Eugenio Corsini. Un ricordo

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GABRIELLA MONGARDI

Eugenio Corsini, morto pochi giorni fa, è stato mio professore all’Università di Torino, negli anni Settanta, come docente di Letteratura Cristiana Antica. Per gli studenti del corso di laurea in Filologia Classica, come me, Letteratura Cristiana Antica era un esame facoltativo, ma io ho voluto ripeterlo, tanto ero rimasta affascinata dal primo corso che avevo seguito, e l’ho inserito nel mio piano di studi anche l’anno successivo.

L’argomento del corso erano le Confessioni di S. Agostino – un’opera fondamentale nella storia della letteratura occidentale, l’archetipo del genere autobiografico-introspettivo, da cui discendono il Secretum di Petrarca o le Confessioni di Rousseau – ma il professor Corsini avrebbe reso interessante qualunque testo avesse preso come oggetto di studio. Lo ricordo come un bell’uomo dalle mani aristocratiche, elegante e raffinato, di quella raffinatezza che nasce dalla conciliazione di elemento intellettuale e morale, da uno stile di vita ironico e da un’intelligenza profonda. L’intelligenza del prof. Corsini era davvero, etimologicamente, un intus legere: e all’acutezza di sguardo con cui penetrava i testi, antichi o moderni, nelle loro più intime pieghe si accompagnava una straordinaria capacità di parola, per cui le sue lezioni donavano un intenso piacere intellettuale a chi le seguiva.

Ho trovato adesso su Youtube il video del suo intervento all’incontro di studio organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino il 25 novembre 2014 per i novant’anni del socio Eugenio Corsini: in questo discorso, lui confessa di aver imparato l’italiano come una lingua straniera, essendo la sua prima lingua il dialetto piemontese di Niella Belbo, dov’era nato: deriverà anche da ciò quella caratteristica del suo parlato che rendeva così affascinanti le sue lezioni?

Parlava infatti senza tenere sott’occhio degli appunti, nemmeno una scaletta, ma il suo discorso era sempre articolato con chiarezza estrema, secondo un nitidissimo filo logico, e soprattutto fluiva con un ritmo accattivante, né troppo lento né troppo veloce, che rendeva facile e godibilissimo prendere appunti: era come se, nel momento in cui faceva lezione, Corsini “leggesse dentro”, nel libro della sua memoria dove tutto era perfettamente ordinato per rubriche e paragrafi – per dirla con Dante, e ripetesse ad alta voce quel contenuto, che nasceva in lui già con la forma di un libro…

E libri naturalmente ne ha scritti, il prof. Corsini: il più famoso è quello sull’Apocalisse, edito dalla SEI nel 1980: Apocalisse prima e dopo, un’opera che rivoluziona l’interpretazione corrente dell’ultimo libro del Nuovo Testamento e lo fa con le armi della filologia, cioè dell’aderenza al testo e alle sue parole, e con lo spirito del grande maestro – qual era Corsini – che non scrive un’opera per addetti ai lavori (biblisti, teologi, docenti universitari…), ma un libro accattivante, di alta e nobile “divulgazione”, rivolto a tutte le persone colte e curiose.

Corsini comincia con il ripristinare il significato greco originario del titolo, “rivelazione”, e dapprima indaga quando sia cominciato lo slittamento semantico che ha portato al senso attuale di “catastrofe”, “fine del mondo”, individuando la svolta a partire dalle grandi persecuzioni romane contro il cristianesimo del III secolo. Il suo non è un commento storico-filologico e storico-religioso del testo, ma una “lettura continuata”, che mira a ricostruirne una linea di svolgimento coerente e unitaria, e la rintraccia nella descrizione della venuta di Gesù. «Ma non si tratta di quella che avverrà alla fine dei tempi, bensì di quella che si è attuata nel corso di tutta la storia, a cominciare dalla creazione del mondo, e che ha avuto il suo punto culminante nel grande “evento” (gr. kairòs) della venuta storica di Gesù Cristo, soprattutto nella sua morte e risurrezione.» In questa prospettiva, i problemi tradizionalmente connessi al libro, come quello dell’autore o della data di composizione o della tensione profetica e “apocalittica”, vengono nettamente ridimensionati, in quanto legati a interpretazioni preconcette e precostituite.

Ne risulta una lettura affascinante, che mette in risalto la dimensione visionaria dell’opera ma – forse involontariamente – in senso anche letterario, evidenziando la bellezza della struttura: il libro è incorniciato da un “prologo” e da un “epilogo”, che racchiudono i quattro immaginifici “settenari”, delle lettere, dei sigilli, delle trombe e delle coppe. La potenza metaforica delle immagini è ben nota a tutti, in quanto è stata fonte di ispirazione per tanti grandi artisti: l’interpretazione che ne dà Corsini è suggestiva e convincente, anche se non mi risulta abbia soppiantato quella tradizionale.

Adesso lui, Eugenio Corsini, la sua personale “rivelazione” l’ha avuta…

Albercht Dürer, Apocalisse (xilografia)

Albrecht Dürer, Apocalisse
(xilografia)