L’ultima lezione di Zygmunt Bauman

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SERGIO GIULIANI

Ebreo polacco, nato nel 1925 a Poznan, Zygmunt Bauman attraversa gli sconvolgimenti sociali e le culture europee fino ai giorni nostri aspirandone veleni ed esperienze. Fugge in Unione sovietica all’invasione della sua terra, si fa marxista fino al 1956 allorché gli eventi lo intrappolano come vittima dell’antisemitismo, latente nell’est europeo. L’ultima residenza, fino alla scomparsa, un anno fa, a Leeds dove, per cinquant’anni, ha praticato un’intensissima attività intellettuale che ha rinnovato concettualmente il nostro modo di pensare. Si pensi soltanto ai concetti di “società liquida” (dove convivono fattori non omogenei e delocalizzati) e di “retrotopia” (il continuo rivolgersi, come l’angelo di Klee, al passato pur spinti dal vento del futuro che soffia trainante, alle nostre spalle).

L’ultima lezione è un piccolo libro-viatico, prezioso tra i molti suoi studi. Ha l’esilità e l’incommensurabile peso dei pensieri concepiti in vista dell’estrema porta che sta per aprirsi ed è una meditazione sui comportamenti sociali dell’uomo, contemporaneo e non, indotto a praticare il male o a creare nemici da situazioni che sempre si sono ripetute e si ripetono e che, seppur straordinarie come l’Olocausto, non sono certo novità – anzi! – nella storia.

Con una rete ideologica cosi ben fondata ed esperta, Bauman, connettendo varie discipline come storia, filosofia, sociologia e religioni, accentua e dimostra la orrenda ripetitività di rituali e di accensioni barbariche come l’Olocausto, sempre, se pur in varie forme, presenti nella sanguinosa vicenda umana fin dalle origini e nel nostro attuale ecumene (certa Africa; certa Asia di cui poco si sa e poco vogliamo sapere).
Ciò in pressoché perfetta simbiosi con l’internazionalismo umanitario su cui giustamente insiste Papa Francesco. Si corre il grave pericolo di rinchiudere nel cassetto delle straordinarietà fenomeni immani certo come la Shoah, ma tutt’altro che insoliti nello spazio e nel tempo dell’umana “civiltà”. Non si tratta soltanto del pur importante concetto di “banalità del male” elaborato da Hannah Arendt, ma di una purtroppo ripetitiva piega degli eventi sociali di cui ci ammoniscono  la Bibbia (solo Dio interrompe il sacrificio rituale di Isacco per mano di Abramo, un modo crudele di allontanare un’incipiente catastrofe; solo Dio riafferma il diritto dell’uomo giusto alla pace e l’illiceità dell’offerta crudele) e il Vangelo (Pilato, convinto dell’innocenza di Cristo, cede al Sinedrio che interpreta la cupa e soltanto risentita ostilità di una folla che sceglie Barabba).

Antico problema, posto dall’antico Eschilo con l’Orestea! Certa “giustizia” che forma una catena di vendette chissà quanto lunga arma la mano di Oreste e sfrena la rabbia aggressiva – che pare, e non è, giustizia – delle Furie.
Bauman ci ricorda giustamente come il matricida sia salvato dalla istintiva, rabbiosa vendetta delle Erinni con le armi della razionalità che pur non vince – e la dea molto vi insiste – una volta per tutte.
Una continua presenza, una qualche legittimità c’è nell’infuriare delle Erinni. Difficile a frenarsi anche dalle forze di quel cielo.
Egli ci insegna a non celebrare vittorie che non sono mai totali sul male, ma a star sempre di guardia, come il soldato a cui ci si rivolge fiduciosi in Isaia 21 1-12 “Sentinella, quanto resta della notte?” e ci si sente rispondere: poco al giorno, ma poi ancora sarà notte.

Zygmunt Bauman, L’ultima lezione, Laterza, Roma-Bari 2018