Il progetto Albero

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RICHARD BERENGARTEN

Ho scritto Albero a Cambridge nel 1979, quando avevo trentacinque anni. L’ispirazione diretta della maggior parte del poema è derivata dal poema di Ann Waldman’s, Fast Speaking Woman,[1] basato principalmente sulle sue ricerche a proposito delle usanze femminili nelle società tradizionali del Nord America e altrove. L’ho sentita leggere il suo poema la prima volta da un LP, una sera tardi nella casa di John James e Wendy Mulford in Panton Street a Cambridge, agli inizi degli anni 1970. Non avevo mai ascoltato una poesia contemporanea che assomigliasse a niente del genere. Mentre la voce di Ann brillava di un’energia veloce ed esuberante e di un’appassionata intelligenza moderna, ho sentito che attraverso di essa ripercorrevo echi archetipali che risuonavano attraverso i secoli. La sua capacità oratoria aveva una qualità sonora e a tratti tagliente che sembrava scorrere, a volte in onde lunghe e levigate e a volte in esplosioni scoppiettanti, direttamente da pratiche sciamaniche e rituali neolitici. In seguito, ascoltandola leggere dal vivo il poema presso il CCAT[2] le prime impressioni sono state confermate.

L’opera di Ann Waldman è una celebrazione potente e salvifica della femminilità, antica e moderna. Mentre riconoscevo la profondità, forza e originalità di Fast Speaking Woman, mi sono accorto immediatamente che volevo rispondere ad essa con una composizione che avrebbe celebrato le energie sia femminili che maschili, in equilibrio e in una sorta di armonia. La risposta di un giovane poeta maschio, forse, a quanto sentivo essere il più importante documento poetico che emergeva dal movimento femminista degli anni Settanta.

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Il poema di Ann Waldman, quindi, è stato precursore e impeto poetico per Albero. Ma ci sono state anche altre influenze, sia dirette che indirette, e tra queste le più rivelatrici furono alcune opere di C. G. Jung.[3] Come studente a Cambridge all’inizio degli anni Sessanta avevo iniziato un’avida esplorazione dei suoi scritti, dei quali i primi che avevo incontrato includevano la prefazione a I Ching[4] nella versione di Wilhelm-Baynes, poi Psicologia e alchimia[5] e ‘Synchronicity: an Acausal Connecting Principle’.[6] Nel 1967 lessi Septem Sermones ad Mortuos,[7] che, a torto o a ragione, mi ritrovai in quel tempo ad interpretare come una specie di prosa poetica postsimbolista, credendo in qualche modo che si ispirasse tanto a Rimbaud quanto a Swedenborg e Nietzsche. In seguito, Septem Sermones diede l’epigrafe ad Albero, nella voce del personaggio pseudobiografico di Jung, Basilide di Alessandria.[8]

Poi nel 1978 – l’anno prima che Albero fosse composto – lessi il saggio di Jung intitolato ‘L’albero filosofico’.[9] Questo lungo studio esplorativo inizia con una selezione di riproduzioni in bianco e nero di dipinti realizzati da pazienti che stavano attraversando diversi stadi di analisi con Jung. Continua con la correlazione di queste immagini con il processo alchemico o ‘opus’, insieme ad altri modelli, tratti da una vasta gamma di fonti inclusi mitologia, poesia, sciamanesimo, neoplatonismo e la Cabala, in aggiunta ad altri filoni di pensiero religioso ed esoterico. Se penso al 1978, mentre sto leggendo di nuovo ‘L’albero filosofico’ quarant’anni dopo, mi sono reso conto che questo saggio, con la sua sintesi e la sua visione generale, così come la concisione acuta e ricca, ebbe una influenza diretta e profonda su Albero; che questa influenza sia occorsa in modo subliminale, attraverso una specie di procedura osmotica, oppure delibe-ratamente e consciamente, o in entrambi i modi, ora non sono più in grado di dire o raccontare. In ogni caso, adesso mi è chiaro che i numerosi distinti modelli nel saggio si sono rimodellati e ri-intessuti durante la produzione di Albero. Per esempio, il saggio contiene l’idea che nella forma l’essere umano è una specie di albero invertito, con la testa e il tronco che ‘si diramano’ negli arti:

