Il Vangelo secondo Ponzio Pilato

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PAOLO LAMBERTI.

Questo è un tentativo semiserio di immaginare come le ultime vicende di Gesù possano essere state viste nell’ottica del prefetto Pilato (su cui si veda il mio scritto su Margutte), cioè nell’ottica di chi poco sa e si interessa degli aspetti profetico-messianici, ma ha la responsabilità della sicurezza di un’area strategica e turbolenta dell’Impero Romano. Un punto di vista unilaterale, che ha certamente frainteso gran parte delle azioni di Gesù, ma che si deve essere sviluppato a partire da precisi fatti che lo hanno spinto ad un intervento radicale. Fatti che penso possano essere recuperati da pochi ma significativi particolari delle narrazioni evangeliche. Perché la condanna di Gesù è una scelta di Roma e di Pilato.

Giovanni Battista, suddito di Erode Antipa al pari di Gesù, viene fatto decapitare dal re, senza interventi romani. Stefano viene lapidato a Gerusalemme, senza interventi romani. Giacomo figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni subisce l’esecuzione per ordine di Erode Agrippa I, senza interventi romani.
Invece, come ricorda Giuseppe Flavio, Giuda di Gamala , che nel 6 d.C. in Galilea si schiera contro I Romani, viene da loro eliminato, come nel 4 a.C. Simone che in Perea si era proclamato re di Gerico. Così Theudas, che raccoglie migliaia di seguaci nel deserto, dispersi e massacrati dalla cavalleria imperiale sulle rive del Giordano nel 44 (oltre a Giuseppe Flavio lo citano, con incertezze cronologiche, anche gli Atti).

Sul processo di Gesù si è scritto moltissimo, né si è giunti a conclusioni sicure su leggi e procedure: ma un fatto è certo, è Roma a volere la condanna; lo dicono i Vangeli, lo conferma anche una fonte esterna al Nuovo Testamento, Tacito: Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat (Tac. Ann. XV, 44: «Cristo sotto il regno di Tiberio fu condannato a morte tramite il procuratore Ponzio Pilato»). Lo storico romano avrà tratto la notizia verosimilmente dagli archivi imperiali, difficilmente dai cristiani.

Che il Nuovo Testamento non sia un testo storico in senso moderno, è chiaro; ma certe pagine di prodigi e favole (o se vogliamo di miracoli e parabole) di Erodoto e Livio non sono così diverse. Lasciare I testi sacri in mano a biblisti e teologi lascia in ombra il fatto che sono testi classici a tutti gli effetti, scritti in greco nell’Impero Romano, e quindi non testi storiografici, ma totalmente immersi nella storia.

In quest’ottica può essere interessante riflettere sulle scelte e le azioni di Pilato, dimenticando che per la tradizione occidentale Gesù è l’innocente per antonomasia, come Socrate (che per altro i giovani, se non li corrompeva, non li cresceva tanto bene: nel suo entourage c’è il tiranno Crizia, il traditore Alcibiade, il mercenario Senofonte e l’elenco continuerebbe).

La personalità e il rango di Pilato mi sembrano escludere che sia stato intimidito e manipolato dal Sinedrio. Potrebbe essere stato corrotto, cosa normale per i funzionari romani, i cui periodi di governo costituivano il fondo pensione: ma i rapporti con il Tempio e il Sinedrio non erano così intimi. Oppure può aver pensato che ci fossero ottime ragioni per la condanna di Gesù. Proveremo a immaginare la questione dal punto di vista di un romano in una terra sottomessa ma ostile, partendo dai Vangeli e dagli Atti e isolando singoli punti che potrebbero lasciar trasparire una storia un po’ diversa da quella del Gesù mite e pacifico: a differenza di Jossa, si userà anche Giovanni con fiducia, non solo a tratti, pur nella consapevolezza dell’irriducibilità tra lui e i sinottici in molti punti.

