Calcio e Brasile. L’attualità… del 1917

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foto di Mimmo Pucciarelli

ISABELLE FELICI

Il Primo Maggio 1917, in un giornale anarchico in lingua italiana pubblicato in Brasile, “Guerra Sociale”, la rubrica di Anargiro Sbadiglia è dedicata al futtebolle. Il titolo della rubrica, Quelli che ti ragionano coi piedi, e lo pseudonimo dell’autore lasciano intendere il tenore dell’articolo. Una cosa poco seria… Anargiro se la prende con il calcio e con le passioni scatenate da questo sport presso le giovani generazioni, che si allontanano così dalla lotta sociale. Quelli che vorranno divertirsi cercando analogie con l’attualità dell’estate 2014 dovranno notare che i giovani di allora perdevano tempo e energie a GIOCARE a calcio.

«Quelli che ti ragionano coi piedi.

Una delle cause del rincitrullimento dell’umanità è il cosiddetto futtebolle che poi altro non ti sarebbe che il giuoco del calcio, tanto in vigore al tempo in cui il popolo fiorentino ti sopportava quella bella roba che si chiamò la Signoria dei Medici. la quale del resto non ti era assai diversa dalle tante Signorie che oggi ti pelano e ti impongono il dovuto rispetto. Perché se la specie umana, ovverosia, il cittadino, progredisce democraticamente parlando e ti produce uomini liberali come Bissolati, è anche vero che progredisce l’arte di governare e progredisce l’appetito dei signori, quello delli operai restandoti allo stato cronico o vogliamo dire, perché non si faccino confusioni, sempre insoddisfatto, anche dopo l’umanitaria invenzione delle cucine economiche.

Ma io ti divago come un padre gesuita qualunque che ti voglia dimostrare l’esistenza di Dio, o come un futuro candidato socialista che ti voglia persuadere che devi votare per lui se vuoi guarire dai reumatismi.

Perciò ti riafferro subito le palle del giuoco del calcio o futtebolle che sia e con esse alla mano ti provo come essendoti emigrata la testa verso il calcagno, si spieghi l’incretinimento generale della presente eroica giovane generazione.

Io non sono un filosofo perché per essere filosofo bisogna che tu abbia la barba bianca, i capelli lunghi e che guardi da dietro l’occhiali le miserie della vita, e non sono neppure un sociologo perché per essere attaccato da simile bacillo è necessario conoscere delle parole difficili che ingarbuglino la gente. Ma sono un omo che guarda, cioè, un osservatore. E siccome la legge che ti proibisce tante cose non ti ha proibito ancora quella di guardarti attorno, forte dei miei indiscussi diritti di libero cittadino emancipato dalla rivoluzione francese e dalla caduta del Potere Temporale dei Papi – io guardo quello che succede per rifletterci sopra ed anche perché non mi capiti addosso una disgrazia o magari una di quelle palle che i valorosi fullbocches respingono sullo stomaco dell’innocente viandante per difendere l’anima dei mortacci loro.

Una volta la gioventù pensava meglio ai casi suoi e la gente s’accorgeva che al mondo c’era anch’essa.

Oggi uno se ne accorge lo stesso, ma solo per esclamare: guarda quanti imbecilli ti crescono su!

***

Dunque tu, Anargiro, uomo di liberi sentimenti, sosterrai che i giovanotti, sia pure con la barba cresciuta, non abbiano diritto all’onesto divertimento?

Negherai tu che l’esercizio muscolare rinforzi i nervi e sviluppi i muscoli?!

Io non nego un accidente, ma col dovuto rispetto alle opinioni altrui, ti faccio osservare che tutti quei salti e quell’allungar di calci è uno sciupio di energia in più, visto che d’esercizio nelle officine tutti quei giovanotti ne fanno anche troppo.

Ma se non se ne lamentano i padroni delle fabbriche in cui quei ragazzi lavorano che c’entri tu, Anargiro Sbadiglia, uomo senza industrie e capitali?

Qui ti aspettavo al varco, come dice l’Ariosto, o illustre somaro che mi rivolgi la predetta interrogazione.

Poiché quella domanda io me l’ero rivolta prima di ogni altro e siccome non vi trovavo conveniente risposta la rivolsi ad un tale col quale in tempi di miseria ebbi molta dimestichezza e che oggi è direttore di una grande fabbrica di tessuti. [L’esempio non è preso a caso: è nella fabbrica tessile di Rodolfo Crespi che scoppiano gli avvenimenti dello sciopero generale di São Paulo, proprio nel 1917, nda] Ma che non pertanto mi conserva il saluto essendo come dicono i socialisti legalitari un borghese illuminato. Dunque io mi rivolsi a lui, che trovandosi dentro alla materia, me ne poteva dare sufficiente spiegazione.

E qui ti trascrivo l’illuminato parere suo.

***

Così parlò l’amico [illeggibile].

Nei primi tempi che si generalizzò il futt-bol notai subito che gli operai erano stanchi morti e lavoravano poco, notai anche che durante l’intera settimana non ti facevano che parlare di palle, di calci, di testate. La produzione ne soffriva ed io stavo pensando come provvedere quando un contra-maestro, che mi fa la spia di quanto succede in fabbrica, mi avvisò che gli operai nell’ora di colazione non leggevano più giornali sovversivi, che quando bestemmiavano non dicevano più ladro d’un padrone, ma mandavano tutti gli accidenti al club tale o tal altro; di altri giuocatori, cioè.

Capii subito che non tutti i mali vengono per nuocere. Ma siccome gli affetti del futt-bol esistevano, io pensai di rimediarvi diminuendo la paga a tutti, anche a quelli che non giuocavano. E attesi per vedere in che dava.

Quelli che non giuocavano brontolarono un po’, cercarono di mettere su gli altri, ma persero il loro tempo poiché costoro si occupavano solo del giuoco.

Allora preparai un colpo da maestro.

Visto il cervello dei miei operai emigrando dalla testa ai calcagni li rendeva più malleabili, aumentai loro la giornata di lavoro, portando l’orario dalle nove a dieci ore. Ma nello stesso tempo con magnanimo gesto concessi loro facoltà di approfittare di un terreno prossimo alla fabbrica per farne il loro campo di battaglia.

E il colpo passò.

E adesso nella fabbrica non vi sono più operai che protestano: qualunque cosa io loro imponga, sta bene… purché li si lasci giuocare e discutere di futt-bol.

***

Questa opinione di un uomo che sa quello che si dice, ti spiega dunque il mistero del grande eccesso ottenuto dal futtebolle; giuoco incoraggiato da tutti, dal governo, dai preti e dai padroni, perché ti distrae il lavoratore sfruttato, il quale finché si prenderà a calci col prossimo suo perché la palla non passi il bar, lui passerà pacifico e mansueto e senza arrossire sotto le forche caudine dello sfruttamento borghese.

E pazienza se con tanta educazione calciauola, la nuova eroica gioventù qualche volta lasciasse andare un calcio anche a chi la sfrutta, così come fanno i muli.

Ma no, quei cari giovanotti che ragionano coi piedi i calci se li danno tra di loro».

(Anargiro Sbadiglia, Quelli che ti ragionano coi piedi, “Guerra Sociale”, n.46, São Paulo, 1°maggio 1917).

Prima pubblicazione su: http://atelierdecreationlibertaire.com/blogs/anarchistes-italiens/2014/06/17/football-au-bresil-en-1917-deja/

quelli che ti ragionano coi piedi