Le cinquanta sfumature del (Rac)contare

Vergari pappagallo

GABRIELLA VERGARI.

Quelli che ancora dubitino del fatto che contare e raccontare[1] rappresentino in realtà le due facce fondamentali delle capacità simboliche umane, ne potranno trovare un’intrigante e divertente conferma nell’insolita proposta narrativa, Il teorema del pappagallo, di Denis Guedj, epistemologo e docente di Storia della Scienza presso l’Università di Paris VIII.

Cinquecento e passa pagine – almeno nell’edizione SuperTEA – che si snodano con buon ritmo narrativo  tra humour e suspence, nell’intento di una divulgazione intelligente (ma non banalizzante), capace di spalancare il mondo dei numeri anche ai non addetti ai lavori, per lasciarlo risplendere in tutta la sua bellezza e magnificenza. E non si pensi ad un’esagerazione, perché qualunque lettore, così guidato per mano, non può certo sottrarsi al fascino delle conquiste di intelletti  d’eccezione e della loro storia. All’interno di una macrostruttura obbediente ai fondamenti del thriller, si riesce perciò a seguire (se non completamente a comprendere) l’evoluzione di un percorso di ricerca sempre in progress, fino alla soluzione di sfide da capogiro, oppure all’azzardo di congetture destinate a rivelarsi col tempo ingannevoli o, viceversa, talmente perfette e progredite da resistere all’usura dei secoli.

Bellissimo, ad esempio nel romanzo (perché tale è in ultima analisi il genere di questo particolarissimo testo di Guedj),  il momento in cui si descrive, al Palais de la Découverte il tempio di π:
una sala unica al mondo, che aveva fatto sognare generazioni di giovani… e li faceva sognare ancora, a giudicare dalla folla di adolescenti che vi si accalcava. La sala naturalmente era rotonda. Tutt’intorno alla base correva una fascia circolare, che riportava i nomi di celebri matematici. Più in alto, sormontato da una volta sferica illuminata, un fregio a spirale che compiva parecchi giri indicava i primi 707 numeri decimali di π, scritti a gruppi di dieci, alternativamente di colore rosso e nero.
Ipnotizzato da quel fregio numerico, Max posò lo sguardo sul 3 iniziale, saltò la virgola e cominciò: 1415926535, serie rossa, 8979323846, serie nera, 2643383279, serie rossa, 502… accelerò, serie nera, serie rossa […] Aumentò ancora la velocità: rosso, nero, rosso, nero, come la roulette. Come la pallina bianca, i suoi occhi neri saltavano di cifra in cifra:vince , perde! […] Max girava su se stesso sempre più veloce, la testa gli girava, non aveva mai divorato tante cifre in vita sua. Stava per decollare! Aveva il cervello ridotto in pappa e superò in tromba le ultime cifre senza riuscire a fermarsi. Perché fermarsi al decimale numero 707? Continua, continua la giostra interminabile delle cifre! Quando infine riuscì a fermarsi, staccando gli occhi dal fregio sul quale danzavano ancora i decimali di π, si aggrappò con forza spasmodica alla sedie a rotelle del signor Ruche. L’edificio intero ballava la giga, il pavimento ondulava a passo di tango. Sotto i suoi piedi non c’erano forse i pali di quercia che sprofondavano ogni istante di più?

Gli irrazionali, lo ‘scandalo logico’ che fa franare le certezze dei Pitagorici, basate sull’armonia e l’onnipotenza dei rapporti razionali tra le cose del mondo, lasciando intravedere l’abisso dell’incommensurabilità, una proprietà che solo il pensiero riesce ad elaborare ma si mostra ineludibile davanti all’apparente innocenza di un triangolo rettangolo con cateti di lunghezza 1. E anche lui, l’1, quanta fatica e quanta strada ha richiesto per affermare la propria autonomia, per non dire dello zero, lo zefiro ‘quel niente che tutto può’!

Si finisce facilmente con lo scoprire che esiste una complicità tra la poesia e la matematica, e che addirittura quella indiana all’origine era a colori, un po’ come le Vocali di Rimbaud. Né stupisce che Georg Cantor, il padre della teoria degli insiemi, abbia individuato l’essenza della matematica nella libertà. E come non restare  ammirati dei pensatori greci che hanno fatto della matematica quella che conosciamo. Che cosa fanno nella vita, qual è il loro posto nella società? Non sono né schiavi né funzionari di Stato, come i matematici-contabili babilonesi o egizi, che appartenevano alla casta degli scribi o dei sacerdoti e detenevano il monopolio della conoscenza e del calcolo. I pensatori greci non hanno conti da rendere a nessuna autorità. Non c’è un re o un sommo sacerdote che decida quale sarà la natura del loro lavoro o ponga dei limiti ai loro studi. I pensatori greci […]si affermano in quanto individui, utilizzando la loro libertà di pensiero […]divenendo cittadini del logos, nel campo delle idee […]e per la prima volta nella storia dell’umanità, il pensiero stesso diventa oggetto del pensiero.

Già, la logica, l’enunciazione delle leggi che regolano il pensiero, allo scopo di indicare in che modo si possano accertare le verità, così da proporsi come spazio democratico fondato sul presupposto che tutte le asserzioni saranno soggette alle stesse regole, senza lasciarle sottostare all’arbitrio di giudizi e pregiudizi, tant’è che viene fatto di esclamare insieme al protagonista, l’ottantaquattrenne ma indomito signor Ruche: «Ogni volta che l’uguaglianza viene violata, si è costretti a inventare nuove conoscenze per ristabilirla».

Non può perciò stupire che, senza anticipare gli sviluppi di una trama articolata tra l’Amazzonia, Siracusa e Parigi, ed animata da personaggi non comuni con antagonisti bizzarri ed inquieti, l’epilogo ci offra una speciale “conferenza degli uccelli”, che se forse è un tributo tutto proprio al variegato e fantastico mondo aristofanesco, certo lo è alle molteplici e libere forme del raccontare o, chissà, del dimostrare…


[1] C. Bazzanella, Numeri per parlare, Roma-Bari, 2011.