L’attenzione dei Romani verso Gesù poteva avere molti buoni motivi.
La Galilea di Gesù è un territorio non direttamente governato dai Romani ai tempi evangelici, ma sapevano che era una terra ostile a loro, incline alla ribellione: sarà ancora nella rivolta del 66/70 il primo e più aspro fronte. Jossa sembra ipotizzare che Roma non ne conoscessero gli avvenimenti, ma è molto improbabile: non a caso a Cafarnao Gesù risuscita il servo di un centurione. Forse non un legionario, magari un soldato al servizio di Erode, ma questi reucci (reguli) traevano ufficiali e addestramento da Roma, che manteneva un ferreo controllo su quanto avvenisse nella sua area di influenza.
Cafarnao è il centro della predicazione, Gesù condivide la casa di Pietro: gli scavi ci hanno restituito una casa piuttosto grande, confortevole, vicina alla sinagoga e nel centro della città; adatta ad un notabile, come appare Pietro, che i Vangeli descrivono lavorare con il fratello Andrea e dei servi: non certo il povero pescatore della retorica pietista (e pure sposato!).
Gesù poi ha un certo seguito, sembra in grado di radunare folle (come faceva il Battista e farà poi Theudas), può agitare la situazione. Anche perché appartiene alla stirpe di David, un dato che sembra riconosciuto da molti suoi contemporanei e gli offre un prestigio simile a quello di cui oggi godono i (presunti o reali) discendenti del Profeta nel mondo islamico.

Si deve dimenticare la brillante invenzione propagandistica del presepio come simbolo di povertà: anche oggi non sono molti gli emarginati nati in una grotta che vantano genealogie dei Savoia o degli Asburgo, e le due genealogie evangeliche (Luca e Matteo), pur discordanti, sostanziano la possibilità che Giuseppe potesse ricollegarsi alla stirpe davidica; così il figlio Gesù. Tralasciamo l’idea della paternità dello Spirito Santo, al pari di Paolo (Rom. 1,3b nato dal seme di David secondo la carne), Marco e Giovanni. Prova esterna che tale discendenza veniva riconosciuta dai contemporanei è il fatto, ricordato da Eusebio che cita Egesippo, che Domiziano fa arrestare i parenti di Gesù non perché suoi parenti, o cristiani, ma come discendenti di Davide. Figlio di Vespasiano e fratello di Tito, aveva certo una buona conoscenza del mondo ebraico, dell’inquietudine che covava sotto le ceneri della rivolta domata da padre e fratello, e dell’importanza che potevano avere i discendenti di Davide per future ribellioni; anche se poi si riconoscono in loro dei pacifici contadini, che vengono rilasciati.

Del resto anche Giuseppe probabilmente non era un umile falegname: il termine greco tektōn può indicare (come ricorda Thiede) un costruttore, un piccolo imprenditore, un artigiano in generale, ma anche un architetto. Thiede (amico e collega di Benedetto XVI) ci mostra un Gesù che studia, che magari sa un po’ di greco e forse ha potuto addirittura assistere a qualche spettacolo di testi tratti dal teatro greco classico. Come per Pietro, un ambiente per i tempi borghese.

Tutto questo rimane in Galilea; poi però Gesù scende verso Gerusalemme. Qui si crea una rete di contatti, la casa di Lazzaro a Betania come base, Giuseppe di Arimatea nel Sinedrio. Nel suo gruppo c’è un Simone detto da Luca lo Zelota, come se fosse legato a questo gruppo militante antiromano. Poi c’è Giuda, il cui soprannome Iscariota rimane oscuro: collegarlo ai sicari è un’ipotesi oggi poco condivisa. Piuttosto la domanda deve riguardare il suo tradimento: sembra rappresentare nei Vangeli una posizione radicale, che vuole spingere Gesù ad una aperta opposizione a Roma: e forse non è il solo nel gruppo. Quindi tradisce per ideologia; o forse è più facilmente ricattabile da parte dei “Servizi” (come spessissimo succede, i più estremisti sono i primi ad essere “rivoltati”); o magari è un infiltrato, ruolo che si maschera meglio facendo gli intransigenti.

