che potevano farmi sembrare il più vera possibile. Fare cinema ti permette di esprimerti anche nei più piccoli movimenti dei muscoli facciali; nel cinema anche una piccola alzata di sopracciglia può caratterizzate il tuo personaggio, alzata di sopracciglia che in teatro il pubblico non potrebbe vedere.

L’arte della recitazione, il teatro, il cinema implicano una ricerca costante che richiede grande sforzo e disciplina ma restituisce anche tanto divertimento e profondo piacere.

(Un articolo-intervista su The Repairman si trova qui http://www.margutte.com/?p=3316)
Elena Griseri, nata a Torino, risiede a Mondovì. nel corso degli anni ha studiato inoltre con gli attori e registi: Philip Radice, Ulla Alasjarvi,  Bryan Burroughs, Andrea Ainswotrh, Bruce Myers, Danny Lemmo, Eugenio Allegri. Lo scenografo: Joan J. Guillen. I danzatori: Giorgio Rossi, Claude Coldy, Solene Fiumani. Il drammaturgo: José Sanchis Sinisterra.
Dal 2011 collabora con il Museo della Ceramica di Mondovì (laboratori didattici)
Per L’Astrolabio ha firmato le regie degli spettacoli: “Luoghi di passaggio” Azione teatrale semi improvvisata, di Elena Griseri (2007) – “Zorro”  di Margaret Mazzantini (Stagione Teatrale Baretti 2010) - “Experiri” di Elena Griseri (Stagione Teatrale Baretti 2011) – “Spirito allegro” di Noel Coward  (Stagione Teatrale Baretti 2012).
Recita inoltre nello spettacolo teatrale “Il più grande tanguero della Pampa” di Francesco Scarrone, con i MaMagré