L’umanista Andrea Alciati (m. 1550) dice nel suo Emblemata cum commentaris: “Al fisico piace vedere l’uomo come un albero che si erge al rovescio, dove quello che per uno è la radice, il tronco e le foglie, nell’altro è la testa e il resto del corpo con braccia e piedi.”[10]

Le fonti di Jung spaziavano dall’Europa medievale a Platone, dalla Bhagavad Gita ai Veda. Ecco un altro brano:

Sia in Oriente che in Occidente l’albero simbolizza un processo vivente e allo stesso tempo un processo di illuminazione, il quale anche se comprensibile dall’intelletto non deve essere confuso con esso.[11]

Applicando il suo tipico metodo costruttivo di ‘amplificazione’[12] – una specie di ‘risonanza’ polisemica e accretiva, costruita attraverso analogie e corrispondenze; e di qui, un approccio che è intrinsecamente poetico, architettonico e musicale; Jung suggerisce che la vita organica dell’albero simbolizza il ciclo vitale stesso e quindi incarna anche il “processo di individuazione”: auto-scoperta, divenire sé, saggezza:

Nella misura in cui l’albero simbolizza l’opus e il processo di trasformazione, “tam ethice quam physice” (sia eticamente che fisicamente), indica anche il processo vitale in generale. […] Siccome l’opus è un mistero di vita, morte e rinascita, l’albero acquisisce anch’esso questo significato oltre alla qualità di saggezza. “Dall’uomo (= Anthropos) e la gnosi è nato l’albero, che viene anch’esso chiamato gnosi.”[…] Tuttavia, l’associazione cosmica dell’albero come albero del mondo e asse del mondo prende il secondo posto tra gli alchimisti e nelle fantasie moderne, perché entrambi sono più interessati al processo di individuazione, che non è più proiettato sul cosmo.[13]

In seguito, nell’ultimo paragrafo del saggio, interpretando il processo alchemico o “opus” come predecessore del “confronto con l’inconscio” durante l’analisi, Jung ricapitola:

Oltre ad essere un’esperienza irrazionale, questo confronto è un processo di consapevolezza. Di conseguenza l’opus alchemico consisteva in due parti: il lavoro in laboratorio, con tutti i suoi rischi emozionali e demoniaci, e la scientia o theoria, il principio-guida dell’opus secondo il quale i suoi risultati erano interpretati e collocati al posto giusto. L’intero processo, che oggi capiamo era uno sviluppo psicologico, veniva designato come “albero filosofale”, un paragone “poetico” che traccia un’appropriata analogia tra la crescita della psiche e quella di una pianta [l’enfasi è mia, RB]. Per questo motivo mi sembrò allettante discutere in alcuni dettagli il processo che sottende sia l’alchimia che la moderna psicologia dell’inconscio.[14]

Il riferimento all’“albero piantato / nel mio profondo” nei due versi iniziali di Albero chiaramente deriva da Jung, così come molti altri temi, che come quelli di Jung, ‘crescono’ in modo associativo, accretivo, ecoico.

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Oltre a Waldman e Jung, mentre Albero prendeva gradualmente forma nella mia mente, altri libri che avevo letto influenzarono la sua composizione, e molti dei loro temi sono stati intessuti in essa, soprattutto da A Practical Guide to Qabalastic Symbolism[15] di Gareth Knight e altre opere sulla Cabala; Shamanism[16] di Mircea Eliade; A Dictionary of Symbols[17] di J. E. Cirlot e il poco conosciuto The Gate of Horn[18] di Rachel Levy, un magnifico studio dell’arte e dei miti del Paleolitico, del Neolitico e classici.

Infine, nel marzo-aprile 1979, durante il mio primo tour di letture poetiche negli USA, ho soggiornato a Berkeley presso Robert (Bob) e Earlene Hass. Bob mi ha portato in auto a Muir Woods. Camminare con lui tra queste sequoie antiche, enormi e maestose è stata forse l’influenza più potente sulla mia scrittura poetica.

Per quelli che credo siano ovvi motivi, Albero ha 365 versi.