Qui si inserisce il primo episodio davvero preoccupante per Pilato: l’entrata a Gerusalemme. Tralasciando ancora le palme e gli ulivi e tutti i parafernalia delle Domenica delle Palme, il fatto appare agli occhi del prefetto e dei sacerdoti del Tempio con caratteri inquietanti. Un discendente di David entra a Gerusalemme su un’asina, come David, inscenando di nuovo la scelta della città come capitale di un regno indipendente: e lo fa nei giorni di Pasqua, il momento delicato in cui la città è piena di fedeli, carica di tensione e pronta ad esplodere per ragioni religiose. Non a caso a Pasqua il prefetto di Giudea lascia Cesarea, sale a Gerusalemme con la quasi totalità delle sue scarse truppe e rinforza la guarnigione della Torre Antonia.

Ma il momento decisivo, che spinge Pilato all’azione, è un episodio tanto noto quanto strano: la cacciata dei mercanti dal Tempio, che la tradizione ha consacrato come discrimine tra ciò che è religioso e ciò che è mondano. A ragione: l’esigenza di purezza dei luoghi sacri ritorna regolarmente in ogni riformatore, si veda l’iconoclastia bizantina o quella protestante.
La stranezza è nel modo: Gesù da solo entra nel cortile esterno del Tempio (non nel Tempio vero e proprio) e caccia non solo venditori di animali, ma anche i cambiavalute. Non provate a farlo in una banca, neanche oggi. Allora c’era una folla fitta di fedeli abbastanza fanatici, guardie del Tempio, sacerdoti e servi del Tempio, nonché i mercanti stessi, presumibilmente poco inclini a veder rotolare le loro monete. Il tutto appena fuori di quella fortezza che era il Tempio: tanto fortificata che le truppe d’assalto romane nel 70 dovranno incendiarlo per prenderlo, e che negli anni precedenti diverse fazioni ribelli se lo erano spartito senza riuscire a impadronirsene del tutto. E a pochi metri dalla Fortezza Antonia, con una guarnigione romana rinforzata.

L’episodio  come narrato appare poco credibile, sembra essere rimasto nei Vangeli perché la memoria del fatto era troppo forte, ma depotenziato a gesto simbolico. L’impressione è invece che si sia trattato di una dimostrazione fatta in gruppo e con una certa forza. Viene in mente un fatto di maggior ampiezza, ma affine per motivazioni: la presa della Mecca nel 1979.
Un folto gruppo di uomini armati, guidati da un estremista wahabita che conduceva con sé un giovane proclamato il Mahdi (una sorta di messia, mutatis mutandis), occupa la moschea che ospita la Kaaba, per purificarla dalla dinastia di Saud troppo compromessa con l’Occidente. Ci vorrà quasi un mese per eliminarli dalla Mecca (le forze armate saudite sono migliori nel comprare armi che nell’usarle: lo Yemen oggi lo conferma), ci si riuscirà con l’aiuto indiretto dei Francesi. I capi sopravvissuti saranno decapitati nelle varie città saudite, ma lasceranno dietro di sé molti ammiratori: di lì a pochi mesi uno di loro, Osama bin Laden, si trasferirà in Afghanistan e fonderà al Quaeda.

Senza spingere troppo l’analogia, Pilato deve aver visto l’episodio come un pericoloso aumento della tensione: le motivazioni religiose non gli interessano, gruppi di dimostranti, scontri e pretese regali invece molto. Credo che questo episodio abbia segnato il destino di Gesù, quali che ne fossero le motivazioni.
Lo stesso Gesù deve essersene reso conto: da quel momento a Gerusalemme sta solo di giorno, protetto dalla folla, ma di sera preferisce cercare rifugio ai margini o fuori della città, dove probabilmente aveva punti sicuri come Betania.

