Anarchici e libertari nella Resistenza cuneese

ai compagni anarchici

ANTONIO LOMBARDO
Dei quarantatré antifascisti cuneesi che parteciparono alla difesa della Repubblica spagnola nel 1936 due erano anarchici e parteciparono nelle file della Colonna Ascaso: Antonio Bono, di Busca, morto poi nel lager di Mauthausen il 12.9.1941 e Alfredo Pianta di Castiglione Falletto. Nato nel 1907, il 27 novembre, Alfredo Pianta nel 1924 lascia Castiglione Falletto per la Francia dove continua l’attività sovversiva. Nell’agosto del 1936 è in Spagna, arruolato nelle milizie di Carlo Rosselli, Umberto Marzocchi, Meucci Cafiero, Bimbo… Ferito, ritrasportato in Francia, appena guarito riparte per la Spagna. Tornato in Italia viene arrestato nel 1942. Condannato dal tribunale di Cuneo al campo di Ventotene, ne verrà liberato solo a fine agosto dell’anno successivo. Con altri raggiunge a piedi il suo paese giusto per l’8 settembre 1943. Nel novembre dello stesso anno appena «Lupo» (Alberto Gabrielli) organizza la prima banda in zona, lo raggiunge e farà la Resistenza fino ad entrare in Alba libera con la 48ª Brigata della XIV Divisione Garibaldi «Luigi Capriolo». Prima di essere inquadrato nella 48ª Brigata, Pianta combatte nella banda di «Lupo», banda non inquadrata nelle Garibaldi e malvista dalla dirigenza del P.C.I. secondo cui: «Una banda è uno stadio inferiore dell’organizzazione militare, un concetto che evoca forme di grezza ed instabile milizia armata» (i comunisti non cessano mai di osteggiare il modello miliziano anarchico, della sinistra trotzkista e dell’antifascismo rosselliano, tipico della «colonna» nella guerra di Spagna).

Louis+Chabas

Nella primavera del ’44 fonda con Luigi Capriolo la XIV Divisione Garibaldi a Barolo e ci resterà fino alla liberazione. Irrequieto, nonostante la regolarizzazione della formazione mantiene sincera amicizia con un altro partigiano irrequieto e individualista non aggregato ad alcuna formazione: Louis Chabas detto «Lulù». Ebreo ventenne, al quale i nazisti avevano sterminato la famiglia, deportato dalla Francia, prigioniero nella caserma di Fossano, liberato dai partigiani, «Lulù» si aggrega ad un piccolo gruppo di partigiani doglianesi che non fanno parte di alcuna formazione fissa; agirà sempre in un gruppo non superiore alle cinque unità e spesso da solo. In Langa diventa subito una leggenda. Proprio in una delle sue azioni individualistiche «Lulù» troverà la morte «per fuoco amico», come si dice. Una sera a Bene Vagienna decide un’azione vestito da ufficiale tedesco, cosa che può fare in quanto conosce bene la lingua del nemico tant’è che più volte si è già infiltrato nelle sue linee.
Appostato con la sua auto incappa in una ronda di G.L. e non rispondendo subito al «chi va là» viene mitragliato a morte. Il suo funerale sarà un triste momento di unità partigiana tra formazioni diverse che comunque ne riconoscevano il valore. Alfredo Pianta intanto continua la sua lotta e non smobilita neppure dopo il proclama di Alexander che considera i partigiani come truppe tattiche degli Alleati. Rimane nella zona di La Morra, Barolo, Castiglione Falletto dove aveva sostenuto la battaglia del 20 novembre contro un rastrellamento nazifascista. A gennaio del ’45 si unificano i comandi secondo uno schema di militarizzazione che Alfredo ha già conosciuto in Spagna. In effetti in quell’inverno si registrano solo diserzioni nelle file fasciste e quindi problemi di riorganizzazione interna ai partigiani. Nell’aprile 1945 si concentra l’attacco ad Alba e tutto avverrà nei suoi dintorni: il 18 aprile si scontra con una colonna motorizzata nazista e la sua formazione assume il controllo della zona Monforte – Narzole – Cherasco. Alba è ben presto libera e tutti convergono su Torino dove stanno ripiegando le divisioni tedesche che hanno lasciato alla propria fine i collaborazionisti delle SS italiane. Questi sparano all’impazzata trucidando gli ultimi civili in un’isteria cieca. Dopo la liberazione, Alfredo Pianta deciderà di non vivere in Italia dove vede ritornare ai propri posti segretari, prefetti e politici del fascismo e dove vedrà i partigiani chiamati solo alle commemorazioni. Duro con i compagni, parlerà di tradimento e rimarcherà ancora di più la sua scelta anarchica. Verrà ritrovato da due donne annegato sulla spiaggia di La Napoule vicino a Nizza il 1 luglio 1994.