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La prima edizione di Albero è stato pubblicata in formato tascabile da Menard Press di Anthony Rudolf, Londra, nel 1980.[19] Da allora il poema è apparso in numerose raccolte in inglese,[20] bilingue in italiano, spagnolo e galiziano, e in edizioni monolingue in tedesco e serbo-croato. La principale (finora) pubblicazione in inglese in forma di libro si trova in For the Living: Selected Poems 1965–2000.[21]

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Mentre sto scrivendo, trentotto anni dopo la sua composizione, Albero è stato tradotto interamente o in parte in almeno undici lingue; con dieci di queste ALBERO viene ora inaugurato come progetto multilingue qui in Margutte, curato da Silvia Pio, la quale è l’autrice della versione italiana.

Il poema è pubblicato in Margutte in dieci versioni, in ordine alfabetico secondo la lingua, con i link ai siti web dove le traduzioni cinese e russa sono già apparse (si veda Una selva di alberi[22].

Riguardo alla costruzione di un campo (zona, campus, locus, area dedicata) per la traduzione pubblicando versioni della stessa poesia in lingue diverse, il Progetto Albero si ispira all’idea e al modello esplorati in precedenza, e ancora in corso di mappatura, del Progetto Volta nella rivista International Literary Quarterly, diretta da Peter Robertson. Anche importante per il Progetto Albero è il saggio di introduzione di quella antologia, intitolato ‘Border/Lines’ (2009).

Alcune dichiarazioni dell’autore di poetica tratte dalla serie in continuo divenire Imagem [23]sono incluse nel Progetto Albero. Un ulteriore contributo consiste in un paio di poesie visive tratte da una serie di trentadue, intitolata DYAD, realizzate in collaborazione con l’artista e grafico Will Hill. Il Progetto Albero include anche la ripubblicazione dello studio esplorativo di Stefano Maria Casella relativo ad Albero, scritto originariamente in inglese, insieme alla traduzione italiana dell’autore stesso.[24]

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Credo valga la pena dire che negli anni Ottanta la mia intenzione originaria per una edizione multilingue di Albero era quella che apparisse in forma di libro, cosa che si è dimostrata, naturalmente, irrealizzabile. Internet offre adesso molte possibilità impareggiabili ed interessanti per i progetti multimediali e di collaborazione di questo tipo, così come per le pubblicazioni multilingue. I nuovi media, specialmente quando si combinano con quelli già assodati, creano sempre nuove forme di arte. E Internet sembra essere particolarmente adatta a favorire sperimentazioni e a incoraggiare la collaborazione, specialmente, come in questo caso, tra una redattrice illuminata ed entusiasta e poeti, traduttori e praticanti di altre forme d’arte diverse dalla scrittura. Questo progetto non avrebbe mai visto la luce in modo così repentino ed efficace senza Internet.

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Infine, l’inaugurazione del Progetto Albero è stata fatta coincidere, e a ragione, con la Festa degli alberi organizzata il primo ottobre 2017 a Mondovì, la città in Piemonte dove vive Silvia Pio.

Silvia Pio e il sottoscritto speriamo che ulteriori versioni di Albero saranno prodotte in altre lingue e gradualmente aggiunte a questo progetto. Piantata nel ciberspazio, possa questa colonia di poesie-albero trasformarsi gradualmente in bosco, selva, foresta…

Cambridge, 1 settembre, 2017

(Traduzione di Silvia Pio)

Foto: Giampiero Johnny Murialdo

Questo articolo può essere letto in pdf qui: Il Progetto Albero (Introduzione di Richard Berengarten)

Qui si trovano le versioni in lingue diverse: Una selva di alberi

Per altri articoli sulla Festa degli Alberi e sul Progetto Albero, cliccare sui tag.

English

articolo


Note

La citazione delle pagine si riferisce alle edizioni in inglese dei testi.

[1]    Ann Waldman, Fast Speaking Woman. San Francisco: City Light Books, 1996 (1974) [La donna che parla veloce]. Per un effetto migliore è preferibile ascoltare il poema.

[2]    The Cambridgeshire College of Arts and Technology, Cambridge, ora Anglia Ruskin University.