Il problema per Pilato è quello di intervenire senza rischiare disordini o ribellioni: quindi in aree isolate e lontano dalla folla. A questo punto intervengono i “servizi” (exploratores, in latino): o attivano l’informatore Giuda, o lo “rivoltano” con minacce e corruzione. Il luogo scelto è il Getsemani, dove Gesù, uscito dal Gerusalemme, va per pregare. O per riunire i suoi. O lo usa come tappa negli spostamenti tra una base e l’altra. Comunque sempre protetto da uomini armati (che però dormono).

Si prepara l’azione: i sinottici parlano di uomini del Sinedrio, con spade e bastoni; Giovanni significativamente mette in scena anche una “coorte” romana, particolare non da scartare, come fa Jossa, ma da considerare complementare. Si tratta di uno schema sin troppo familiare oggi: truppe locali (del Sinedrio, afgane o irachene) per l’azione, truppe regolari dell’alleato (romane o americane) a sigillare la zona, pronte ad intervenire in caso di problemi. Giovanni parla di speira comandata da un chiliarchos: contrariamente a Jossa non credo che possa designare il gruppo degli armati con spade e bastoni, né guardie del Sinedrio o del Tempio, ma soldati regolari; ovviamente auxilia, non legionari, assenti in Giudea in questi anni. Il termine greco indica genericamente un reparto tattico, per questo è usato anche per le coorti, che sono le unità tattiche della legione; ma in Polibio indica invece il manipolo, l’unità tattica più piccola; in questo caso non è certo una coorte, bensì un reparto ad hoc che oggi definiremmo una QRF (quick reaction force).
Gesù chiede perché siano venuti a prenderlo armati. Ottima domanda, che forse mette in luce il suo pacifismo, ma dice molto su come poteva essere considerato dall’esterno: evidentemente Pilato si aspetta resistenza. E la trova, a leggere i Vangeli.

Vi sono due indizi significativi. Naturalmente possono essere mitologemi, il modo educato con cui i biblisti indicano i punti in cui gli evangelisti imitano Omero e fanno letteratura, sia pure a fini teologici. Però se ogni biblista sottolinea la storicità degli episodi che gradisce, e definisce mitologemi quelli sgraditi, non offre certo un modello di metodo. Sono proprio i particolari meno in linea con l’immagine di Gesù che danno gli evangelisti ad essere più probabilmente ricordo di avvenimenti. O meglio, testimoniano il modo in cui i contemporanei leggevano i fatti, perché ognuno li vedeva con gli occhi della propria esperienza e cultura.
Il primo indizio sono le due spade di Pietro, tanto care al Bonifacio VIII dell’Unam Sanctam che le usa come simbolo del suo dominio sullo spirituale e sul temporale. Curioso questo Pietro con due spade, quasi un John Wayne con due Colt. Strane le due spade, magari una era di Gesù. In realtà due spade rimandano a qualcosa di preciso: il legionario ha due spade, sul fianco destro il gladius, l’arma principale per il corpo a corpo, su quello sinistro il pugio, il pugnale da usare in tutte le occasioni, dall’affettare il pane al colpire il nemico. Non è insolito, anche oggi, che i ribelli imitino l’armamento delle truppe regolari, soprattutto quelle più prestigiose: uzbechi e ceceni dell’Isis hanno tute nere, fucile d’assalto e arma da fianco come le Forze Speciali USA. Il particolare è quindi spiegabile non solo teologicamente. Che poi i legionari di sentinella non dormissero e Pietro sì …
Il secondo indizio è l’orecchio di Malco tagliato da Pietro (gli era passato il sonno); al di là della chirurgia miracolosa, l’episodio conferma che Pilato non aveva agito scioccamente, immaginando una resistenza.

