I Canti dell’interregno di Pina Piccolo

interregno

INTERREGNO

Le mura di Gerico
non crollarono al richiamo
del corno d’ariete.
Nel vuoto arcano
dell’osso
vi fu un rifugiarsi
leggero di piume
di angeli spelacchiati
in fuga dal turbinio
dell’umano interregno,
quell’interstizio infame
evocato dal cervello
del ‘sardo rosso’
a lungo imprigionato
tra le mura,
scomoda figura.

«La crisi consiste precisamente nel fatto
che il vecchio sta morendo e il nuovo non può ancora nascere;
in questo interregno appaiono una gran quantità di sintomi morbosi».

Questa la canzone che gracchiava
la gazza, poco ladra molto regaliera,
spargendo verità per l’aire
nel giardino del manicomio
tra la polvere delle fondamenta
abbattute dalla speculazione edilizia:
«Ologramma! Ologramma!»
diceva del programma
che si discuteva al palazzo.
«Ceppi e contagi»
non cani randagi
né nutrie né ratti,
ma «Misfatti, misfatti!»
nelle vostre AUUUUSL
Aziende Unità Sanitarie Locali.

Sindrome morbosa
della rosa della rosa della rosa
coltivata nella Rift Valley del Kenya.
Mani nere l’han curata, accarezzata,
poi strappata, spedita nella stiva se n’è volata,
poi è atterrata, per un’ora immagazzinata e poi,
per le strade di Palermo di Bologna di Torino,
un bengalese poco più che bambino
me l’ha offerta a mezzo euro
perché non era più fresca di giornata.

«Saldi, saldi, saldi!»
teniamoci saldi
nell’interregno
tra le sindromi morbose
sindoni irradiate
antropogenici cambiamenti
antropologici mutamenti
e ammutinamenti
costituzionali scrostamenti
e crollo di nazioni.
Negli interstizi
vaga la voce,
fluisce la nota
che la bussola resetta
e come arca
spera e aspetta.

*
UNA STORIA EUROPEA: GENESI DEL
SORRISO SARDONICO DI GUY FAWKES

E il candido Torello genuflesso
la trafugò, gentile donzella
chinata ad accarezzare il muso
del mansueto animale.
Figlia di Teti e di Oceano,
sorella di Asia, nipote di Libia.
A nulla servirono urla accorate,
a nulla valsero gesti
febbrili invocanti aiuto.

Veloce come il lampo
scivolando sulle onde
del mare di mezzo,
possente il Toro la trascinò
all’isola di Creta
e quivi,
in guisa di aquila,
di lei consumò possesso.

Sorella di Asia, la dolce ninfa
che inconsolabile di separazione si dolse,
vi fu chi (più tardi)
la disse di lei propaggine,
ponente estrema.
Europa rinchiusa nella sua isola,
femmina matura,
genitrice di futuri re e di giudici degli Inferi.

Atterrita dall’arrivo
dell’Altro, forse i Sardi,
d’incursioni timorosa
implorò Efesto di forgiare
un fido servitore di bronzo
a guardia delle sponde
e dal metallo nacque Talos,
progenitore della stirpe degli automi,
trisavolo del ribelle Golem,
gigante di pietra
che a Praga, invece di scacciare stranieri,
proteggeva ebrei erranti dal pogrom.

Talos, l’Incandescente,
si lanciava contro chi verso le sponde
allungava il braccio
e stringendoli al petto li bruciava.
Contorcendo la bocca per il dolore,
quei clandestini antichi
le labbra atteggiavano a sardonico riso.

Trascorsi millenni,
riconfiguratesi innumerevoli volte
le terre di Asia, di Europa e di Libia,
ora il radar Elm-2226,
novello Talos
made in Israel,
dalle coste di Sardegna
copiosi scaccia
figli di Asia e di Libia
e senza impronta di riso
alle patrie galere li condanna.

E brulicante di giudici e ministri,
di banchieri e cape di governo,
l’ormai decrepita Europa
inglobata senza requie alla catena
del soldo e dell’arme,
mesta si aggira nei corridoi del dolore
cercando di imporre novello basto
alla puledra lanciata verso il sole.

Mentre da un’isola gelata
le fiamme dei geyser
si alimentano della viscida ipocrisia,
di vertici, azioni, trattati e bilanci
crogiolando faticosi possibili futuri,
dall’algida Albione
risorge il sorriso di Guy Fawkes
rivisitato in una graphic novel:
aitante spadaccino, Zorro vendicatore
e Superman immigrato dal Nuovo al Vecchio Mondo.

Celata dietro la maschera sghignazzante
si rivolta congiunta l’odierna prole di Europa
e di Asia e di Libia
sulle tracce di inverni
che profumano di calicanto
e di primavere possibili
e di Nuovi e di Vecchi Mondi
oltrepassando audace e fiera
le colonne d’Ercole alla ricerca
di una storia che non sia
la solita fetida nei millenni tramandata.

La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo
non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni
morbosi più svariati.
A. Gramsci

Riprendendo questa citazione gramsciana Pina Piccolo definisce, fin da subito (siamo nella prima lirica, Interregno), quale sia l’oggetto della sua poesia: l’«interregno» non è un generico momento di transizione; non è nemmeno un non-luogo purgatoriale; e non è soprattutto una condizione esistenziale dell’io lirico, come l’uso del leopardiano «Canti» potrebbe indurre a credere. L’interregno è il nostro oggi, questo protratto periodo di attesa di una fenice che non risorge dalle proprie ceneri…

L’interregno della Piccolo è il mondo minato dal capitalismo, dal consumismo, dal razzismo, dagli ‘ismi’ che hanno crivellato il Novecento. Ma non solo, perché agli ‘ismi’ si è aggiunto l’Usa e getta (titolo, infatti, di una poesia) di questo nuovo millennio: un usa e getta così pervasivo da colpire non più e non solo gli oggetti, ma anche le persone, le parole, i concetti, gli ideali…

La lingua della poesia della Piccolo gioca quindi su vari binari e sfrutta le proprietà foniche delle parole e gli artifici retorici per marcare il paradosso dell’interregno. Insistenti, infatti, le ripetizioni enfatiche e le rime – baciate o alternate – che, nel creare relazioni, sottolineano i controsensi di questa nostra civiltà…

(Dalla Prefazione di Rosanna Morace)

NOTA DELL’AUTRICE

Queste poesie, nate nell’arco di quarant’anni, rappresentano la mia voce, che come tutte le voci è unica.nPerché si materializzasse in questa particolare forma ha avuto bisogno di più di un humus (i due paesi di residenza e quelli, numerosi, in cui ho viaggiato) e di vari ecosistemi: tutto quel fitto sistema di radici amiche e avversarie che l’hanno messa in discussione, che l’hanno sostenuta, con cui ho condiviso i nutrienti del suolo, l’acqua e l’aria, gli alberi più alti che hanno fatto ombra, gli alberi più giovani per cui ho fatto da barriera protettiva. Questi ecosistemi sono stati la mia famiglia d’origine, quella mia attuale, gli amici che conosco in carne e ossa, quelli dei social media, i macchinisti con i quali condivido l’avventura de La Macchina Sognante, i vari gruppi di poeti e scrittori, i redattori di riviste e di case editrici che negli anni hanno pubblicato le prime versioni di questi testi e che ringrazio caldamente per aver creduto nella mia poesia e nei suoi contenuti mentre condividevamo pezzi di cammino in questo Interregno.

(A cura di Silvia Pio)

In Margutte: Pina Piccolo: la poesia apre orizzonti differenti