[3]    Dovrei qui aggiungere che le opere di Jung, insieme ad alcune di quelle dei suoi collaboratori e seguaci principali, hanno avuto e hanno una influenza profonda, pervasiva e continua su tutti gli aspetti del mio pensiero e della mia scrittura da più di cinquant’anni. Questi collaboratori e seguaci includono, per esempio, in ordine cronologico approssimativo di quando li ho letti, Jolande Jacobi, Carl Kerenyi, Erich Neumann, J. E. Cirlot, James Hillman, Marie-Louise von Franz, ed Edward F. Edinger – tutti pensatori importanti a pieno titolo. Oltre a von Franz, mi hanno influenzato numerosi studiosi della teorica della sincronicità di Jung, specialmente Roderick Main, David Peat, e Joseph Cambray. Mia moglie, la dottoressa Melanie Rein, analista junghiana, ha inoltre contribuito in modo importante alla mia comprensione delle opere e degli scritti di Jung, sia in teoria che in pratica, e delle opere di altri che ne hanno approfondito e continuato l’eredità.

[4]    ‘Prefazione’ a The I Ching or Book of Changes, tr. dal cinese al tedesco di Richard Wilhelm; e da questa all’inglese di Cary F. Baynes, 1965 (Londra: Routledge and Kegan Paul): xxi – xxxix [numerose sono le edizioni italiane]. John Blackwood, insieme a Kim Landers, mi ha fatto conoscere questo libro nel febbraio 1963.

[5]    Psychology and Alchemy (Collected Works, vol. 12), tr. R. F. C. Hull, 1953 (Londra: Routledge and Kegan Paul) [trad. it. Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1992]. Comprai questo libro nell’ottobre 1963.

[6]    ‘Synchronicity: An Acausal Connecting Principle’, in C. G. Jung e W. Pauli, The Interpretation of Nature and the Psyche, tr. R. F. C. Hull, 1955 (Londra: Routledge and Kegan Paul): 1–146 [L’interpretazione della natura e della psiche]. Comprai questo libro nel giugno 1966. Il saggio venne ripubblicato in C. G. Jung, The Structure and Dynamics of the Psyche (Collected Works, vol. 8), tr. R. F. C. Hull, 1960 (Londra: Routledge and Kegan Paul) [Struttura e dinamica della psiche].

[7]    Septem Sermones ad Mortuos, tr. H. C. Baynes, 1967 [1925] (Londra: Stuart and Watkins) [Sette sermoni per i morti]. Mi hanno regalato questo libro nel novembre 1967.

[8]    Sono riuscito a rintracciare la cronologia approssimativa di queste prime letture di Jung (si vedano le note 2–6 sopra) soprattutto perché negli anni Sessanta e Settanta avevo l’abitudine di scrivere il mio nome nella copertina interna di tutti i libri che compravo, insieme alla data dell’acquisto. Basilide di Alessandria è esistito, era un filosofo gnostico vissuto nel secondo secolo dell’Era Volgare.

[9]    Alchemical Studies (Collected Works, vol. 13), 1967 (tr. R. F. C. Hull. Londra: Routledge and Kegan Paul): 251–349 [trad. it. L’albero filosofico, Bollati Boringhieri, Torino, 2012].

[10] Ibid. 312, para. 412. La traduzione è di Silvia Pio dal saggio originale di Berengarten.

[11] Ibid. 313–4, para. 413. La traduzione è di Silvia Pio dal saggio originale di Berengarten.

[12] Marie-Louise von Franz definisce il metodo di ‘amplificazione’ di Jung in questo modo: “Espansione del contenuto di un sogno attraverso personali associazioni e confronti delle immagini del sogno con le immagini derivate dalla mitologia, religione, e via discorrendo, che somigliano al contenuto del sogno”. Si veda il suo Dreams, 1998 (Boston and London: Shambhala; C. G. Jung Foundation) [tr. it. Il mondo dei sogni, Red Edizioni, 2003]: 194. Nonostante l’uso da parte di Jung del temine ‘psicologia analitica’, si può giustamente sottolineare che, in senso stretto, il metodo di ‘amplificazione’ è sintetico piuttosto che analitico. Inoltre, il processo è intrinsecamente poetico, musicale e magico. Per una discussione illuminante e importante sul pensiero correlativo e su ‘correlative cosmos-building’, si veda Steve Farmer, John B. Henderson e Michael Witzel, ‘Neurobiology, Layered Texts, and Correlative Cosmologies: A Cross-Cultural Framework for Premodern History’ 2000 (Bulletin of Far Eastern Antiquities 72): 48-90 [Neurobiologia, stratificazione dei testi e cosmologie correlative]. Si veda anche Parte 1 di S. A. Farmer’s Syncretism in the West: Pico’s 900 Theses (1486): The Evolution of Traditional Religious and Philosophical Systems, 1998 (Tempe, Arizona, AZ: Medieval & Renaissance Tests and Studies): 1–193 [Sincretismo in Occidente: le 900 tesi di Pico della Mirandola (1486): L’evoluzione dei sistemi religiosi e filosofici tradizionali].