Memorie partigiane Durchi

Un altro partigiano anarchico nella Resistenza cuneese, attivo fin dall’8 settembre del ’43 è Nardo Dunchi, autore del libro Memorie partigiane (L’Arciere, Cuneo, 1982). Carrarino, scultore, come ricorda Nicola Tranfaglia nella prefazione del libro è «tenente degli alpini quando l’otto settembre coglie l’esercito italiano in sfacelo e la IV armata in ritirata dalla Francia senza direttive». Dunchi non ha esitazioni: «Far fuori il colonnello e tutti gli altri che sono d’accordo con lui a calar le braghe. Dopo prendiamo in mano la truppa, armi e bagagli, ripuliamo la città dai fascisti e ci prepariamo a combattere i tedeschi».

ignazio vian due

Ignazio Vian

Va da sé che gli altri ufficiali trovino pericoloso il suo appello, tuttavia il suo esempio non è inutile: Dunchi mette insieme un primo gruppo e raggiunge subito la montagna dove costituisce con gli uomini di Ignazio Vian e Franco Ravinale la «Banda Boves» che avrà nei primi mesi di lotta un ruolo importante in tutta la zona. Opera nel cuneese fino alla primavera del ’44, con la formazione partigiana dei repubblicani del capitano Cosa.

piero Cosa

Piero Cosa

Molte le azioni portate avanti a Boves, in Valle Stura, a Vinadio, in Valle Pesio e Valle Ellero: rifornisce di armi le formazioni, partecipa alla distruzione del ponte ferroviario di Vernante, all’assalto dell’aeroporto di Mondovì, al sabotaggio del silurificio di Beinette, della centrale elettrica di Busca e a decine di azioni di approvvigionamento ai danni di fascisti e funzionari collaborazionisti. In primavera il capitano Cosa gli comunica che l’organizzazione ligure «Otto» lo vuole nelle Alpi Apuane per crearvi bande partigiane, così Nardo Dunchi lascia il cuneese e raggiunge clandestinamente Carrara. A Mondovì e in Val Casotto operano anche Pietro e Davide Siccardi, padre e figlio. Pietro Siccardi, pittore, poeta, letterato, è un nome conosciuto a Mondovì: la sua è stata una delle firme più note delle famose ceramiche monregalesi. Nato a Frabosa Soprana l’8 settembre 1883, va esule in Francia nel 1922 all’avvento del regime fascista. Qui mantiene contatti con gli anarchici fuoriusciti nel nizzardo che frequenta insieme al figlioletto Davide. Non trovando lavoro per la sua famiglia, Pietro, fidando nella sua scelta di comportamento nonviolento, ritorna a Mondovì nel 1925. Lì fa il marmista e le vecchie pietre del cimitero testimoniano del suo lavoro di ceramista e decoratore. Continua a mantenere i contatti, non solo politici ma anche intellettuali, e la sua bottega diventa un circolo dove si parla di arte, letteratura, filosofia, dove si scambiano idee. Più volte incarcerato, nel 1943, già anziano, salirà in montagna coi figli (dopo averne perso uno in Russia). Aldo e sua sorella andranno con gli autonomi in Val Casotto; lui vivrà clandestino i venti mesi di lotta. Davide Siccardi si definisce anarchico fin da giovanissimo.

Davide Siccardi

Davide Siccardi

Subito dopo la caduta di Mussolini Davide prende contatti con la Resistenza a Mondovì che essendo a metà strada tra Cuneo e la Liguria è un crocevia di antifascisti ancor più che il capoluogo, e soprattutto è circondata da montagne. Entra nella prima formazione presente sul posto dopo l’8 settembre, quella degli Autonomi di Mauri, badogliani fedeli al re. Partecipa a tutte le battaglie della formazione, ma anche alla disfatta dovuta alla strategia militare di Mauri che crede, da «onorato militare del re», allo scontro frontale col nemico invece che alla logica di guerriglia. Partecipa alla liberazione di Mondovì nell’aprile del 1945. Il 13 agosto 1944 in una battaglia di Langa, a Murazzano, muore in combattimento «Spartaco» Ermini, incisore. Non è cuneese, ma di Figline Valdarno, dove è nato il 26 agosto 1924. Fa parte della Federazione Libertaria Ligure, ma combatte con la Brigata Langhe delle Formazioni Autonome di Mauri. Una pietra bassa, in collina di Murazzano, lo ricorda senza dire che era un libertario e che la Resistenza la viveva sì, ma come Rivoluzione sociale.

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Fotografia di Mimmo Pucciarelli

L’articolo di Antonio Lombardo è apparso anche su Bollettino Archivio G. Pinelli n. 5 – 1995