Un particolare rimane oscuro: l’arresto del solo Gesù, quando si poteva fare una retata catturando anche i collaboratori più stretti. Una prima spiegazione è l’inefficienza degli uomini del Sinedrio, oggettiva o voluta (non si dimentichi Giuseppe d’Arimatea). Una seconda possibilità sta nella logica di Pilato, che elimina il capo indebolendo il movimento, ma apprezza la possibilità che questo sopravviva, aumentando la frammentazione del mondo ebraico: divide et impera non a caso è un detto latino.
Oltretutto se gli ultimi decenni di ricerche bibliche hanno messo al centro l’ebraicità di Gesù, questi appare (alla luce degli studi di Boyarin, forse il massimo esperto ebraico di Talmud) come un fondamentalista (nel senso originario cristiano del termine), che si oppone ai Farisei non perché troppo arretrati, ma perché troppo innovatori. Il legalismo farisaico gli appare una incrostazione della legge di Mosé. E visto che i Farisei apparivano forti e piuttosto ostili a Roma, valeva la pena tenere in vita un movimento loro contrario.

Rischiando di attribuire a Pilato troppa intelligenza politica, si può anche pensare che egli fosse consapevole che, come in tutti i movimenti carismatici, eliminato il capo i seguaci si sarebbero divisi. Se si pensa che in pochi anni ci saranno gli Ellenisti come Stefano, gli autonominati apostoli come Paolo, Pietro che esprime una linea moderata ma deve andarsene da Gerusalemme, dove comanda Giacomo per diritto di sangue, come fratello di Gesù, senza dimenticare il misterioso Apollo della lettera ai Corinzi, se Pilato ha fatto questo calcolo è stato bravo. La Chiesa sarà sanctam et catholicam, ma unam non lo è mai stata.
Alla cattura segue il processo (o i processi). Il dibattito è tanto ampio quanto inconcludente sui particolari, che si tralasceranno. L’impressione generale è che si sia cercato di distribuire il più possibile la responsabilità della condanna, ma Erode Antipa si sfila quasi subito, forse memore dell’inquietudine della Galilea e delle reazioni per il Battista. Rimangono Sinedrio e Pretorio, ma alla fine tocca a Pilato emanare una sentenza romana, con esecuzione di tipo romano e capo di accusa politico (INRI).

Un ultimo particolare colpisce nell’esecuzione: Gesù è crocifisso tra due ladroni. In greco il termine è lestai, lo stesso che Giuseppe Flavio usa per tutta la Guerra Giudaica per indicare i ribelli a Roma: un po’ come il Banditen dei tedeschi. Ed è curioso che conosciamo i loro nomi, Dismas e Gesta, sia pure tramandati dal Vangelo di Nicodemo, apocrifo del IV d.C.; curioso soprattutto visto che non siamo sicuri dei nomi dei Dodici, di cui abbiamo due liste diverse. Che si conoscano i ladroni e non gli apostoli non è normale, come non lo è che l’esecuzione sia insieme a Gesù. Visto che la crocifissione avviene in un giorno poco adatto, alla vigilia di Pesach, è difficile pensare che si sia fatta pulizia nelle carceri, e visto che tanto c’era Gesù, tanto valeva aggiungere un paio di disgraziati.
Certo si può pensare al solito mitologema che parte da Isaia e sottolinea l’importanza della fede. Oppure ipotizzare un legame tra i tre. Magari sono “apostoli” anche loro, fanno parte del gruppo: catturati con Gesù (allora gli uomini del Sinedrio non sono così inefficienti!), o magari durante la cacciata dei mercanti. E forse sono anche i più impazienti, come Giuda, quelli più ostili ai Romani, quelli che spingono Gesù verso l’arena politica. Isolati chirurgicamente dai Romani, vengono eliminati da loro fisicamente, poi la comunità cristiana li elimina narrativamente, trasformandoli in comprimari muti della morte di Gesù.

LETTURE:
Daniel Boyarin, Il Vangelo ebraico. Le vere origini del Cristianesimo, Roma 2014.
S.G.F.Brandon, Gesù e gli Zeloti, Milano 1983.
Andrea Carandini, Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa, Roma-Bari 2015.
Giorgio Jossa, Tu sei il re dei Giudei? Storia di un profeta ebreo di nome Gesù, Roma 2014.
Carsten Peter Thiede, Gesù, storia o leggenda?, Bologna 2016.
Yaroslav Trofimov, The siege of Mecca. The forgotten uprising in Islam’s holiest shrine, London 2007.