[13]         Alchemical Studies: 338–9, para. 459. La traduzione è di Silvia Pio dal saggio originale di Berengarten.

[14]         ibid. 348–9, para. 482. La traduzione è di Silvia Pio dal saggio originale di Berengarten.

[15]         Gareth Knight, A Practical Guide to Qabalistic Symbolism  1965. Toddington: Helios Books (due voll.) [Guida pratica al simbolismo della Cabala].

[16]  Mircea Eliade, Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy, tr. dal francese, Willard R. Trask. Routledge and Kegan Paul, London, 1964; [trad. it. Lo Sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Mediterranee Edizioni, 1974].

[17]  J. E. Cirlot, A Dictionary of Symbols, tr. dallo spagnolo, Jack Sage. Londra: Routledge and Kegan Paul, 1962; [trad. it. Dizionario dei simboli, Eco Editore 2002].

[18]  G. R. Levy, The Gate of Horn, Londra: Faber and Faber, 1968 [La porta di corno].

[19]  Menard Press acquisì proprio il suo nome dal piccolo capolavoro di Jorge Luis Borges, intitolato ‘Pierre Menard, autor del Quijote’ [‘Pierre Menard, autore del Chisciotte’].

[20]  In RB Roots/Routes, con monotype di Douglas Kinsey. Cleveland, OH: Cleveland State University Poetry Center, 1982: 29–37 [Radici/Percorsi]; e in RB Against Perfection, Norwich: King of Hearts, 1999: 31–40 [Contro la perfezione].

[21]  RB, For the Living. Exeter: Shearsman Books, 2011: 117–130 [Per i viventi].

[22]  In ordine cronologico di composizione, ecco la lista completa delle traduzioni a tutt’oggi (30 settembre 2017). Nuove traduzioni si aggiungono regolarmente e non vengono incluse qui.
Svedese (Träd, tr. Jan Östergren, probabilmente tra il 1981 e il 1985, pubblicato per la prima volta in Margutte);
Spagnolo (Arbol, tr. Clara Janés, pubblicato da Papeles de invierno, Madrid, 1986);
Serbo-Croato (Дрво [Drvo], tr. Bogdana G. Bobić, pubblicato in Književnost [‘Literature’] no. 12, Belgrade, 1987; non incluso in Margutte);
Tedesco (Baum, tr. Theo Breuer, edizione privata, Kall-Sistig, 1989);
Cinese (树 [Shù], tr. Wang Ying, pubblicato in今天 [JintianToday], novembre 2014);
Russo (Дерево [Derevo], tr. Alexander Makarov-Krotkov, Дети Ра [Deti Ra], 2014, 9(119);
Galiziano (Árbore, versione incompleta bilingue, tr. Loreto Riveiro Álvarez F. R. Lavandeira e pubblicata in Richard Berengarten, O voar da bolboreta azul [‘In Sight of the Blue Butterfly’], Espiral, Auliga, 2015; non incluso in Margutte);
Irlandese (Crann, tr. Gabriel Rosenstock, 2016, pubblicato per la prima volta in Margutte);
Italiano (Albero, tr. Silvia Pio, pubblicato in Poesia, Milano, Marzo 2017);
Greco (Δέντρο [Dentro], tr. Paschalis Nikolaou, 2017, pubblicato per la prima volta in Margutte).

[23] La prima serie di queste dichiarazioni venne pubblicata in Imagems 1, 2013 (Bristol: Shearsman Books).

[24]  Stefano Maria Casella, ‘Roots and Rings: Under the Shade of Richard Berengarten’s ‘Tree’ [Radici e anelli, sotto l’ombra dell’Albero di Richard Berengarten], in The Companion to Richard Berengarten, Shearsman Books, 2016:164–174.